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Rivista d'arte Parliamone
La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

Finirà tutto con una fiammata

31 Ottobre 2012

di Marcello Veneziani
(da “il Giornale”, 31 ottobre 2012)

Vorrei parlarvi di Berlusconi dopo la sentenza-killer. Non preoccupatevi, non dirò nulla in merito al suo proclama e alla loro condanna doppia, non dirò una parola del suo attacco a Monti e della definizione di Berlusconi come delinquente abituale. Le parole parlano da sole, in tanti hanno già detto tutto.

E io per una volta non esprimerò un giudizio ma azzarderò una previsione. E che previsione. Dirò una cosa con tono vago e allusivo ma non minatorio: non finirà con dolce inavvertenza, l’epoca berlusconiana.

Non finirà come era finito, con un mesto saluto, con parole soft di circostanza e una rimozione totale questo corto ma intenso ventennio. Corto perché in realtà furono diciott’anni, e solo la metà di Berlusconi al governo. Ma intenso, intensissimo, se si considera da che guerra civile veniamo.

Non era immaginabile che tutto finisse così, come in un autunno qualsiasi, con un cambio di governo e una stanca querelle sulle primarie e gli spacchettamenti. Di Berlusconi una cosa abbiamo imparato, tutti: non è un politico algido ma un leader a sangue caldo. È l’unico leader di questa Repubblica che abbia suscitato amori e odi viscerali, aggressioni al sangue, esaltazioni e vituperi da medioevo. È un monarca, nel bene e nel male, ha un forte senso del suo regno e non del partito o del Paese a prescindere dal suo trono.

Perciò la fine del suo ciclo avverrà con una fiammata, sua o nemica, punitiva o reattiva, giudiziaria o autolesionista.
C’è qualcosa di tragico e di sacrificale nell’aria. Certo non finisce con la sigla di chiusura.


Il popolo sovrano ha abdicato
di Marcello Veneziani
(da “il Giornale”, 31 ottobre 2012)

Noi popolo sovrano della Repubbli ­ca italiana, abbiamo deciso di abdi ­care, lasciando la sovranità a ignoti.
Con decisione maggioritaria, e dun ­que democratica, abbiamo rinunciato al nostro diritto, sancito dalla Costituzio ­ne, di eleggere attraverso l’esercizio del voto un Parlamento e quindi un gover ­no.
Abbiamo scelto come prova generale e laboratorio nazionale della nostra abdi ­cazione la Sicilia, là dove comincia l’Ita ­lia e là dove partì con lo sbarco america ­no la liberazione del Paese.

Per la prima volta nella storia della Re ­pubblica la maggioranza assoluta di noi elettori non è andata a votare, il residuo voto ha premiato come primo partito un movimento di protesta radicale e i restan ­ti spiccioli si disperdono in liste tra loro incomponibili. In questo modo abbia ­mo ricusato il diritto di voto e dichiarato estinta e rigettata la democrazia.
Il voto è stato un puro spettacolo fine a se stesso, una giostra che prescinde com ­pletamente da chi dovrà poi governare, non avendo i numeri. Le motivazioni del ­la nostra abdicazione non si possono sbrigare con lo stato di salute di noi sovra ­ni. In effetti la nostra salute psicofisica, soprattutto mentale, versa in uno stato depressivo preoccupante. Ma è la totale sfiducia nel voto, nei partiti politici e an ­che nei loro surrogati, come i tecnici, a in ­durci a questo atto.
Non abdichiamo in favore di nessuno, non riconosciamo eredi, tutori o curato ­ri. Anarchia, scioglimento o dominazio ­ne straniera, fate voi.
Lasciamo il Paese incustodito e restitu ­iamo la democrazia come un ordigno al Dio Ignoto.


Gli elettori come i mercati
di Mario Sechi
(da “Il Tempo”, 31 ottobre 2012)

Governare è un mestiere difficile. E il carattere degli italiani è inafferrabile: pronti a esaltare e calpestare, osannare e denigrare. Un Paese unito – ma sempre diviso tra guelfi e ghibellini – prende e lascia i suoi leader senza pensarci troppo. Guidare l’Italia, bell’affare. Un anno fa toccò a Mario Monti, chiamato dai partiti a spegnere l’incendio che avevano appiccato. Il Prof ha cercato di fare il possibile in un Paese spesso impossibile. Ha commesso degli errori? Certo. Poteva fare meglio? Non ci sono dubbi. Ma i partiti, cari lettori, hanno fatto di peggio e per questo a lui si sono affidati. Si è aperta la campagna elettorale e vedo demagoghi e ciarlatani farsi avanti con il loro banchetto di pozioni miracolose. Pensano che gli italiani siano smemorati. C’è chi ha perso il ricordo del «come eravamo » e chi sogna di lucrare sopra un altro regime change, ma i fatti parlano da soli: l’estate scorsa lo spread raggiunse quota 500 punti e una bella fetta era originata dal «rischio politico » del Paese. Tornare indietro? Tutti in carrozza, ma dovete ricordare che l’autunno scorso l’Italia non aveva i soldi per pagare gli stipendi degli statali. La pressione fiscale? Era a livelli record con Berlusconi e Tremonti ministro dell’Economia. Il rigore? In quella stagione il verbo era questo: «Rispettare gli impegni con l’Europa ». Ci sono buoni motivi per criticare Monti e la sua austerità (leggere il bel libro di Mario Seminerio, «La cura letale », recensito oggi sul nostro giornale, per averne prova), ma ve ne sono di eccellenti per mandare un messaggio ai partiti: «Fatevi un esame di coscienza ». Il Pdl governava e ha fallito la sua missione, il Pd faceva antiberlusconismo senza costruire l’alternativa. Il risultato della crisi di governo avrebbe dovuto essere il voto, invece i partiti hanno alzato le braccia e chiesto a Napolitano la tregua. Monti è arrivato per loro implorazione, non per un complotto marziano. Ora vorrebbero liberarsene dipingendolo come un satrapo, ma la «gran cassata » siciliana annuncia un nuovo scenario: il prossimo Parlamento sarà «balcanizzato » e «grillato » a fuoco lento. I partiti chiederanno a Monti di restare per evitare la scure finanziaria. I mercati votano la fiducia. Come gli elettori. E per una volta sono d’accordo: questi partiti non la meritano.


Caro Alfano, batti un colpo bipolare
di Arturo Diaconale
(da “L’Opinione”, 31 ottobre 2012)

Se è vero che la politica siciliana preannuncia quella nazionale, il futuro riserva al nostro paese una sorte ed un quadro politico simili a quelle della Grecia. Cioè la frammentazione dei partiti maggiori, la presenza massiccia in Parlamento di forze antisistema indisponibili a qualsiasi funzione di governo e la necessità di mettere insieme coalizioni eterogenee estremamente deboli e di fatto guidate dai poteri economici e finanziari (non da quelli politici, che non ci sono) europei.
Pierferdinando Casini sostiene che l’unica alternativa a questa angosciosa prospettiva sia l’alleanza tra progressisti e moderati, cioè tra Pd e Udc possibilmente rafforzato da pezzi in uscita dal Pdl. Ma proprio la Sicilia, laboratorio della politica nazionale, dimostra che quella del leader centrista è una ricetta totalmente sbagliata. Rosario Crocetta, espressione dell’alleanza tra Pd ed Udc, non ha vinto un bel nulla. Se vuole governare, deve necessariamente allearsi o con Miccichè e Lombardo o con il suo principale avversario, Musumeci. Cioè deve mettere in piedi una coalizione eterogenea, debole, esposta a ricatti e condizionamenti di ogni capobastone presente nelle varie compagini politiche della maggioranza. E con questa armata Brancaleone deve fronteggiare l’offensiva costante di un Movimento Cinque Stelle guidato da un comico a cui il successo incomincia a far credere di essere la contemporanea reincarnazione di Mao e di Mussolini.
In questa prospettiva appare fin troppo evidente che Casini sbaglia, e che il modello Crocetta non può essere la soluzione della politica nazionale. Ma, soprattutto, che il sistema proporzionale produce solo la frammentazione siciliana (o greca che sia). E che se se si vuole evitare un futuro così oscuro ed inquietante non c’è altra strada che bloccare la deriva proporzionalistica della riforma della legge elettorale in atto e confermare, sia pure con qualche correzione, il sistema bipolare. Che avrà pure prodotto alleanze non coese, ma che è sempre meglio del caos dove ci vorrebbero portare i proporzionalisti di sempre e quelli dell’ultima ora.
A compiere questa operazione di salvezza nazionale non può essere che il Pdl. Angelino Alfano ricordi che il suo partito ha prodotto ed è al tempo stesso il frutto del bipolarismo. Si renda conto che il ritorno al proporzionale (il caso Miccichè insegna) produce non l’unità ma la frammentazione del centro destra.
E compia l’unica mossa in grado di tenere unito il proprio partito e di offrire una possibilità al paese di evitare una sorte amara e devastante come quella siciliana e greca. Cioè ribalti il tavolo della riforma elettorale che porta solo al caos proporzionale e lanci un progetto di superamento del Porcellum attraverso un sistema maggioritario ripulito dell’odiato listino e, magari, caratterizzato dal ritorno delle preferenze. Il rilancio del maggioritario non esclude affatto l’ipotesi di dare vita ad una grande coalizione.
È fin troppo evidente che con un Porcellum rivisitato né il Pdl, né un ipotetico asse Bersani-Casini (quest’ultimo si renda conto che in Sicilia non ha affatto vinto, ma ha dimostrato di non avere alcuna capacità espansiva ai danni del Pdl), potrebbe diventare coalizione di maggioranza e di governo. Ma la differenza tra la frammentazione greca e siciliana e la grande coalizione ispirata al modello tedesco è data dalla tenuta e dalla compattezza dei partiti maggiori. Se questi si sfaldano grazie ad un proporzionale che favorisce personalismi e faide si arriva al povero Crocetta ed al Grillo fascio-maoista. Se questi tengono grazie ad un maggioritario corretto si arriva al governo di unità nazionale destinato a gestire l’emergenza ed a preparare il ritorno alla normale democrazia dell’alternanza.
Alfano lo spieghi ai suoi agitando la cartina di tornasole siciliana. E prenda atto che i recalcitranti lavorano per il caos o per Casini!


Grillo vince perché i politici sono incapaci
di Vittorio Feltri
(da “il Giornale”, 31 ottobre 2012)

Il peggior difetto di questa sconcia classe politica è l’incapacità di capi ­re di essere incapace. Tant’è che i rap-  presentanti del popolo si stupiscono di avere nauseato la maggioranza dei citta ­dini, i quali hanno perfino smesso di arrab ­biarsi: scuotono la testa sconsolati e si ri ­sparmiano la seccatura di recarsi al seggio, consapevoli dell’inutilità del voto, dell’in ­sipienza dei partiti, tutti, eccetto il Movi ­mento 5 stelle, nel quale forse molti non credono, ma sperano. Sperano cioè che Beppe Grillo si immedesimi nel ruolo di vendicatore e riesca a ridicolizzare senato ­ri e deputati, costringendoli ad andare a na ­scondersi. Una simile operazione è alla sua portata. Basta che egli non faccia nulla, non si muova, parli lo stretto necessario e si segga sulla sponda del fiume: prima o poi avrà la soddisfazione di vedere passare cen ­tinaia di cadaveri.

Fra pochi mesi si andrà alle urne per il rinnovo del Parlamento .Da qui ad allora i politici non cambieranno comportamento an ­zi offriranno altri miserevoli spettacoli, cosicché l’ex comico, senza sforzo, conquiste ­rà numerosi consensi, in  misura sufficien ­te per portare a Montecitorio e a Palazzo Madama 120-140 propri uomini animati da un desiderio: disturbare le meschine manovre di chi gestirà il potere per conser ­varlo, senza preoccuparsi – more solito – dei problemi del Paese.

Il divertimento, si fa per dire, è garantito. Ogni seduta parlamentare assumerà le caratteristiche del cabaret. Immaginate cosa potrà succedere durante, per esempio, un intervento di Pier Ferdinando Casini. Le truppe grillate si scateneranno in tali sfottò da scoraggiare chiunque altro a prendere la parola. Èil minimo che ci si attende da lo ­ro: porre in evidenza l’insulsaggine dei par ­titi che hanno fatto dell’inefficienza uno scopo esistenziale. Dopo un paio d’anni di legislatura all’insegna del grottesco, si scio ­glieranno le Camere e saranno indette nuo ­ve consultazioni. A quel punto gli elettori non avranno dubbi e consegneranno la maggioranza ai ragazzi di 5 stelle, nella con ­vinzione che peggio di prima le cose non potranno andare. Poi? Si vedrà. Trovo ecci ­tante l’idea che Grillo entri da trionfatore a Palazzo Chigi e ci rimanga magari cinque anni o dieci, acclamato dalle folle quale sal ­vatore della Patria. Già, perché, male che vada, lui si rivelerà non peggiore dei suoi predecessori, se non altro perché non ado ­ra l’Europa per il semplice fatto che l’Euro ­pa non c’è, mentre l’euro è una concreta fregatura, come chiun ­que ben sa.
La strada a Grillo la stanno spianan ­do con cura i partiti, lavorando alacre ­mente, instancabilmente. Guardate, per esempio, ciò che stanno combi ­nando in Senato a proposito della nuova legge sulla diffamazione a mezzo stampa. Si sono mobilitati per toglie ­re il carcere ai giornalisti, essendosi re ­si conto con grave ritardo che una pe ­na del genere è fuori dal mondo. In commissione hanno discusso, litiga ­to, si sono mandati al diavolo; e il te ­sto, in mancanza di un accordo che ne favorisse l’approvazione in tempi stretti, è finito in aula.

Qui è scoppiato il pandemonio. In ­vece di depennare le tre righe in cui si prevede la prigione (raramente inflit ­ta, dal 1948 a oggi: Giovannino Guareschi, Lino Jannuzzi e Alessandro Sallusti), i senatori si sono infilati in un tun ­nel di emendamenti peggiorativi che hanno trasformato il ddl in una specie di manuale di torture riservate agli scribi negletti. Per fortuna tra le nor ­me punitive non figurano ancora – quasi un miracolo – la fucilazione e le pene corporali. Per il resto c’è tutto: multe che solamente i politici ladri, notoriamente ricchi, hanno i mezzi per pagare; interdizione dalla profes ­sione e altri supplizi studiati ad arte per indurre la categoria a non scrivere mezza parola storta sulla casta.

L’occasione per adeguare i nostri codici a quelli di Paesi civili, come l’In ­ghilterra, rischia di sfumare. Infatti la legge è stata rinviata a martedì prossi ­mo, quando sarà definitivamente af- fossata. Perché non sono state cancel ­late quelle tre maledette righe? Lorsignori rispondono: sarebbe assurdo eliminare una norma solo per agevola ­re Sallusti; suvvia, non si approva un provvedimento ad personam. Fanta ­stico. Come se il pericolo galera non riguardasse tutti i giornalisti. Segnalo che il direttore del Corriere della Sera ha sul groppone oltre 100 querele. Se incapperà in un giudice cattivello che applica alla lettera il capolavoro licen ­ziato dai senatori, addio Ferruccio de Bortoli: dentro anche lui.

Politici di questa risma, che hanno elevato l’inettitudine e l’incoscienza a stile di vita, sono attrezzati a contra ­stare la marcia su Roma di Grillo? Se non hanno coraggio, abbiano alme ­no la vigliaccheria di rifugiarsi sul- l’Aventino. E non si presentino più in aula. Noi ci godremo la scena impa ­reggiabile del leader ex comico che tratterà affari di Stato con Angela Merkel. Moriremo in carcere, ma dal ridere.

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Intervista a Ruby di Servizio Pubblico, qui.

 


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Bart