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Rivista d'arte Parliamone
La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

Clementi, Emidio

7 Novembre 2007

La notte del Pratello

“La notte del Pratello”

Fazi Editore, pagg. 168. Euro 11,36

Lo stabile cadente e abbandonato di via del Pratello, a Bologna, ai numeri civici 76 e 78 diviene una realtà brulicante di vita e di umori nel momento in cui viene occupato, in un primo tempo dal protagonista e dagli amici Leo e Rigoni, e infine, sparsasi la voce, da altri sbandati provenienti un po’ da ogni parte, perfino dalla Sardegna e da fuori Italia: un’umanità ai margini, che nel vicino Bar di Lele ha un punto di ritrovo e di riferimento. Spesso alcuni scompaiono e non se ne sa più niente. Poi all’improvviso rieccoli al bar, quasi sempre mutati nell’aspetto, provati chissà da quale altra terribile esperienza.

La storia si nutre di questi ricordi del protagonista, un musicista come lo è l’autore, rievocati come un amarcord e accompagnati da una scrittura che dopo i primi assestamenti se ne scorre via in modo assai piacevole.

Scrive l’io narrante, che si chiama Mimì: “Rievoco questi anni trascorsi insieme, ben sapendo che non può essere l’affetto, né la compassione che mi spinge a farlo, ma qualcosa di cui non riesco a capire esattamente il motivo. Forse è il terrore di vedere le cose marcire.”

Così, a poco a poco, viene componendosi una galleria di personaggi segnati da paure, menomazioni della mente e dell’anima, frustrazioni, ossessioni. Una specie di corte dei miracoli che sopravvive alla durezza della sorte con furbizie, sotterfugi, truffe, piccole violenze, sogni e, in realtà, si chiude e si sfinisce nei suoi tormenti. Pietro Zaccardi è un randagio che con un’Ape si guadagna la vita facendo sgomberi, e il suo terrore è quello di trovarsi un giorno derubato del suo gruzzolo nascosto, Leo teme la solitudine e si mette in testa di fare di Mimì un personaggio capace di emergere da quel fango, allo scopo di tenerlo sempre legato a sé, Mauro Rigoni raggira il prossimo tutte le volte che gliene capita l’occasione.

La scrittura cresce, si arricchisce di plasticità, disegna fisionomie che diventano palpabili anche nei personaggi minori, come il ricco Nini, amico un tempo di Rigoni; il pianista del “Cabalà”; il ricco signore che suda “copiosamente”; l’antiquario; l’uomo di Porta San Felice; l’erede dell’uomo trovato morto; Lollo, il “robusto ragazzo di Viterbo”; Bogart l’idiota. S’incontrano nel corso del lavoro di Zaccardi (il vero filo conduttore del racconto) e pare di vederla la sua Ape su cui stanno appollaiati Mimì e Leo – i suoi aiutanti – che va da un posto all’altro a caricare sgomberi, piova o sia bel tempo, incontrando la gente più strana tanto nei quartieri poveri che nei ricchi; ed emerge a tutto tondo, in una Bologna fatta di stradine chic ed altre immerse nel buio, il contrasto tra chi si deve arrangiare per vivere e si è attrezzato di furbizia e di rudezza per campare e chi conduce una vita annoiata, vuota e priva ormai di significato: “Organizzano il dolore e la follia in modo meticoloso, studiato, spesso ci impiegano degli anni”.

Sono i topi di fogna, dirà Leo a Mimì, coloro cioè che vengono da un’esperienza quale la loro, i più forti, capaci di resistere a qualunque tentativo di sopraffazione.

Che arriva, come una prova spietata, quando il quartiere è attaccato dalla speculazione, che si vuole appropriare di quei tuguri per arricchirsi. Quella vita misera e disordinata che li ha plasmati e resi forti sta per subire una pericolosa “invasione” che rischia di estinguerli: “la disperazione sta guadagnando terreno, avanza e delimita il suo territorio.”

Un fenomeno, questo, che va al di là della storia raccontata e che riguarda e ha riguardato molti rioni popolari delle vecchie città, cancellati o resi irriconoscibili, mentre sarebbe bastato un sapiente restauro per conservare una preziosa e irripetibile memoria del nostro passato.

Il Pratello come roccaforte simbolo, dunque, di un modo di vivere e di pensare nel quale chissà quanti di noi, con nostalgia, ancora si riconoscono. Una roccaforte però destinata a soccombere. Al termine della festa organizzata dal rione per tentare una resistenza, Leo dirà che “il nostro destino era segnato, che nel corso del tempo l’umanità non si era mai fatta scrupolo di eliminare i più deboli della specie pur di assecondare la sua cupidigia.”


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Bart