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FAVOLE: Il merlo Merlino e il signor Merlot

30 Gennaio 2008

di Lucetta Frisa
[Gli ultimi libri di poesie pubblicati da Lucetta Frisa sono: “L’altra”, Manni, 2001 e “Se fossimo immortali”, Joker, 2006]

Il merlo Merlino era un piccolo merlo dalle piume sempre arruffate, che apparteneva al signor Merlot, un signore come ce ne sono tanti, sempre vestiti di grigio o di beige, che vivono da soli perché sono molto timidi e convinti che tutti gli uomini sono cattivi e la vita una cosa triste da sopportare con rassegnazione.

    Il merlo Merlino viveva appollaiato in cima al suo trespolo, da dove dominava,con i suoi occhietti che sembravano intorpiditi e invece erano molto svegli, tutto l’appartamento del suo padrone, mentre il suo padrone viveva appollaiato su uno sgabello davanti alla scrivania del suo ufficio e non dominava niente e nessuno. Collegarsi a Internet, sul computer, gli dava la fantastica sensazione di attraversare il mondo, il tempo e lo spazio, ma poi, quando lo spegneva, questa illusione finiva di colpo.
    Il merlo Merlino beveva acqua, fischiettava tutto il giorno ed era abbastanza felice.   Dico abbastanza perché, in fondo, gli sarebbe piaciuto, come a tutti gli uccelli, volarsene via fuori dalla gabbia e fuori dalla finestra. Mentre il signor Merlot, poverino, mangiava poco perché soffriva di bruciori allo stomaco, però… per consolarsi un po’, non poteva fare a meno del merlot. Come sapete, il merlot è un delizioso vino veneto, veneto come il signor Merlot, che si chiamava proprio come il vino. Ma il vino era rosso brillante, il signor Merlot, grigio spento. Insomma, non era per niente felice.
    Tornava alla sera tardi dal lavoro, si buttava come un sacco sul divano del soggiorno, e borbottava.
      – Non ne posso più. Domani gli dico tutto quello che penso, a quello là (quello là era il suo collega Fortebraccio, un fustaccio alto e biondo, palestrato e molto fortunato. Gli faceva un sacco di dispetti e lo umiliava( ora questo si chiama mobbing). Imparerà a conoscermi. Dovrà chiedermi scusa o lo farò licenziare.
    Poi alzava lo sguardo su Merlino che se ne stava un po’depresso e arruffato nella gabbia – e sospirava.
    – Merlino mio, solo tu mi capisci.
    A quel punto il merlo, che era stato ammaestrato, rispondeva.
    – Bravo Merlot, sei un figo. Fortebraccio è una ciofeca.
    Allora Merlot, più sollevato, gli dava da mangiare.
    Dopo mangiava anche lui, cioè mangiucchiava cosucce prese a caso dal frigo,   fredde e insipide, ma il merlot non mancava mai.
    Finita la cena, diventava sentimentale (il merlot cominciava a fare il suo effetto) e iniziava un altro lamento.
    -Oh Agata, Agata del mio cuore, dove sei? Cosa fai? Con chi sei?
    Agata era una ragazza che abitava al piano superiore. Il signor Merlot era troppo timido per rivolgerle la parola quando la incontrava nell’ascensore o al supermercato.
    Il merlo aveva imparato a dire
  – Agata,ti amo.
    Poi il signor Merlot accendeva la tivù, si sdraiava sul divano e si addormentava   come un sasso sognando Agata.
    Tutte le sere si ripeteva la stessa scena.
    Il merlo Merlino non ne poteva più. Le sue piume erano diventate una matassa aggrovigliata. Aveva già la venerabile età di tredici anni e a forza di assistere a questa scenetta per 4743 volte – dato che si moltiplica 365 che è il numero dei giorni dell’anno, per 13 – il numero egli anni di Merlino –   era sempre sull’orlo di una crisi di nervi.
    Ma una sera – non si sa se la 4746 esima o la 4747 esima – il merlo Merlino si ribellò. Invece di dire Bravo Merlot, sei un figo, quando era il suo turno di parlare, si mise a fischiare. Un fischio così lungo, acuto e potente, che tutte le finestre del quartiere si spalancarono, le luci si accesero, la gente si affacciò, protestando. Immaginava che quel suono provenisse da un nuovo modello di antifurto.
    Anche il signor Merlot si affacciò, facendo finta di niente ma era sconvolto perché il suo merlo ammaestrato,dopo tredici anni di assoluta obbedienza, si era comportato così.
    Quella sera, il merlo Merlino continuò a fischiare fino a notte alta, non c’era verso di farlo tacere. Neppure lasciandolo a digiuno, neppure dandogli da bere qualche goccia di merlot. Anzi…
  Questo non era che l’inizio di una serie di fatti straordinari.
    Infatti, la mattina seguente, il timido signor Merlot, disse al collega palestrato e fortunato, quello che da troppo tempo gli pesava sullo stomaco. Fortebraccio rimase a   bocca aperta, perché mai si sarebbe immaginato da lui tanto coraggio, ma il suo stupore aumentò quando Merlot, con un sorriso, lo invitò a cenare a casa sua.
  – Le farò assaggiare il mio merlot – balbettò Merlot, emozionato.
    Anche Merlot era stupito di sé stesso.
    Anche Fortebraccio era un bevitore accanito – non di merlot ma solo di acqua e limone- e accettò subito l’invito con entusiasmo. Anche il signor Merlot fu molto stupito della reazione del collega. Un tipo come lui – pensava Merlot – campione di surf e sempre molto aggiornato sugli ultimi modelli dei cellulari, avrebbe fatto cadere dall’alto il suo consenso.
    Invece Fortebraccio andò a trovarlo la sera stessa. Entrò nell’appartamento   guardandosi in giro come un gallo che prende possesso del pollaio, e con la voce al massimo volume. Raccontò tutte le sue imprese, passate, presenti e future, mentre Merlot lo ascoltava ammirato e anche un po’invidioso, rannicchiato nel divano.
    Fortebraccio, quella sera, invece dell’acqua e limone, bevve 14 bicchieri di merlot. Merlino li aveva contati dal suo posto di osservazione, e quando lo vide ingoiare il quindicesimo e mettersi a raccontare un’altra delle sue imprese, non resistette più a quelle bufale e fischiò.
  Il fischio assomigliava al suono di un antifurto.
  – Chi fischia? – sobbalzò spaventato Fortebraccio, rovesciando il merlot sul tappeto.
  Fino a quel momento, non si era accorto della presenza di Merlino.
  – Fortebraccio è una ciofeca –   disse il merlo Merlino – Merlot è un figo.
  – Le presento il mio merlo – balbettò Merlot, rosso e confuso – non faccia caso a quello che dice.
  – Ma allora voi non mi credete – Fortebraccio si sgonfiò come un pallone bucato. Il suo vocione diventò una vocetta da bambina.
  – Fortebraccio è una ciofeca. Fortebraccio è una ciofeca – insisteva il merlo come un disco rotto e con le piume sempre più arruffate.
  – E’ vero, sono una ciofeca – piagnucolò Fortebraccio – Io sono un uomo solo e alla sera bevo acqua e limone per farmi compagnia e di giorno vado in palestra per farmi i muscoli e a lezione di canto per ingrossarmi la voce…e faccio credere alla gente di essere quello che non sono. Perché mi vergogno di me.
    A questa improvvisa confessione, Merlot restò senza fiato. Si slanciò ad abbracciare Fortebraccio e gli gridò, commosso
  – Amico mio!
    Il merlo Merlino riprese a fischiare, ma questa volta il suo era un fischio all’americana e cioè un applauso.

    Le novità nella vita del signor Merlot, non finirono qui. L’amicizia con Fortebraccio lo rese meno timido e più contento. Alla sera Fortebraccio gli insegnava a cantare accompagnandosi con la chitarra. Merlot si comprò un tamburo. I loro concerti finivano sempre con un lungo fischio di approvazione: quello di Merlino.
  Ora Merlot era pronto ad affrontare un incontro con Agata, la ragazza del piano superiore. Aveva molti argomenti per rompere il ghiaccio.
    Eccola sul pianerottolo. Portava i sacchi della spesa. Portava anche i capelli neri sciolti sulle spalle, i tacchi alti e un piercing brillante sul lobo dell’orecchio. Era bellissima, almeno così sembrava a Merlot.
    – Forse, di sera, la disturberemo con la nostra musica – disse Merlot mentre il cuore gli batteva più del suo tamburo –   Volevo scusarmi molto per questo.
    – Ma si figuri! – rispose Agata con un sorriso sfavillante – la musica mi piace. Solo che non capisco quel fischio, alla fine delle vostre esecuzioni. Che cos’è?
    – Ma è Merlino, il mio merlo.
    – Lei ha un merlo? Oh guarda! Non lo sapevo!
    – Vuole che glielo presento? – Merlot si fece audace.
    – Ma   con piacere! Adoro gli uccelli.
    – Prego, si accomodi.
    Agata entrò nell’appartamento di Merlot come se ci fosse sempre stata. Si guardava in giro incuriosita, cercando con gli occhi la gabbia di Merlino.
  Merlot si fece ancora più audace.
 – Gradisce un bicchiere di merlot? Poi si pentì perché le donne che lui aveva conosciuto preferivano tutte l’aranciata.
  –   Con piacere. E ci possiamo anche mangiarci insieme qualcosina. Le va?
  Agata aprì il sacco della spesa, estrasse un sacchetto di patatine, un sacchetto di olive, un sacchetto di stuzzichini vari, un sacchetto di grissini, un sacchetto con del parmigiano e un salame.
  Si accomodarono sul divano. I due occhioni teneri di Agata era meglio non guardarli troppo da vicino per non farsi venire le vertigini. Da seduta, poi, si vedevano bene le sue belle gambe.
  Un fischio potente li fece sussultare.
  – Non si preoccupi. E’ il mio merlo – disse Merlot, arrossendo –   vorrei che lei lo vedesse…
    Ma dov’era? Merlino non era più in gabbia. Era riuscito ad aprirla e stava appollaiato sul lampadario. Come aveva fatto? Anche lui, da lassù, con la testa rovesciata, vedeva l’appartamento in modo diverso.
    Merlot si ricordò che, ai tempi di suo padre, gli uomini, quando vedevano una bella ragazza, si mettevano a fischiare. Forse Merlino lo sapeva?
  – Alla nostra salute! – disse Merlot, alzando un bicchiere di merlot- e lui e Agata si misero a ridere di trovarsi lì, a bere il merlot, a mangiare tutto quello che c’era nei   sacchetti, dopo tanti anni che si conoscevano e vivevano sotto lo stesso tetto senza avere mai fatto amicizia.
    Ci fu un lungo silenzio un po’ imbarazzato, durante il quale la signorina Agata si sistemò le pieghe della gonna, si lisciò i capelli con le mani e si raschiò la gola. Il signor Merlot batté nervosamente la suola sul pavimento e cominciò a grattarsi un foruncolo.
    – Agata, ti amo – urlò il merlo Merlino all’improvviso, dall’alto del lampadario e quella frase ebbe l’effetto di un’esplosione.   Merlot e Agata, prima sobbalzarono, poi caddero l’uno nelle braccia dell’altra.
    Era fatta.
    Il merlo scese giù dal lampadario, girò i suoi occhietti vivaci e soddisfatti sui due innamorati, poi sulla sua gabbietta aperta e, con un leggero saltello, volò fuori dalla finestra. Aveva le piume lisce, tutte a posto.
    Ora, si sarebbe sentito di troppo, tra quei due.


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A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart