CINEMA: LETTERATURA: I MAESTRI: Rivette e Diderot. Lo zolfo della monaca10 Maggio 2016 di Guido Piovene La censura francese ha imbroglia to le carte sul film La religieuse, che il regista Jacques Rivette ha tratto dal romanzo di Diderot. Per due an ni ne è stata impedita la proiezione in Francia, pretendendo che la rie sumazione, sotto veste cinemato grafica, di uno stupendo romanzo del Settecento, costituisse vilipen dio degli ordini monastici, e cedendo alle rimostranze di parte di quegli ordini, che, con scarso discernimento, si credevano lesi. La polemica divam pò, tanto più che l’insulso provvedi mento era partito da livello ministe riale. Poi il film fu sdoganato, con una precauzione ipocrita, che il titolo diventasse Suzanne Simonin, la reli gieuse de Diderot, come per indicare, quella religiosa e non altre, due seco li fa, e non oggi, portata sullo scher mo per ragioni non attuali, ma sol tanto per illustrare il romanzo di un classico della letteratura. Il film appare ora sul nostri scher mi col titolo La religiosa (La mona ca, in italiano, sarebbe stato più ap propriato). Ma cominciamo col parla re di Diderot, che è meglio. Il ro manzo, per me tra i più belli che esi stano, racconta la storia di una ra gazza, forzata dai suoi genitori a una condizione che aborre. E la ragione del sopruso è ch’essa, a differenza di due sorelle, è figlia adulterina, e che la madre vuole allontanare per sem pre l’oggetto del proprio rimorso, gua dagnando col sacrificio di quella sven turata il perdono di Dio e l’ammissio ne in Paradiso. Nel suo egoismo paz zo ritiene che il salvarle l’anima im molando se stessa sia per Suzanne un dovere filiale. Cominciano le tribola zioni della ragazza in due successivi conventi nei quali si dibatte per po terne uscire, ma dopo pronunciati i voti fatali. Si vede in quei conventi quale disordine e rovina portino le monacazioni forzate in chi ha subito la violenza, e in chi gli sta intorno. La sua sventura infetta tutti. Monaci e monache coatti sono dei disperati; e la disperazione non può che render li perversi, dannati sulla terra. Il religioso che ha voluto, o che al meno accetta il suo stato, sacrifica questa vita, ma in cambio salva l’al tra, o crede di salvarla. L’uomo di mondo perde la vita eterna, ma sal va la vita terrena. Il religioso contro la sua volontà invece è perduto nell’una e nell’altra; la vita terrena gli serve soltanto per dannarsi nel rovel lo, nell’odio, nella depravazione dei desideri deviati. Le tre superiore pre poste una dopo l’altra a Suzanne so no figure di dannate in maniera di versa; le prime due, monache vere, rovinate dalla presenza della ribelle disperata. La prima, che è buona, si danna per contagio; la disperazione di Suzanne passa in lei; la sua fede si sgretola nel rimorso di averla accol ta; ha il senso che Dio l’abbandoni, e che le sue preghiere si perdano nel vuoto. Muore senza conforto. La se conda si danna perché Suzanne, con la propria rivolta, ne sfrena gli istinti malvagi. E’ una fanatica, attivista e disciplinare, partigiana cocciuta e gretta nella lotta antigiansenista; fiu ta intensioni eretiche nella ragazza che di questioni teologiche non s’in triga; perché è disperata e ribelle, la giudica indemoniata. Perciò la sotto pone a torture morali e fisiche che fanno inorridire gli stessi ispettori ecclesiastici; e con lei si danna il con vento, che trova nei suoi ordini il pretesto per infierire. La terza supe riora è una monaca pervertita. Suzanne eccita in lei una passione lesbica. Ingenuamente vi si presta nei primi approcci; poi la respinge dura mente per comando del confessore. Ma la passione si fa tragica e la su periora impazzisce. Prima di morire pronuncia le parole: «Sono dan nata ». Suzanne riesce finalmente a fuggire ma, senza mezzi, inseguita dal la polizia, non trova più posto nel mondo dal quale è stata esclusa. Scrive ad un anziano marchese do mandandogli aiuto, e il romanzo fini sce qui. Vi è un altro fatto al quale bisogna accennare. Il romanzo di Diderot è scritto in prima persona. Suzanne stessa racconta le proprie traversie. Molto pericoloso tradurre in un film un romanzo in prima persona. Esso perde una dimensione. Solo Suzanne parla nel libro, e manca ogni controllo di quello che dice. Perciò, come ca rattere, rimane in parte misteriosa. Entra nel suo racconto quel tanto di falso, di interessato e di mitomane che è inevitabile in tutte le confessioni. Il romanzo da cima a fondo sta in questa doppia luce, e alla fine anche Suzanne, la vittima, odora di zolfo. Diderot è un grande maestro dell’arte della sfumatura, della parola così esat ta che, oltre a dire se stessa, dice an che qualcos’altro, fa trasparire un sottinteso e, mentre afferma, getta in torno alla sua affermazione un’aria tremolante. Tutto nel libro ha un dop pio fondo. Per esempio: è possibile che Suzanne resti inconsapevole del l’esistenza stessa dell’amore lesbico, se descrive con una precisione impla cabile ogni minimo segno e trasali mento di esso negli atti della superio ra, fino all’estasi del piacere? Quando all’ultimo si rivolge al vecchio mar chese perché la salvi, e gli descrive, sulla carta, la sua abilità nel lavoro, fa, veramente appello alla sua carità o, sotto sotto, anche ai suoi vizi? Nel film, dove tutto è narrato non soggettivamente ma oggettivamente, questa doppia vista, che incanta nel libro, vola via: il racconto si riduce a una pura e semplice e greve serie di atti di persecuzione ferocemente in flitti da una congiura di malvagi, ec clesiastici o secolari, ad una vittima innocente. Tanto è vero che il film fe delissimo al libro fino all’ultimo istan te, è poi costretto a mutarne la chiu sa. Non può valersi di un finale in so speso, ha bisogno di una soluzione netta. Senza altre alternative che l’es sere ripresa e ridotta a una prigionia più dura, la miseria o la prostituzio ne, Suzanne fa il segno della croce e si ammazza. Ho parlato a lungo del libro perché l’unico buon risultato del film potreb be essere il portare a rileggerlo. La lettura di un testo di un rigore così perfetto, così complesso e così chiaro, anzi complesso in virtù della sua chia rezza, farebbe bene a molti, e specialmente agli scrittori. In quanto al film, è un ricalco del libro, senza invenzio ne originale, senza le doppie luci di cui ho parlato; un ricalco, ma sempli ficato, diminuito, attenuato. Mettendo si così punto per punto a confronto col libro, l’illustrazione filmica ne esce male. Il livello è piuttosto com merciale che artistico, cosa strana per un regista partito, a quanto sembra, con intenzioni innovatrici, la fotogra fia non è artistica, cioè mai viva e di retta. Si arriva a raffigurazioni bana li, le monache che giocano a mosca cieca nel giardino, con gridolini da uccelletti o da topi. La recitazione è mediocre, anzi, più francamente, la chiamerei cattiva, malgrado Anna Karina, Micheline Presle e le altre. Ammetto che è difficile far esprimere a tutte queste brave signore drammi così intricati, gli affanni della danna zione e le agitazioni teologiche; la lo ro faccia smentisce le loro parole; og gi si è avvezzi a esprimere situazioni più semplici. La parte migliore del film è quella che permétte gli ef fetti più esteriori; ossia quando Su zanne è frustata, affamata, ridotta in cenci, sputacchiata dalle crudeli con sorelle. Ma l’episodio lesbico, che nel libro è vero, bruciante, e tocca la grande tragedia, nel film diventa una burletta. Capisco la minaccia della censura, ma queste cose o si saltano o si fanno bene. Vi è solo un aspetto del film non del tutto esteriore. In rivolta contro il suo stato, e odiando ossessivamente il convento, Suzanne è una vera mo naca. Il crisma l’ha segnata a sangue. Uno psicologo profano direbbe che la religione l’ha chiusa in una cerchia d’inibizioni, di paure superstiziose; un credente che il sacramento, realtà oggettiva, agisce su di lei, suo malgra do. Ma essa non sfugge più; inadatta al convento, non è più capace di vi vere nel mondo al quale anela. Questo è anche in Diderot, ma come un elemento di una narrazione ambigua; può voltare anche in un altro modo. Invece nel racconto lineare del film questa fatalità dell’essere monaca è diventato il perno: monaca disperata, ma monaca fino alla morte. Del resto, tutti i personaggi del libro, l’ambien te in cui si muove, per cinico che sia, paiono oppressi da un terrore e da un affanno religioso reali. Diderot non era un credente, ma prendere il suo romanzo come un libello di polemica anticlericale è semplicistico, anzi idio ta. La religieuse è un dramma teologi co, che si svolge tra gente, compresa la protagonista, sempre agitata dalla idea dell’inferno: un dramma teologi co visto da un non credente, ma con gusto della verità, conoscenza di cau sa e calore di fantasia. Questo nel film si è disseccato. Sul la fine del libro vi è una frase ammi revole. Nel suo primo convento, Su zanne andava ad affacciarsi ad un pozzo in fondo al giardino, tentata di morire gettandosi dentro; le sue persecutrici speravano che lo facesse per averla morta e dannata. Al marchese, chiedendo aiuto, Suzanne scrive: Il y a des puits partout, ci sono pozzi dap pertutto. In senso letterale, luoghi in cui, se non sarà soccorsa, potrà darsi la morte. Ma anche: dappertutto la vi ta ha sotto questi vuoti; voragini che si aprono, franamenti improvvisi. Vi sono pozzi dappertutto, come quelli in cui sono cadute le tre superiore, precipitate tutte in un sottosuolo in fernale. Ma niente nel film è inferna le. E’ solo una triste vicenda piatta, freddamente narrata, in tempi lonta ni da noi, che non ci tocca più. I pozzi non sono partout, nel film, ma in nes sun luogo. Letto 1377 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||