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Con Monti ritorna il governo Dini?

14 Novembre 2011

In questi giorni, chi sa perché, non smetto di pensare al governo Dini del 1995-1996.
Nacque anch’esso dalle trame del capo dello Stato, che allora si chiamava Oscar Luigi Scalfaro (il peggiore, fino ad oggi – vedremo poi Napolitano – tra quanti hanno occupato il Quirinale).

Promise a Berlusconi che il governo Dini avrebbe realizzato alcuni punti e poi saremmo andati a votare. I punti furono realizzati a fine primavera dello stesso anno, ossia quattro o cinque mesi dopo l’insediamento, ma Scalfaro si guardò bene dal mantenere la promessa. Anzi, dichiarò che non l’aveva mai fatta e che Berlusconi era un mentitore. Così, raggiunti gli obbiettivi del programma con il quale il governo Dini aveva ottenuto la fiducia, ci si adoperò, da parte delle opposizioni e dello stesso Scalfaro, affinché ne venissero aggiunti altri, e così si arrivò alla fine del 1995, e il governo Dini sarebbe durato a lungo se non fosse stato per Bertinotti, che, ricordando che esso era nato a tempo, decise di staccare la spina.

Il governo Monti è nato dallo strappo costituzionale (gravissimo) praticato senza alcuna riflessione, ma con atto autoritario, dal presidente Napolitano, il quale si è mosso ancor prima che il presidente del Consiglio in carica rassegnasse le dimissioni. Uno sfregio di rara devastazione, che, unito a quello del presidente della Camera, il quale continua a far politica in dispregio dei doveri di imparzialità imposti dalla sua carica, costituirà un precedente poco onorevole.

Ed oggi ci si può, finalmente, spiegare perché Napolitano non sia mai intervenuto a stigmatizzare le scorrettezze di Fini. Si riservava di praticarle pure lui, quando fosse giunto il momento opportuno. Che poi è puntualmente arrivato.
In ogni caso, chi come me è favorevole ad un presidenza che abbia maggiori poteri   – sia essa del premier o del presidente della Repubblica – sarà curioso di vedere quanto il Pd, che pare aver accettato l’intervento presidenziale, resisterà alle proposte di mutamento in questa direzione.

Come quello di Dini, il governo Monti partirà con un programma limitato, circoscritto agli impegni assunti dal governo Berlusconi nei confronti dell’Europa, e – non lo si dimentichi – diventati legge dello Stato.
Che farà il Pd? Si comporterà come con il governo Dini, andando a richiedere aggiunte al programma di Monti, appoggiato da Napolitano?
Anche allora Berlusconi protestava e richiedeva di andare subito ad elezioni, ma senza risultato. La sinistra trovava il modo, appoggiata dal capo dello Stato, di inventarsi delle ragioni ritenute inoppugnabili, non solo, ma tutte rivolte all’interesse del Paese.

Accadrà ancora? Il modello è quello, e dovrebbe essere così.
Infatti, come il governo Dini fu in realtà un governo di sinistra, così è di sinistra questo di Monti. Non è affatto tecnico, e le ovazioni ricevute dalla stampa di sinistra lo dimostrano. Diranno che lo fanno poiché si tratta di salvare il Paese e Monti è l’uomo giusto. Ma la verità è un’altra. Ed è quella che con l’asse Monti-Napoletano, è la sinistra che ne trarrà vantaggio. Lo sa bene, anzi benissimo, ed ha ordinato proprio per questo a tutte le sue truppe cammellate di spellarsi le mani per applaudire il nuovo salvatore della Patria.

Toccherà a Berlusconi e ai suoi non farsi irretire, e a staccare la spina quando apparirà chiaro che il governo Monti starà preparando il terreno favorevole per dare alla sinistra, una volta giunta al potere, una stanza dei bottoni ripulita e adeguata ai suoi fini egemonici.
Ce la farà? O succederà come con il governo Dini, verso cui sprecava solo il fiato?

Qualcuno obietterà che a quel punto l’ala montiana, guidata da uno smarrito Formigoni (mi sono molto meravigliato anche di Lupi), minaccerà la scissione.
La si faccia, senza alcun timore. Chi arriva a fare la scissione, significa che è al di fuori della democrazia, ed è bene che vada con quelli che della democrazia ci riempiono i cestini della spazzatura.

Sono convinto che un Pdl ridimensionato, anche se non sarà più il partito di maggioranza relativa, per la percentuale di voti che sarà sempre in grado di raccogliere presso l’elettorato potrà ancora dire la sua per la modernizzazione dello Stato.
E chi sa che non riesca a contare di più di quanto abbia contato fino ad oggi come partito di riferimento della maggioranza.

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