Fini. Un leader grande soltanto nella politica della slealtÃ19 Agosto 2012 di Giuliano Ferrara Non vorrei che la abbondante e dedicata campagna sulla scor Âta di Fini, sulle sue abitudini vacanziere, sulla infinita pac Âchianeria sua e della compagnia di giro che lo attornia e gli si lega al collo come una delle famigerate cravatte rosa che gli pendono troppo lunghe sulla figura, met Âtesse in ombra la infinita stupidità politi Âca del suo comportamento pubblico e la scarsa dignità repubblicana del modo che ha scelto per rivestire un ruolo, quello di presidente della Camera, che ebbe in passato una qualche importanza. Ero con Âtrario alla sua cacciata, allo spirito di rissa con il quale Berlusconi e il gruppone degli ex An risposero alle sue provocazioni, e avevo ragione io senza se e senza ma, visto come sono andate poi le cose. Ma il punto non è questo. Cosa fatta capo ha, anche quando sia una cosa senza capo né coda. Dopo l’uscita di Casini dal centrodestra nel 2008, con la formazione del Pdl, locu Âpletato dopo la vittoria elettorale di una presidenza d’assemblea che è anche una tribuna politica di prim’ordine, Fini ave Âva occupato una posizione, non dirò con Âvincente, ma realistica e anche interessan Âte. In pratica: ho cinquantasei anni, sono l’altro leader dopo Berlusconi, per la suc Âcessione devo emendarmi ulteriormente delle mie origini ideologiche e partitanti tutto sommato impalatabili per la maggio Âranza degli italiani, siedo su un tronetto istituzionale in cui fare un po’ di trasversalismo politico e culturale è quasi ovvio, dunque parlo di una destra moderna, tem Âpero e modero qualche eccesso del Cavaliere, mi comporto leal Âmente verso la politica e l’uomo che mi ha tiratofuori dall’angolo, ma costruisco un discorso indi Âpendente e insieme compatibile con la situazione in cui mi trovo. Gli argomenti erano abborraccia Âti, ma il controcanto, come lo chia Âmava il Cav, un suo senso ce l’ave Âva. Poteva alla lunga risultare uti Âle al blocco di forze al quale Fini apparteneva inestricabilmente, poteva aiutare tutti e lui per pri Âmo arricchendo la destra modera Âta di una nuova prospettiva. Come è universalmente noto, il tutto finì a schifìo, anche perché le polemiche bisogna saperle go Âvernare con sapienza, e Fini è un piccolo mossiere della politica troppo ignorante per capirne la vera natura. Che ti fa, il leaderissi Âmo, dopo la caduta? Tutto quel che è necessario per avvalorare i sospetti dell’elettorato di centro Âdestra: una politica generica di slealtà , di resa alle ragioni degli avversari, di simbolica e grotte Âsca Âdedizione a un centrismo pen Âdolare senza fascino e senza idee. Anche quelli come me che pensa Âvano come significativa o almeno accettabile la sua posizione pri Âma della rottura con lo schiera Âmento di appartenenza, hanno dovuto riconoscere che l’uomo non ha la stoffa per tenere un di Âscorso credibile, che il suo unico problema è la rielezione in Parla Âmento, la continuità di rito della sua posizione nel palazzo politi Âco, e nulla più. Diventato un classico né carne né pesce, Fini non ha ottenuto, né non poteva ottenerlo, alcun rico Ânoscimento serio e sincero nel mercato del consenso e dell’opi Ânione. È rimasto solo con un pu Âgno di simpatici e meno simpati Âci marrazzoni, un piccolo capoap Âparato vincolato a una logica mi Ânuscola di risentimenti e di proce Âdure di salvezza personale e di gruppo, ridicolmente applaudito e blandito a sinistra e al centro, finché spremuto come un limone è stato relegato al ruolo di perso Ânaggio disutile e ridondante. Ber Âlusconi ha a modo suo, anche nel Âla disfatta, scritto un pezzo, anco Âra un pezzo, di storia del Paese, va Ârando il governo Monti- Napolita Âno e g Âovernando finora con accor Âtezza la propria scelta. Fini è rima Âsto seduto tra due sedie, e ha bat Âtuto comicamente il sedere sulle fisime del cosiddetto terzo polo, come è inevitabile quando man Âchino passione vera per la batta Âglia e capacità di assorbirne il sen Âso e il dolore. Che disastro, che prova di grettezza e inconcluden Âza. Più grave ancora, la scelta di rannicchiarsi, con o senza scorta, in una presidenza della Camera ridotta a vuoto contenitore di pic Âcolo privilegio istituzionale, con una straordinaria capacità di mentire, smentirsi, fazioseggia Âre. Doveva dimettersi per quella storia del cognato, così aveva pro Âmesso, e non lo ha fatto quando è venuto a sapere, incontrovertibil Âmente, che la casa di Montecarlo lasciata al partito gli era stata svenduta come a un famiglio qualsiasi, chissà se a sua insapu Âta. Doveva dimettersi quando era venuto il momento di mostrare un po’ di fuoco nella pancia, co Âstruire qualcosa in proprio dopo aver sperperato il patrimonio pre Âcedente come un bambino vizia Âto. Non lo ha fatto, rischiare è un verbo che non conosce, ha piega Âto invece la funzione istituziona Âle a un disegno di sopravvivenza personale senza babbo né mam Âma, e ora si avvia alla consacrazio Âne finale di un triste declino, con la scortona di Orbetello e senza un brandello di popolo che possa anche solo minimamente e lonta Ânamente credere in lui. Un’im Âmersione che è anche un vero ca Âpolavoro. Letto 1062 volte.  Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. 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