CINEMA: I MAESTRI: Pasolini: “Edipo Re”5 Maggio 2016 di Guido Piovene Venezia, settembre La prima delle due settimane della Mostra d’arte cinematografica a Ve nezia, che si è conclusa ieri sera, si presterebbe a parecchi discorsi. Uno, sebbene poco documentato dai film presentati alla Mostra, potrebbe esse re sul cinema dì Paesi socialisti co me la Cecoslovacchia e l’Ungheria. Un secondo, prendendo spunto dal film inglese La casa di nostra madre, fui cinema d’alto livello a cui, non senza arbitrio, si insiste ad applica re l’etichetta di « commerciale ». Un terzo su La Cina è vicina di Marco Bellocchio, un film che esige un discorso per sé, non solo come indizio di situazioni é di tendenze. Ma parla re di tante cose insieme è come non parlare di nulla, e detesto i giudizi rapidi e perentori. Riservo perciò quei discorsi, da fare uno per volta, ai numeri successivi, e mi fermo sul film ultimo proiettato, Edipo re di Pier Paolo Pasolini. Anzitutto perché è un bel film, e poi perché le criti che che ho letto sui giornali, mi han no fortemente urtato. Esse mostrano, a mio parere, quanto siano diventati rozzi, elementari e vecchi gli stru menti di misurazione che s’è ridotta a impiegare la nostra critica. Vi è un fatto conosciuto e ovvio, a cui mi sembra però utile richia marsi per parlare di questo Edipo; il cinema non è stato il primo mezzo di espressione per Pasolini, anzi vi è venuto tardi, dopo una carriera abba stanza lunga e complessa di roman ziere e di poeta. Non è un regista na to; ma un romanziere e un poeta che ha cambiato il mezzo (la macchina da presa invece della penna o della macchina da scrivere), per motivi che riguardano, primo di tutti, penso, il desiderio di un’udienza maggiore, di un contatto più caldo e immedia to col pubblico. Come cineasta con serva, sebbene molto celato, un fon do « naif ». La parola rimane per lui fondamentale. Lo ha dimostrato, nel Vangelo secondo Matteo, con la par te predominante data al parlato (e che parlato). Lo dimostra, nell’Edipo re, con l’appoggiarsi a un grande testo poetico, anche se viene citato con mo derazione. Detto questo, bisogna ricordare che genere di scrittore è Pasolini nei suoi romanzi, e qui siamo costretti a es sere sommari. Anche quando mette la mano su una realtà scottante, per esempio il sottoproletariato romano, non è mai della razza degli scrittori che lavorano, secondo l’espressione corrente, in presa diretta. E’ elabora to, colto, sempre munito di filtri let terari, o dissimulati o palesi. Lo stile, dico stile nel senso più stretto, atten zione e vigilanza critica sull’espres sione e sulle cadenze ritmiche, ha per lui un valore essenziale. Appartiene al filone dei Flaubert, non dei Balzac. Inoltre, per quanto oggettivo pos sa sembrare ciò che narra nella pagi na singolarmente presa, si sente che fa parte di un’esperienza soggettiva; un’esperienza lirico-religiosa-intellet tuale, un itinerarium mentis che non riposa mai su nulla. Pasolini è fon damentalmente uno scrittore autobio grafico, preoccupato di sé; per dirla in maniera un po’ greve, con una frase fatta che molti oggi rifiutano di applicare a se stessi benché si appli chi a tutti gli scrittori che valgono, egli cerca di salvare l’anima. Marxi smo, psicanalisi, Vangelo, in lui non hanno mai valore assoluto in se stes si, come si sforzano di credere tutti coloro da ogni parte, che vogliono approfittarne, ma sono gli strumenti usati a quel fine. Nuocciono forse a Pasolini, per al cuni lettori, numerose sue afferma zioni ideologiche o critiche che, alla prova dei fatti, non combaciano con la sua opera; tanto più che si accom pagnano, di volta in volta, con un grande apparato critico. Un critico ha definito « elegiaco » l‘Edipo re; giu sto, ma anni fa Pasolini adoperava l’aggettivo « elegiaco », che si adatta anche a lui, in un senso peggiorativo. Tuttavia l’opera critica di Pasolini, malgrado il suo involucro di rigore, è estremamente fluida, fa parte del suo personale itinerarium mentis, è più lirica che teoretica, supposto che la distinzione sia valida e non sia anch’essa da riporre tra i ferrivecchi; l’opera di Pasolini, da qualunque par te si osservi, è la storia di Pasolini. Non credo che sia necessario ridi re la vicenda narrata dal film. Tutti conoscono la vicenda di Edipo. Ba sta qui rammentare che il greco Edipo, manovrato dal Fato, uccide il padre, re di Tebe, senza sapere ch’è suo padre; e diventando re al suo po sto, ne sposa la moglie, Giocasta, sen za sapere ch’è sua madre. La cono scenza d’essere parricida e incestuoso, che il volere del Fato gli infligge mol ti anni più tardi, annienta Edipo, che si giudica, si acceca atrocemente per non vedere questo orrore, e va ra mingo sulla terra accompagnato da un ragazzo. Come tutti i moderni che cercano in un mito antico una situa zione eterna alla quale può ricondur si con la sua cultura diversa, ogni generazione d’uomini, Pasolini colle ga questo mito di Edipo, il più pro fondo e religioso tramandatoci dal l’antichità classica, con la storia per sonale e sua. Vediamo, all’inizio dei- film, in una terra che mi è parsa il Friuli di pianura, dove Pasolini è cre sciuto, un padre odiare il figlio anco ra lattante, per rivalità inconscia, e inconsciamente ambire ad eliminar lo; di qui, con subito passaggio, ter ra e costumi mutano, e si entra nel mito. Alla fine ritorna il simbo lico Edipo d’oggi, cieco anch’egli e ran dagio, fuggiasco da ogni aspetto del la realtà che in lui suscita un eguale orrore. Lo si vede passare per Bolo gna, dove Pasolini è nato, di fronte a un caffè borghese e a un ambiente operaio, cacciato via dalla sua ango scia; troverà pace solo chiudendo il ciclo, cioè tornando a morire nei luo ghi dell’infanzia, dov’è nato all’orro re, del quale è andato in fondo. Qui nella conoscenza totale del proprio sangue, dei suoi guasti fatali, l’uomo va oltre il regno dominato dal Fato, in un mondo di libertà dove il Fa to non conta più. L’ignoranza di sé e la menzogna con se stessi sono insopportabili e brucia no! ma anche la conoscenza parziale e graduata ci. brucia, ci distrugge e ci incalza come una Furia; è una for ma di cecità più atroce, una più dolo rosa nebbia. Solo la conoscenza com pleta, definitiva, solitaria, a cui si ar riva, esaurita ogni tappa, dei mali e della crudeltà del destino, vince i ma li vanificandoli. Così il cieco veggen te Tiresia suona il suo piffero pasto rale. Ma ora parliamo del film. Non è per nulla astratto, anzi è colorito, icastico, immaginoso. Vi si scoprono dei difetti, ma oramai da gran tem po dei difetti non m’importa nulla; mi importa solo ciò che l’opera, nel complesso, mi arreca. Può anche dar si che Pasolini abbia realizzato di meglio, nel cinema o nei libri; altra cosa che per me non conta; m’inte ressa l’insieme della sua storia per sonale, e questo film ne costituisce una tappa. Una intuizione poetica di Pasolini è stata quella di riprendere la vicenda di Edipo in un Marocco pastorale, arretrato, arcaico; re pasto ri, nelle loro rocche di montagne ru pestri, con i loro poveri fasti di alte corone e barbe finte sono Laio, Polibo, Edipo. Con intuizione non reali stica ma poeticamente vera, Pasolini vede così quella Grecia barbarica, tanto anteriore a Sofocle che, come già Omero, rievocava nella sua poe sia un passato lontano, nel gran mon do mediterraneo arcaico, europeo, asiatico o africano, coi suoi re che si trasformano da pastori un po’ sem pliciotti in legislatori e in stregoni. Le immagini sono splendide: bellis simi tutti i paesaggi, il duello in cui Edipo massacra nel deserto, senza co noscerlo il padre Laio troneggiante sul carro, pieno d’intollerabile e sprezzante maestà, con tutta la sua scorta l’oracolo di Delfo all’ombra di un grande albero, coperto da una ma schera terrificante, gli amori tra Edi po e Giocasta su cui bisognerebbe parlare più a lungo se lo consentisse lo spazio. Spesso Pasolini, ricerca la preziosi tà nell’orrido; per esempio, i cadaveri degli appestati, disseminanti il suolo, che hanno la bellezza fredda di mo struose pietre dure. Ce n’era abba stanza perché la critica, confrontan do quelle immagini e i precetti del le scuolette d’oggi, trovasse da ridire. Si è parlato di dannunzianesimo, di estetismo, di decorativismo, di gran de mito usufruito per ricavarne un arabesco. Se n’è parlato col rispett9 dovuto a Pasolini, ma sappiamo benis simo il senso negativo che prendono abitualmente parole come quelle net- l’uso dei nostri scoliasti; con un altro regista, quelle pestifere parole avreb bero messo fuori in maniera più aperta tutto il loro veleno. Dannun zianesimo: sebbene non possa trattar si di un riferimento preciso, ma al quanto vago, ammetto che vi è in Pa solini una componente cospicua di quello che. comunemente si usa chia mare dannunziano. E con questo? Facciamola finita con l’abitudine pap pagallesca e scema di usare « dannunziano », come se fosse sinonimo di inferiore. Vi è oggi di molto peggio che il dannunzianesimo; e D’Annun zio è un molto più grande della mag gior parte degli idoli che oggi la fol la critica e letteraria incensa. Così per l’estetismo; vi è certo in Pasolini una parte notevole di estetismo stili stico; tanto meglio per lui. Per citare ancora Flaubert, mettendolo poi da parte perché non serve più ricordia moci che Flaubert alterna Madame Bovary e L’educazione sentimentale a libri come Salambò e Le tentazioni di Sant’Antonio. Sarebbe ora di smet terla di usare come termini di deme rito parole come «estetismo », «de cadentismo » (il glorioso decadenti smo di cui viviamo ancora tutti), ma gari « autobiografismo » (come se que sto tempo ansioso non ci incalzasse verso l’autobiografia, scoperta o ca muffata). E perché poi? In omaggio ai precetti e agli imparaticci di una scuoletta d’estetica catechistica a cui danno oramai il loro contributo un po’ tutte le ideologie, la pigrizia intel lettuale, tutto il giornalismo pedis sequo di qualsiasi estrazione. Quan do mi si dice che uno scrittore ha caratteri dannunziani, estetistici, ele giaci, ecc., se anche queste parole gli si adattano imperfettamente, e vi è in lui molto d’altro, sono portato a rispondere: perciò mi piace. Se i casi nostri si ritrovano in que sto film, certo si ritrovano in una di quelle trasposizioni poetiche, che non li lascia mai venire a galla come cro naca: eppure se ne sente il peso. Il ricercare l’espressione di una realtà attuale attraverso un antico mito è un’operazione, per se stessa, intellet tualistica, e d’impianto intellettualisti co è questa opera di Pasolini come le altre dello stesso autore; ma è ancora un carattere, distintivo, comune del resto nell’arte d’oggi, quasi tutta d’im postazione critica, non una debolezza o un vizio. Intellettualismo, cultura lismo, letteratura, sono altre parole che si sono sentite pronunciare da gente che aveva visto il film. Non v’è dubbio che Pasolini scorga anche le realtà più aspre e crude attraverso lo schermo della letteratura e della cultura; benissimo; la storia lettera ria, sia fatta mediante i libri o i film, persegue leggi proprie, e i rappor ti con la realtà vissuta sono più com plessi di quanto oggi non si voglia far credere. Certamente nel film di Pasolini non esistono quei rapporti evidenti con la realtà storica del mo mento a cui ci hanno abituato, quasi fossero obbligatori, gli altri film del la Mostra. Io non posso che compia cermene. Il punto ultimo d’arrivo della ricerca e della cecità di Edipo, già implicito del resto nell’opera di Pasoli ni, è che il dolore umano non è oc casionale, né legato per quanto ha di più intimo e cocente a questa o quella causa storica; bensì esisten ziale, fatale, legato al sangue e al de stino del sangue, non storico ma me tastorico, là dove l’hanno posto i gran di miti tragici. Si può risolverli sol tanto andando fino in fondo alle fa talità del sangue, e contemplandola dall’alto. E’ l’unico terreno sul quale si può muovere la poesia, ed è più facile abolirla che trasportarla su un terreno diverso. La poesia non può essere che una discesa agli inferi, che si compie sempre da soli: il poeta ve ro è un cieco, e comincia ad esistere quando l’uomo si acceca. Non è fatta per chi rimane sulla cronaca giorna liera. Edipo re di Pasolini dice press’a poco questo, lo direbbe anche se il suo autore non lo volesse ammet tere; perciò è un film che fa scanda lo. E’ stato scritto che non è pro vocante, perché non è politico nel senso vieto. A me sembra proprio il contrario. Il dire ciò che dice, nel la situazione di oggi, è la massima provocazione, anzi l’unica provocazio ne che sia davvero tale.
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