CINEMA: I MAESTRI: Le amiche2 Febbraio 2017 di Filippo Sacchi È almeno dai Vinti che si sente in Antonioni la segreta aspira zione a un cinema di costume. Nelle Amiche questa aspirazione diventa programma dichiarato. Se il cinema italiano dovrà avere il suo Dumas figlio, Antonioni è il primo candidato iscritto. (Sen za nessun riferimento alla Signora senza camelie.) Egli ha scelto anche stavolta un settore scabroso: quello delle signorine deprava te di buona famiglia. I modelli è andato a domandarli al compian to Cesare Pavese, prendendoli in blocco tra i personaggi di quel breve romanzo, Tra donne sole, che fa parte della trilogia de La bella estate e dove, sullo sfondo di una Torino fortemente monparnassiana, sono effigiati, nei loro modi e mentalità e comporta mento caratteristici, appunto cinque esemplari di queste fanciulle; naturalmente con il campionario dei maschi di contorno. Nono stante amino un linguaggio brutale e pratichino il vizio con in differenza, questi personaggi sono in realtà tipi abulici e svaporati, all’apparenza insofferenti uno dell’altro (“vivevano come i gatti sempre pronti a portarsi via l’osso”), all’atto pratico condannati a cercarsi e a stare insieme, quasi legati da una inconsapevole com plicità. A stare insieme e ad annoiarsi insieme, noia dalla quale non riescono a sfuggire che in due modi, entrambi purtroppo temporanei: sbronzandosi o facendo l’amore. Nemmeno in questo, che si danno l’aria di considerare la loro specialità, sono molto in teressanti. Ora quei personaggi potevano avere un senso finché restavano com’erano nel libro, vaghi, falsi, ondeggianti, imprecisi, legger-mente manichini. Ma purtroppo così non sarebbero divenuti ma teria di cinema. Perché il cinema, lo abbiamo visto mille volte, è esigente; è come i bambini e le donne, vuole cose concrete, vuo le fatti. Antonioni è stato dunque costretto a forzarli, a calarli nel reale. Allora è successo quel che succede sovente ai personaggi disossati di tanta letteratura contemporanea, appena sono tirati fuori da quegli erotici vapori che confondono cosi bene i contorni. Tranne Momina (tenuta con molto mordente da quel diavolo della Furneaux) la quale mantiene intatta la sua funzione di sca rica-battute, tutti gli altri, obbligati a prendersi sul serio, non reg gono. Guardate Rosetta. Nel romanzo nessuno sa perché si uccide, perché in realtà non lo sa neanche lei: e questa tragedia assurda è, in un certo senso, la logica conclusione di quella vicenda tra es seri inconcludenti. Forzato dalle necessità del racconto cinemato grafico a mettere i puntini sulle “i”, Antonioni ha dovuto dare al S dramma di Rosetta una concatenazione evidente di cause e di effet ti, e così è venuta fuori una banale e lacrimogena storia di camere ammobiliate. Altrettanto il personaggio di Carlo, l’assistente, che sarebbe il rappresentante del sano proletariato nel cinico mondo dei signori, e a cui persine Pavese non aveva osato togliere la sua soddisfatta fisionomia di maschio di passaggio, diventa nel film un dignitoso cuore-infranto, e la sua bonne fortune con la grande sarta si trasforma nel romanzo di un giovane povero. Ma più che negli altri questa forzatura è avvertibile in Clelia, personaggio a parte, che per la sua posizione di testimonio era, I già nel romanzo, la effettiva ambasciatrice della polemica sociale. Anche Antonioni c’è cascato in pieno, sino a portarla a imbarcarsi, all’ultimo, nella scenata a Momina davanti alle clienti della casa di mode, in una vera e propria carica a fondo contro il costume borghese. Con una visibile alterazione di prospettive: perché que sta manica di sciaguratelle con i loro degni compagni, poveri tipi oscillanti tra una mondanità spicciola e un esistenzialismo velleitario, non sono che una piccola efflorescenza marginale, senza nes sun valore rappresentativo, di una inconsistente società. Discutibile come analisi moralistica, il film si distingue almeno come opera di regia. Antonioni vi ha raggiunto ormai una asso luta padronanza del mezzo scenico, una rara e felicissima fluidità nel muovere azioni e personaggi. Il modo con cui riesce a contrap puntare certi episodi d’insieme, per esempio la gita in Riviera o l’inaugurazione della casa di mode, prova che il regista è fatto. Forse non gli parrà un gran complimento. Ma anche Dumas figlio ha cominciato così. Letto 1540 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||