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La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

CINEMA: I MAESTRI: Intervista a Elia Kazan

4 Marzo 2010

di Claudio Gorlier

[dal “Corriere della Sera”, domenica 14 dicembre 1969]

A Elia Kazan (il grande registra fu anche scrittore. NDR)), di passaggio dall’Italia, Claudio Gorlier ha rivolto alcune domande. Eccone il testo, con le rispo ­ste del romanziere americano.

CLAUDIO GORLIER: Il pro ­tagonista del suo romanzo II compromesso, Eddie Anderson, si trova di fronte al rovescio della medaglia dell’America, ai suoi aspetti più scoraggianti, ma alla fine ammette che l’America è, dopo tutto, il suo paese. Questo implica un’ac ­cettazione â— e il rifiuto della rivolta â— o una resa, una tregua, una debole speranza, oppure la convinzione che la « terza generazione », come lei la chiama nel libro, cambierà la faccia dell’America e supererà gli ostacoli che la bloccano?

KAZAN: Non si tratta d una resa, ma di una accetta ­zione, perché io spero e spes ­so credo che la « terza gene ­razione » riuscirà. Ma Eddie ancora non esiste in America.

C. G.: Ha mai pensato che un americano che non appar ­tiene al vecchio ceppo anglo ­sassone protestante (il «wasp ») sia In condizione di individua ­re la realtà del paese, i suoi problemi, i suoi pericoli, in modo più chiaro? In altre pa ­role, più criticamente e sen ­za i pregiudizi di un ameri ­cano « wasp »?

K.: Lo penso spesso. Ma credo pure che ami di più l’America e ne apprezzi di più gli aspetti positivi.

C. G.: Nello spettacolo, nel ­le comunicazioni di massa (e dunque in televisione) l’indu ­stria culturale sta diventando in America una grossa pie ­tra d’inciampo. E’ d’accordo su questa valutazione? E al ­lora, esiste un futuro per un cinema libero, per una tele ­visione libera, senza liste di proscrizione e senza tabù?

K.: Qualche buon film si è fatto anche a Hollywood. In un cinema libero io credo fer ­mamente: sta cominciando. Ma il discorso non vale per la televisione.

C. G.: Si considera innanzi ­tutto uno scrittore? La narra ­tiva è un’area di operazione, o una ricerca di nuovo pub ­blico, o addirittura una via d’uscita?

K.: Le due ultime alternati ­ve, no. Ho scritto romanzi unicamente perché volevo par ­lare sbracato e soltanto con la mia voce!

C. G.: Ricordo, a New York nel ’58, una sua splendida regia del Buio in cima alle scale di Inge. Una regia, ag ­giungerei, molto migliore del ­la commedia. Mi chiedo, e le chiedo, se vale ancora la pe ­na di lavorare per Broadway.

K.: Ho smesso completamen ­te con Broadway.

C. G.: Il teatro americano, come fenomeno e repertorio autonomo, sta andando in sa ­lita o in discesa?

K.: Mi duole dire che sta andando in discesa.

C. G.: Crede nell’impegno politico per l’intellettuale? E sulla base di quale scelta?

K.: Credo che un artista debba essere mobile, agire in ­dividualmente, sapere affron ­tare le contraddizioni. Non credo nell’impegno in seno a un partito, né che un artista debba neppur vivere in una cerchia immutabile di qual ­siasi genere. In certo modo dovrebbe essere impegnato emotivamente, spiritualmente e moralmente, nel senso che la parola stessa suggerisce. Non possono esservi posizioni sta ­tiche in questo mondo. L’ar ­tista non deve rimanere ac ­cerchiato da barriere di pen ­siero che lo possono uccidere.

C. G.: Quale immagine ha dell’Europa un americano na ­to nel vecchio mondo? Perso ­nalmente non nutro alcun particolare compiacimento per il fatto di essere europeo, ma troverei un poco imbarazzan ­te essere americano.

K.: Non sono d’accordo. Amo l’Europa e amo gli Stati Uni ­ti. Non mi sento imbarazzato in quanto americano, al con ­trario. L’America è oggi un paese diviso, e la lotta si sta facendo più intensa. Ma è un popolo meraviglioso.

 


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Bart