CINEMA: I MAESTRI: Questi fantasmi4 Febbraio 2017 di Filippo Sacchi La sera della presentazione di Questi fantasmi a Milano, Eduardo De Filippo nel discorsetto tenuto prima del film disse simpa ticamente bastargli il pensiero che, come risultato di tanti anni di sforzo indefesso e coscienzioso, il pubblico italiano abbia la sicu rezza che, ogniqualvolta entra in un teatro dove lavora un De Filippo, troverà sempre almeno uno spettacolo. E anche stavolta tro va uno spettacolo. Sfondando gli angusti confini del palcoscenico, Eduardo si è sbizzarrito ad amplificare smisuratamente il quadro della sua spiritica farsa, trasportandoci in uno di quei nobili e im mensi palazzi decaduti di Magnanapoli, e l’estro, l’animazione, la fantasia con cui ha saputo condurre e articolare entro il nuovo spa zio la statica trama teatrale, senza perdere fiato e mordente, è una prova che la sua regìa cinematografica non ha più paura di niente. Perché qui De Filippo si presenta esclusivamente come regista, abbandonando ad altri il suo personaggio e la sua creazione. Eduardo senza Eduardo! Non credo che occorra ancora raccontare al lettore cosa succede in Questi fantasmi, mezzo ridevole e mezzo patetica storia di un povero diavolo il quale, non potendosi paga re una pigione, accetta di entrare in un grande appartamento che il proprietario non riesce ad affittare perché nel popolino del quar tiere corre la credenza che ci siano gli spiriti. E infatti Pasquale Lojacono ce ne trova uno, per fortuna benefico, che gli imbandi sce polli arrosto e gli fornisce biglietti da mille, e invece non è altri che un ricco signore, bene in carne e affatto fantasma, il qua le escogita quel trucco per potergli insidiare la moglie; perché gli spiriti hanno sempre dato volentieri una mano agli amanti, come Boccaccio spiega nella novella di Gianni Lotteringhi. Rascel è il protagonista. Vedo che s’incolpa la sceneggiatura se spesso i toni e i piani del film non combaciano, ma non mi pare giusto. La sceneggiatura andrebbe bene, quella che se mai è sba gliata è la distribuzione. Il primo sbaglio fu di aver dato la parte a Rascel. Lascio stare che lo giudico un attore comico di modesta classe, una specie di sottoprodotto petroliniano, il che può essere una opinione personale. Ma in ogni modo egli non possiede nes suno di quegli accenti di fondo, quella intima forza drammatica, quella pregnante malinconia, necessarie per un personaggio fatto a misura di Eduardo. Lojacono è un personaggio buffo ma anche timido, candido, buono, nel fondo semplice e affettuoso come un fanciullo. Non è possibile far andare d’accordo questi caratteri col fisico di Rascel, che sarà nella vita, ne sono sicuro, la più brava e simpatica persona di questo mondo, ma che fotogenicamen te prende subito non so perché, nell’aspetto e nel gesto, un che di falso, di volpino e di istrionico – per dirla in napoletano, “del paglietta” – che sono poi le corde su cui normalmente gioca la sua buffoneria. Ma un errore ancor più grande fu la scelta di Maria Frau. Non si mette, accanto a un tipo assolutamente agli antipodi dell’ideale cinematografico maschile, una specie di carrozzeria fuoriserie co me Maria Frau, con quel portamento, quell’eleganza, quella bel lezza dura e corvina e un po’ fredda e perciò ancor più sessualmente distanziata da lui, pretendendo di farci credere non solo che sono marito e moglie, ma che lei gli è tanto attaccata da rinuncia re all’amore della sua vita. Queste mésaillances fisiche, fatali so vente nella realtà quotidiana, sono sempre irreparabili al cinema che nella sua crudele obbiettività non ha pietà per nessuno. (Sì, l’amore quando vuole può essere inesorabile.) Del resto De Filip po regista lo ha così ben sentito che all’ultimo fa che Lojacono, attraverso la sua ingenua confessione fatta – credendosi non ascol tato da altri – al fantasma, riconquisti la moglie, non ha avuto assolutamente il coraggio di portarci alla logica, stringente, obbliga toria conclusione che il cinema a questo punto reclama, cioè al bacio finale in primo piano ma risparmiandoci quella vista penosa precipitosamente riporta l’obbiettivo sul palazzo, e chiude con una scorribanda scucita di immagini. Ah, ah, davanti alla possibilità di vedere Maria Frau nelle braccia del “piccoletto”, anche lui se la batte. Volevamo ben dire. Per questi squilibri interni andando alla fine perduti i sottintesi umani e sentimentali della vicenda, non resta che la macchina da risate, la buona massiccia farsa dialettale. Eduardo senza Eduardo, non è anche un po’ Eduardo contro Eduardo?
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