Due parole a Vittorio Feltri sui casi Boffo e Mesiano5 Dicembre 2009 Su Il Giornale (qui e qui) Vittorio Feltri, rispondendo ad una lettrice,  Eva Cambra,  scrive che il contenuto della nota anonima che accompagnava il certificato del casellario giudiziale in cui è registrata la condanna per molestie telefoniche di Dino Boffo (ex direttore de L’Avvenire), entrambi riprodotti in foto a fianco dell’articolo a sua firma, non era attendibile, dopo che si è potuto accedere agli atti. Scrive, infatti: “personalmente non mi sarei occupato di Dino Boffo, giornalista prestigioso e apprezzato, se non mi fosse stata consegnata da un informatore attendibile, direi insospettabile, la fotocopia del casellario giudiziale che recava la condanna del direttore a una contravvenzione per molestie telefoniche. Insieme, un secondo Nella nota anonima si faceva intendere una omosessualità attribuita a Dino Boffo. Feltri in pratica chiede scusa per questo cattivo controllo dell’informazione ricevuta, e si giustifica con il fatto che proveniva da persona “attendibile, direi insospettabile”. Questa pubblica ammissione è un gesto da apprezzare. Altri, probabilmente, non lo avrebbero fatto, visto il clamore che ha sollevato. E’ una responsabilità per la quale non bastano le scuse. Si dirà , non è la prima volta che un giornale incorre in questi sbagli. E’ vero anche questo, ma l’occasione dovrebbe servire finalmente a far riflettere una volta per tutte. Quella del giornalista è una professione delicata che può rovinare la vita di una persona e dei suoi familiari irrimediabilmente. La serietà , quella che si chiama deontologia, è un presupposto ineludibile. Detto questo, vediamo di nuovo il caso Boffo. Ne scrissi qui (importanti anche i commenti). “«Nè scuse né lacrime », nè tanto meno «una retromarcia », ma solo «una doverosa precisazione ». Vittorio Feltri definisce in questo modo la sua presa di posizione sul caso Boffo. «Sono trascorsi tre mesi dalla notizia che abbiamo pubblicato su Boffo – ricorda Feltri – e soltanto negli ultimi giorni il nostro condirettore Alessandro Sallusti ha avuto la possibilità di dare una sbirciatina alle carte secretate e ha verificato che non si parla di «omosessuale attenzionato ». Perciò abbiamo dato la precisazione, e basta. Se Boffo avesse desecretato gli atti, probabilmente l’avremmo fatta il giorno dopo. L’omosessualità , certo, non è un reato, ma le molestie rimangono e così pure la pena pecuniaria ». Per Feltri, si è dunque trattato di «una doverosa precisazione: se si dà una notizia in un modo e poi si scopre che un particolare era sbagliato, è giusto provvedere. Non ho mai avuto nulla di personale contro Boffo: sappiamo che è un bravo giornalista e una persona perbene alla quale nella vita è capitato un incidente e noi l’abbiamo riferito. Nel riferirlo, visto che gli atti erano secretati a abbiamo detto una cosa che non era, abbiamo rettificato – conclude – come usano fare giornali corretti ».” Sono d’accordo. Mentre rimprovero a Feltri la mancanza di una verifica doverosa sul contenuto della nota in cui si alludeva ad una aeventuale omosessualità dell’ex direttore de L’Avvenire, sono d’accordo con lui che una colpa sussiste a carico di Boffo ed è quella espressa inequivocabilmente dal certificato del casellario giudiziale, e sulla quale mi focalizzai nel mio post surrichiamato, considerando l’eventuale omosessualità un fatto privato e da rispettare. Considero, infatti, l’omosessualità una componente naturale del nostro essere, di cui nessuno deve vergognarsi. Considero invece, come lo considera la legge, un reato la molestia, sia fisica che telefonica. Ossia non sono d’accordo con Feltri che si tratti di una bagattella. E’ il fatto grave, invece, che io attribui a Boffo nel mio articolo, e che ancora oggi confermo. Le molestie di qualsiasi natura siano, se addirittura reiterate,  sono un’infamia. Si legge sul certificato del casellario giudiziale (sulla veridicità del quale non c’è contrasto)  che su ricorso di una donna, Dino Boffo è stato condannato: “perché, effettuando ripetute chiamate sulle sue utenze telefoniche nel corso delle quali la ingiuriava anche  alludendo ai rapporti sessuali con il suo compagno  (condotta di reato per la quale è stata presentata remissione di querela) per petulanza e biasimevoli motivi recava molestia a (omissis)” Non è nella eventuale sua omosessualità la colpa di Boffo, ma nell’aver molestato telefonicamente una signora. E’ un comportamento spregevole e vile. Quindi trovo fuori posto le reazioni della Cei e di Avvenire. La colpa di Boffo, a mio avviso, resta grave, e le sue dimissioni dalla direzione del quotidiano erano dovute. Parlare di far ritornare Boffo alla direzione di Avvenire, dopo le scuse di Feltri,  è dare l’esempio pubblico che  praticare la molestia (fra l’altro nei confronti di una donna)  è una bagattella. Non è così. Non si commetta l’errore di dare un messaggio sbagliato. Si dirà , chi sa quanti sconosciuti praticano la molestia (sessuale, ricattatoria, denigratoria e via di questo passo). Se verranno scoperti, li si condannino, come si è condannato Dino Boffo. Ora veniamo al caso del giudice Raimondo Mesiano. A seguito di una notizia, riportata sempre sul quotidiano diretto da Vittorio Feltri, qui, volli scrivere un articolo, in cui, se fosse stata vera la notizia, ne rimarcavo la gravità . Intitolavo: “Necessaria la verità sul giudice Mesiano autore della sentenza sul Lodo Mondadori”. Mi aspettavo che il quotidiano sviluppasse nei giorni successivi la notizia, il cui contenuto rendeva evidente che quel giudice mancava della terzietà imposta dalla Costituzione nella causa sulla Finivest, sulla quale era chiamato proprio Mesiano a decidere. Ma niente. “Gentile Direttore, Probabilmente non ho il fascino della signora Eva Cambra, ma non ho ricevuto ad oggi alcuna risposta, che so: Guardi, ne abbiamo parlato ancora qui, e qui, e qui, e così via. Oppure: ci siamo sbagliati. Invece un silenzio di tomba. Ecco, questo non è giornalismo, come, del resto,  non lo è quello di altri quotidiani. Articoli correlati”Feltri ci ripensa” di Francesco Ognibene”. Qui.Letto 2339 volte. | ![]() | ||||||||||
Commento by Ambra Biagioni — 5 Dicembre 2009 @ 11:28
Sì, i giornali e i giornalisti non sono più credibili, perché hanno perso per strada quella che si chiama deontologia della professione. Si servono della possibilità di scrivere e farsi leggere per raffazzonare fatti con opinioni, per cui i lettori non riescono più a distinguere quali siano veramente i fatti e dove invece cominci l’opinione e la personale interpetrazione dei fatti.
Forse oggi tutti son diventati “giornalisti” senza essere passati prima dalla professione del “cronista“, il buon vecchio cronista che dava le notizie nude e crude, senza commento.
Se in ogni giornalista ci fosse, radicata, l’abitudine ad essere prima cronista e poi commentatore, forse avverrebbero meno confusioni: prima la cronaca dei fatti e poi il commento.
Commento by giuliomozzi — 5 Dicembre 2009 @ 12:53
Ma: che quel documento fosse una bufala, era evidente. Io direi così: Feltri ha colta l’occasione per creare problemi a Boffo, e l’ha usata pur rendendosi perfettamente conto che il documento era una bufala. Ora, poiché c’è una denuncia per diffamazione, si inventa il “ripensamento”. Questa ovviamente è solo una mia immaginazione, per la quale non dispongo di prove. Ricordo tuttavia che Feltri non esitò a dichiarare pubblicamente (e analiticamente, citando una per una tutte le sue menzogne) di aver mentito su Di Pietro, pur di risparmiare sul risarcimento…
Nell’elenco del telefono italiano non risultano persone che si chiamino “Cambra” di cognome. Esistono almeno due “Eva Cambra” negli Stati Uniti. Presumo – presumo soltanto, per carità – che Feltri si sia scritto da sé la lettera alla quale ha risposto, per darsi un’occasione di pubblicizzare il proprio “ripensamento” (è una pratica abbastanza diffusa nei giornali, mi dicono gli amici giornalisti).
Continuo a non capire perché Boffo dovesse dimettersi. Aveva subito anni prima un processo e una condanna (assai lieve, così lieve da rendere credibili – non certe, per carità – le spiegazioni  di Boffo: le telefonate partivano dal telefono della mia stanza, ma non le facevo io); aveva pagata l’ammenda. La cosa era nota (ne avevano già parlato altri giornali, i datori di lavoro di Boffo lo sapevano eccetera). Perché mai, così all’improvviso, solo perché “Il Giornale” tirava fuori la storia condendola col documento-bufala (privo di intestazione, di firma, di destinatario, di data…) avrebbe dovuto dimettersi?
Non so. Io sono indagato per diffamazione a causa di un link pubblicato in vibrisse anni fa. Non mi sento per questo una persona indegna.
Commento by Bartolomeo Di Monaco — 5 Dicembre 2009 @ 14:33
Giulio, sui comportamenti di taluni giornalisti sono d’accordo con te.
Invece m’interessa il reato di molestia. Nessuno ha smentito il certificato del casellario giudiziario. Se anche questo fosse un falso, ovviamente il discorso cambierebbe. Posto che è autentico, devo ricordare che le molestie di Boffo sono durate nel tempo (l’ultima riga che non ho riprodotto perché non sicuro se si riferisca proprio a questo) parlerebbe di una reiterazione che va dall’agosto 2001 al gennaio 2002.
La giustificazione addotta all’epoca da Boffo, ossia che fu un tossicodipendente, peraltro defunto,  a fare quelle telefonate non fu creduta dagli inquirenti. Devo prendere atto di questo, e del resto il certificato parla da sé.
Detto questo, c’è una bella differenza tra quanto viene addossato a te (un link pubblicato su vibrisse, di cui magari non sei il diretto artefice, ma ti hanno coinvolto solo perché sei il direttore, nonché il  fondatore di vibrisse) e il reato di molestie, anche se telefoniche. Il capitolo molestie non  riguarda mai bagattelle, come dice Feltri, ma la molestia parte sempre da una morbosa e delittuosa intenzione. Quelle telefoniche sono rappresentative in più di una esecranda viltà .
Del resto, non è da oggi che si stanno facendo campagne per combattere ogni tipo di molestia tesa ad invadere e a lacerare la vita di una persona.
Per quanto riguarda il tuo caso, chi ha aperto su di te un’indagine non ti conosce. Non sa nulla della tua onestà intellettuale e morale. Puoi chiamarmi a testimoniare, se lo credi (verrò molto volentieri e a mie spese) per portare la mia esperienza sui rapporti intrattenuti ormai da più anni con te e con la rivista alla quale ho collaborato per molto tempo.
A me capitò di peggio, e riguarda sempre la giustizia. Lo racconto per la prima volta pubblicamente  perché è un esempio del suo cattivo funzionamento.
Anni fa, mi pare alla fine degli anni ’80, ero direttore di una filiale della mia banca. In tale veste, ogni anno mi giungevano le domande delle famiglie meno abbienti che desideravano inviare un loro bambino nelle colonie organizzate dalla mia banca. Erano molte ed io dovevo decidere per 20 posti, se non ricordo male.
Scelsi i 20 bambini che mi sembravano più bisognosi, scartando gli altri. Tra di essi un bambino, pure lui bisognoso, che però aveva già usufruito nel passato del beneficio.
Apriti cielo! Capitò la madre è inveì contro di me in tutti i modi, dicendo che avevo  commesso un’ingiustizia. Le spiegai, insieme con la mia segretaria, le ragioni per cui non avevo inserito suo figlio, ossia che altri, a mio giudizio,  erano più bisognosi di lei, o non avevano mai beneficiato della colonia.
Se ne andò e tornò qualche tempo dopo, assieme con il marito. Stessa scenata, stesse parolacce contro di me. Rimasi inamovibile e se ne andarono.
Qualche settimana dopo, arriva in filiale il maresciallo dei locali carabinieri e mi consegna una querela sporta da questa signora, Â con la quale mi si accusava di averla insultata alla presenza del marito.
Il maresciallo mi disse che mi ero imbattuto in una famiglia di cattiva fama. E capii così che la signora, la seconda volta, aveva condotto il marito (sicuramente d’accordo con lei) per averlo come testimone nella querela che già avevano programmato  di presentare contro di me per una specie di vendetta.
La banca mi difende con un avvocato famoso della mia città . Io cito a testimone la mia segretaria.
All’ora fissata per la causa, tutti siamo in attesa dell’arrivo del marito della donna. Mi giunge voce che il marito è finito in carcere (era un abituè) e si aspettava che lo conducessero davanti al pretore (una donna) per essere ascoltato.
Quando giunse, rimasi sbalordito. Arrivò scortato da due carabinieri e in catene.
Fece la sua deposizione (confermando che avevo insultato la moglie), avendo ai fianchi due carabinieri che lo tenevano sotto scorta!
Testimoniò anche la mia segretaria, esponendo invece quanto avevo detto la prima volta alla signora e poi alla signora in presenza del marito, e negò che io avessi rivolto insulti alla donna.
Ebbene, il giudice dette ragione al marito che si trovava agli arresti perché spacciatore di droga, e non alla mia segretaria. Fui condannato con la condizionale, poi arrivò, credo qualche anno dopo, un’amnistia, che cancellò quella iscrizione sul mio certificato penale.
Naturalmente – per il mio carattere e per il senso della giustizia che ho imparato soprattutto da mio padre, agente carcerario -, scrissi al giudice rammaricandomi che avesse potuto credere ad uno spacciatore di droga e non alla mia segretaria, e che il suo giudizio era stato influenzato dal fatto che io ero un direttore di banca. Dissi con orgoglio che io non ero nato direttore di banca, ma lo ero diventato, e che i miei genitori erano figli di contadini; persone forse più modeste addirittura dei miei querelanti, ma persone oneste.
Tu sei una persona degnissima, Giulio, non perché lo dico io, ma perché lo dicono molti che ti conoscono. Non devi temere nulla. Se avrai bisogno, ripeto, sono a tua disposizione, perché lo meriti.
Commento by giuliomozzi — 6 Dicembre 2009 @ 00:21
Bart, quanta confusione!
Scrivi: “(un link pubblicato su vibrisse, di cui magari non sei il diretto artefice, ma ti hanno coinvolto solo perché sei il direttore, nonché il  fondatore di vibrisse)”. No: si tratta di un link inserito da me. E non ha alcun senso che tu ti offra di testimoniare sulle mie qualità morali: il processo, se ci sarà , non concernerà le mie qualità morali, ma quel link e il suo eventuale contenuto diffamatorio.
Racconti un episodio, che ti concerne personalmente, di cattivo funzionamento della giustizia. Possiamo fare l’ipotesi che la giustizia possa aver funzionato male anche nel caso di Boffo?
A proposito di questo episodio, racconti che scrivesti al giudice “rammaricandoti che avesse potuto credere ad uno spacciatore di droga e non alla tua segretaria”. Allora dimmi: il giudice che (se non sarà archiviata) prenderà in mano la mia pratica, dovrebbe credere a me o a un molto più noto di me (e molto più pagato di me) giornalista televisivo?
Sei davvero convinto che un giudice dovrebbe dividere i testimoni in attendibili e non attendibili sulla base della professione, dell’appartenenza di classe, della fama di persone perbene, eccetera?
(Pensa che un mio vicino di casa, persona stimata da tutti – anche da me -, ammazzò la moglie).
Scrivi: “La giustificazione addotta all’epoca da Boffo, ossia che fu un tossicodipendente, peraltro defunto,  a fare quelle telefonate non fu creduta dagli inquirenti. Devo prendere atto di questo, e del resto il certificato parla da sé”.
Il certificato dice che fu comminato il minimo della pena.  Questo vorrà dire qualcosa, immagino, sull’entità del reato.
M a il punto è che un fatto ben noto (ne parlarono a suo tempo vari giornali) è diventato all’improvviso scandaloso. E perché è diventato scandaloso? Perché Feltri lo ha connesso con un documento la cui falsità era ed è palese, ed è ora ammessa – presumo per convenienza: ma la mia è solo una presunzione – anche da Feltri.
E mi resta da capire perché una persona che non ha nessun conto aperto con la giustizia debba dimettersi dalla direzione di un giornale.
Commento by Bartolomeo Di Monaco — 6 Dicembre 2009 @ 02:05
Per valutare la portata del link, a questo punto dovrei leggerne il contesto, ma questo argomento era un inciso, come un inciso era il mio esempio personale.
Certo che i giudici sbagliano (io sono tra quelli che vorrebbero che rispondessero di  taluni loro errori di una certà gravità ). Esempi ce ne sono. Basti pensare a Tortora.
Può essere che il certificato che riporta la condanna di Boffo sia frutto di un errore. Ma i giudici non hanno creduto a Boffo e Boffo, invece che resistere,  ha patteggiato preferendo non arrivare al chiarimento con una decisione definitiva della magistratura. Il fatto che si sia fermato al patteggiamento, lasciando un’ombra su di sé, è una scelta di cui doveva valutare le conseguenze. Oggi nessuno può dire che Boffo fu estraneo alle molestie, mentre chiunque può dire che egli le commise, in forza di quel certificato.
Nel mio caso personale, l’errore c’è stato, non solo perché, essendo parte incriminata io so la verità , ma un giudice, visto il testimone, avrebbe dovuto dedurre la strategia del comportamento deidue coniugi. Un giudice deve ragionare. E il ragionamento, nel dover soppesare da che parte stava la verità , era molto semplice, non occorreva alcun acume. Non occorreva avvalersi di Sherlock Holmes.
Bastava domandarsi perché dopo che era venuta la moglie e la questione era stata chiarita, la stessa era tornata col marito per sentirsi ripetere la canzone. Le cose non accadono per caso. Sempre c’è una  ragione.
E la ragione non poteva che essere quella di portarsi dietro un testimone per costruire (insieme) l’accusa.
A questo ragionamento non ci sono arrivato io perché, conoscendo la verità , per me era facile arrivarci, ma perché, se un giudice ha la testa per ragionare, doveva arrivarci pure lui.  Avrebbe dovuto domandarsi, infatti, sentite le testimonianze di pari peso e contrarie (della mia segretaria e del marito della donna), e non avendo, come Salomone, a disposizione un bambino da tagliare in due metà , perché la donna era ritornata una seconda volta e in quella occasione insieme col marito. Avrebbe dovuto capire (anche per esperienza nel mestiere di giudice) che la ragione di quella seconda volta in compagnia del marito era quella di crearsi un testimone, anche se fasullo.  Persone abili, dunque,  ed esperte più del giudice.
I giudici, questo è il significato della lettera che scrissi, spesso non ragionano perché sono accecati dal pregiudizio (direttore di banca vs spacciatore di droga: perché non punire un direttore di banca, che fa tanto sinistra?)
Spero di essere stato chiaro. Non parlavo di differenze sociali, ma di fronte a due testimonianze opposte, occorreva farsi aiutare dall’analisi dei fatti, oggettivamente, senza pregiudizi.
Tornando a Boffo. Che Boffo fosse stato condannato per molestie telefoniche forse lo sapevano in pochi, e forse nemmeno la Cei. Quello che è certo è che  il suo passato è  balzato alla cronaca quando Feltri ha esibito il certificato del casellario giudiziale insieme con la nota risultata poi falsa (e la colpa di Feltri non è quella di aver mostrato il certificato del casellario giudiziale, ma di averlo accompagnato con una nota falsa)
Ora se la nota è falsa non per questo viene meno l’importanza del certificato del casellario giudiziale. Voglio dire che esso rappresenta la colpa oggettivamente a prescindere dalla nota falsa con la quale era stato accompagnato.
E il certificato parla di reato, anche se espiato con un’ammenda. Ed è chiaro che oggi Boffo non deve nulla alla giustizia. Ma il fatto non si cancella.
E ciò che ho scritto nel precedente commento lo confermo; ossia,  che le molestie di qualunque tipo (telefoniche o fisiche, sessuali o meno) ammorbano la società di oggi, tanto è vero che sono nate associazioni a tutela, per esempio, delle donne.
Il significato della nascita di tali associazioni è quello che la molestia è un morbo sociale che va combattuto. Ed io mi trovo in perfetta sintonia.
Il molestatore è una persona viscida e vile.
Sapere che una persona che ha avuto il coraggio di fare cose del genere  (ripeto: l’ombra su di sé è lui che ha deciso di lasciarla, rifiutando di pervenire ad una sentenza assolutoria) abbia diretto o dirigerà un giornale della Cei mi fa rabbrividere al solo pensarci.
Giulio, non fare l’errore di sottovalutare la gravità di  reati come questi, Morbosi e viscidi, a prescindere dalla levità della pena. Moralmente la molestia è peggiore di un delitto compiuto accecati dall’ira. Essa è meditata, se ne conoscono, prima di metterla in atto, gli effetti laceranti, quasi sempre ci se ne compiace. E quasi sempre (come sembra nel caso di Boffo) la si reitera per un certo tempo.  Esecrabile  squallore.