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CINEMA: I MAESTRI: Pasolini: “Edipo Re”

5 Maggio 2016

di Guido Piovene
[da “La fiera letteraria”, numero 37, giovedì 14 settembre 1967]

Venezia, settembre

La prima delle due settimane della Mostra d’arte cinematografica a Ve ­nezia, che si è conclusa ieri sera, si presterebbe a parecchi discorsi. Uno, sebbene poco documentato dai film presentati alla Mostra, potrebbe esse ­re sul cinema dì Paesi socialisti co ­me la Cecoslovacchia e l’Ungheria. Un secondo, prendendo spunto dal film inglese La casa di nostra madre, fui cinema d’alto livello a cui, non senza arbitrio, si insiste ad applica ­re l’etichetta di « commerciale ». Un terzo su La Cina è vicina di Marco Bellocchio, un film che esige un discorso per sé, non solo come indizio di situazioni é di tendenze. Ma parla ­re di tante cose insieme è come non parlare di nulla, e detesto i giudizi rapidi e perentori. Riservo perciò quei discorsi, da fare uno per volta, ai numeri successivi, e mi fermo sul film ultimo proiettato, Edipo re di Pier Paolo Pasolini. Anzitutto perché è un bel film, e poi perché le criti ­che che ho letto sui giornali, mi han ­no fortemente urtato. Esse mostrano, a mio parere, quanto siano diventati rozzi, elementari e vecchi gli stru ­menti di misurazione che s’è ridotta a impiegare la nostra critica.

Vi è un fatto conosciuto e ovvio, a cui mi sembra però utile richia ­marsi per parlare di questo Edipo; il cinema non è stato il primo mezzo di espressione per Pasolini, anzi vi è venuto tardi, dopo una carriera abba ­stanza lunga e complessa di roman ­ziere e di poeta. Non è un regista na ­to; ma un romanziere e un poeta che ha cambiato il mezzo (la macchina da presa invece della penna o della macchina da scrivere), per motivi che riguardano, primo di tutti, penso, il desiderio di un’udienza maggiore, di un contatto più caldo e immedia ­to col pubblico. Come cineasta con ­serva, sebbene molto celato, un fon ­do « naif ». La parola rimane per lui fondamentale. Lo ha dimostrato, nel Vangelo secondo Matteo, con la par ­te predominante data al parlato (e che parlato). Lo dimostra, nell’Edipo re, con l’appoggiarsi a un grande testo poetico, anche se viene citato con mo ­derazione.

Detto questo, bisogna ricordare che genere di scrittore è Pasolini nei suoi romanzi, e qui siamo costretti a es ­sere sommari. Anche quando mette la mano su una realtà scottante, per esempio il sottoproletariato romano, non è mai della razza degli scrittori che lavorano, secondo l’espressione corrente, in presa diretta. E’ elabora ­to, colto, sempre munito di filtri let ­terari, o dissimulati o palesi. Lo stile, dico stile nel senso più stretto, atten ­zione e vigilanza critica sull’espres ­sione e sulle cadenze ritmiche, ha per lui un valore essenziale. Appartiene al filone dei Flaubert, non dei Balzac. Inoltre, per quanto oggettivo pos ­sa sembrare ciò che narra nella pagi ­na singolarmente presa, si sente che fa parte di un’esperienza soggettiva; un’esperienza lirico-religiosa-intellet ­tuale, un itinerarium mentis che non riposa mai su nulla. Pasolini è fon ­damentalmente uno scrittore autobio ­grafico, preoccupato di sé; per dirla in maniera un po’ greve, con una frase fatta che molti oggi rifiutano di applicare a se stessi benché si appli ­chi a tutti gli scrittori che valgono, egli cerca di salvare l’anima. Marxi ­smo, psicanalisi, Vangelo, in lui non hanno mai valore assoluto in se stes ­si, come si sforzano di credere tutti coloro da ogni parte, che vogliono approfittarne, ma sono gli strumenti usati a quel fine.

Nuocciono forse a Pasolini, per al ­cuni lettori, numerose sue afferma ­zioni ideologiche o critiche che, alla prova dei fatti, non combaciano con la sua opera; tanto più che si accom ­pagnano, di volta in volta, con un grande apparato critico. Un critico ha definito « elegiaco » l‘Edipo re; giu ­sto, ma anni fa Pasolini adoperava l’aggettivo « elegiaco », che si adatta anche a lui, in un senso peggiorativo. Tuttavia l’opera critica di Pasolini, malgrado il suo involucro di rigore, è estremamente fluida, fa parte del suo personale itinerarium mentis, è più lirica che teoretica, supposto che la distinzione sia valida e non sia anch’essa da riporre tra i ferrivecchi; l’opera di Pasolini, da qualunque par ­te si osservi, è la storia di Pasolini.

Non credo che sia necessario ridi ­re la vicenda narrata dal film. Tutti conoscono la vicenda di Edipo. Ba ­sta qui rammentare che il greco Edipo, manovrato dal Fato, uccide il padre, re di Tebe, senza sapere ch’è suo padre; e diventando re al suo po ­sto, ne sposa la moglie, Giocasta, sen ­za sapere ch’è sua madre. La cono ­scenza d’essere parricida e incestuoso, che il volere del Fato gli infligge mol ­ti anni più tardi, annienta Edipo, che si giudica, si acceca atrocemente per non vedere questo orrore, e va ra ­mingo sulla terra accompagnato da un ragazzo. Come tutti i moderni che cercano in un mito antico una situa ­zione eterna alla quale può ricondur ­si con la sua cultura diversa, ogni generazione d’uomini, Pasolini colle ­ga questo mito di Edipo, il più pro ­fondo e religioso tramandatoci dal ­l’antichità classica, con la storia per ­sonale e sua. Vediamo, all’inizio dei- film, in una terra che mi è parsa il Friuli di pianura, dove Pasolini è cre ­sciuto, un padre odiare il figlio anco ­ra lattante, per rivalità inconscia, e inconsciamente ambire ad eliminar ­lo; di qui, con subito passaggio, ter ­ra e costumi mutano, e si entra nel mito. Alla fine ritorna il simbo ­lico Edipo d’oggi, cieco anch’egli e ran ­dagio, fuggiasco da ogni aspetto del ­la realtà che in lui suscita un eguale orrore. Lo si vede passare per Bolo ­gna, dove Pasolini è nato, di fronte a un caffè borghese e a un ambiente operaio, cacciato via dalla sua ango ­scia; troverà pace solo chiudendo il ciclo, cioè tornando a morire nei luo ­ghi dell’infanzia, dov’è nato all’orro ­re, del quale è andato in fondo. Qui nella conoscenza totale del proprio sangue, dei suoi guasti fatali, l’uomo va oltre il regno dominato dal Fato, in un mondo di libertà dove il Fa ­to non conta più.

L’ignoranza di sé e la menzogna con se stessi sono insopportabili e brucia ­no! ma anche la conoscenza parziale e graduata ci. brucia, ci distrugge e ci incalza come una Furia; è una for ­ma di cecità più atroce, una più dolo ­rosa nebbia. Solo la conoscenza com ­pleta, definitiva, solitaria, a cui si ar ­riva, esaurita ogni tappa, dei mali e della crudeltà del destino, vince i ma ­li vanificandoli. Così il cieco veggen ­te Tiresia suona il suo piffero pasto ­rale. Ma ora parliamo del film. Non è per nulla astratto, anzi è colorito, icastico, immaginoso. Vi si scoprono dei difetti, ma oramai da gran tem ­po dei difetti non m’importa nulla; mi importa solo ciò che l’opera, nel complesso, mi arreca. Può anche dar ­si che Pasolini abbia realizzato di meglio, nel cinema o nei libri; altra cosa che per me non conta; m’inte ­ressa l’insieme della sua storia per ­sonale, e questo film ne costituisce una tappa. Una intuizione poetica di Pasolini è stata quella di riprendere la vicenda di Edipo in un Marocco pastorale, arretrato, arcaico; re pasto ­ri, nelle loro rocche di montagne ru ­pestri, con i loro poveri fasti di alte corone e barbe finte sono Laio, Polibo, Edipo. Con intuizione non reali ­stica ma poeticamente vera, Pasolini vede così quella Grecia barbarica, tanto anteriore a Sofocle che, come già Omero, rievocava nella sua poe ­sia un passato lontano, nel gran mon ­do mediterraneo arcaico, europeo, asiatico o africano, coi suoi re che si trasformano da pastori un po’ sem ­pliciotti in legislatori e in stregoni. Le immagini sono splendide: bellis ­simi tutti i paesaggi, il duello in cui Edipo massacra nel deserto, senza co ­noscerlo il padre Laio troneggiante sul carro, pieno d’intollerabile e sprezzante maestà, con tutta la sua scorta l’oracolo di Delfo all’ombra di un grande albero, coperto da una ma ­schera terrificante, gli amori tra Edi ­po e Giocasta su cui bisognerebbe parlare più a lungo se lo consentisse lo spazio.

Spesso Pasolini, ricerca la preziosi ­tà nell’orrido; per esempio, i cadaveri degli appestati, disseminanti il suolo, che hanno la bellezza fredda di mo ­struose pietre dure. Ce n’era abba ­stanza perché la critica, confrontan ­do quelle immagini e i precetti del ­le scuolette d’oggi, trovasse da ridire. Si è parlato di dannunzianesimo, di estetismo, di decorativismo, di gran ­de mito usufruito per ricavarne un arabesco. Se n’è parlato col rispett9 dovuto a Pasolini, ma sappiamo benis ­simo il senso negativo che prendono abitualmente parole come quelle net- l’uso dei nostri scoliasti; con un altro regista, quelle pestifere parole avreb ­bero messo fuori in maniera più aperta tutto il loro veleno. Dannun ­zianesimo: sebbene non possa trattar ­si di un riferimento preciso, ma al ­quanto vago, ammetto che vi è in Pa ­solini una componente cospicua di quello che. comunemente si usa chia ­mare dannunziano. E con questo? Facciamola finita con l’abitudine pap ­pagallesca e scema di usare « dannunziano », come se fosse sinonimo di inferiore. Vi è oggi di molto peggio che il dannunzianesimo; e D’Annun ­zio è un molto più grande della mag ­gior parte degli idoli che oggi la fol ­la critica e letteraria incensa. Così per l’estetismo; vi è certo in Pasolini una parte notevole di estetismo stili ­stico; tanto meglio per lui. Per citare ancora Flaubert, mettendolo poi da parte perché non serve più ricordia ­moci che Flaubert alterna Madame Bovary e L’educazione sentimentale a libri come Salambò e Le tentazioni di Sant’Antonio. Sarebbe ora di smet ­terla di usare come termini di deme ­rito parole come «estetismo », «de ­cadentismo » (il glorioso decadenti ­smo di cui viviamo ancora tutti), ma ­gari « autobiografismo » (come se que ­sto tempo ansioso non ci incalzasse verso l’autobiografia, scoperta o ca ­muffata). E perché poi? In omaggio ai precetti e agli imparaticci di una scuoletta d’estetica catechistica a cui danno oramai il loro contributo un po’ tutte le ideologie, la pigrizia intel ­lettuale, tutto il giornalismo pedis ­sequo di qualsiasi estrazione. Quan ­do mi si dice che uno scrittore ha caratteri dannunziani, estetistici, ele ­giaci, ecc., se anche queste parole gli si adattano imperfettamente, e vi è in lui molto d’altro, sono portato a rispondere: perciò mi piace.

Se i casi nostri si ritrovano in que ­sto film, certo si ritrovano in una di quelle trasposizioni poetiche, che non li lascia mai venire a galla come cro ­naca: eppure se ne sente il peso. Il ricercare l’espressione di una realtà attuale attraverso un antico mito è un’operazione, per se stessa, intellet ­tualistica, e d’impianto intellettualisti ­co è questa opera di Pasolini come le altre dello stesso autore; ma è ancora un carattere, distintivo, comune del resto nell’arte d’oggi, quasi tutta d’im ­postazione critica, non una debolezza o un vizio. Intellettualismo, cultura ­lismo, letteratura, sono altre parole che si sono sentite pronunciare da gente che aveva visto il film. Non v’è dubbio che Pasolini scorga anche le realtà più aspre e crude attraverso lo schermo della letteratura e della cultura; benissimo; la storia lettera ­ria, sia fatta mediante i libri o i film, persegue leggi proprie, e i rappor ­ti con la realtà vissuta sono più com ­plessi di quanto oggi non si voglia far credere. Certamente nel film di Pasolini non esistono quei rapporti evidenti con la realtà storica del mo ­mento a cui ci hanno abituato, quasi fossero obbligatori, gli altri film del ­la Mostra. Io non posso che compia ­cermene. Il punto ultimo d’arrivo della ricerca e della cecità di Edipo, già implicito del resto nell’opera di Pasoli ­ni, è che il dolore umano non è oc ­casionale, né legato per quanto ha di più intimo e cocente a questa o quella causa storica; bensì esisten ­ziale, fatale, legato al sangue e al de ­stino del sangue, non storico ma me ­tastorico, là dove l’hanno posto i gran ­di miti tragici. Si può risolverli sol ­tanto andando fino in fondo alle fa ­talità del sangue, e contemplandola dall’alto. E’ l’unico terreno sul quale si può muovere la poesia, ed è più facile abolirla che trasportarla su un terreno diverso. La poesia non può essere che una discesa agli inferi, che si compie sempre da soli: il poeta ve ­ro è un cieco, e comincia ad esistere quando l’uomo si acceca. Non è fatta per chi rimane sulla cronaca giorna ­liera. Edipo re di Pasolini dice press’a poco questo, lo direbbe anche se il suo autore non lo volesse ammet ­tere; perciò è un film che fa scanda ­lo. E’ stato scritto che non è pro ­vocante, perché non è politico nel senso vieto. A me sembra proprio il contrario. Il dire ciò che dice, nel ­la situazione di oggi, è la massima provocazione, anzi l’unica provocazio ­ne che sia davvero tale.

 


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Bart