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Fumetti: La famiglia Bertolini

27 Agosto 2010

[da:”Enciclopedia dei fumetti” a cura di Gaetano Strazzulla, Sansoni, 1970]  

L’AUTORE  

LINO LANDOLFI – Uno dei più indiscussi meriti editoriali del settimanale a fumetti cattolico Il Vittorioso fu quello, nell’anteguerra e prose ­guito poi negli anni postbellici, di dare l’oppor ­tunità d’affermarsi a una équipe via via rinno ­vatasi (o rinforzata con elementi più giovani) di disegnatori italiani. La «scuola italiana » del fumetto di cui talora si parla in scritti evocativi dal sapore forse un po’ troppo mitizzante e in saggi storicistici che cercano di dividere senza nostalgie, di quel periodo, il grano da loglio, trovò una buona porzione d’alimento sulle pa ­gine di quel menzionato giornalino; più ancora che in quelle di altri pur generosi periodici dell’epoca, in testa il mondadoriano Topolino. E Lino Landolfi, nato a Roma nel 1925, venendo alla ribalta di quel variopinto « spettacolo » grafico ch’è l’universo a fumetti â— a ven ­tidue anni â— nel 1947, fu quindi la logica conseguenza di un preciso piano appunto edi ­toriale che mirava a proseguire una linea crea ­tiva (e ideologica) a cui si devono generosi e proficui frutti.  

Iniziò dunque con Il Vittorioso dando vita a una storia automobilistica intitolata Ticco e Cicca. Non limitandosi a lavorare per quella sola te ­stata, anche se â— com’egli stesso racconta in un’intervista apparsa in anni recentissimi sul settimanale Vitt (Il Vittorioso rinnovatosi, alli ­neatosi con i tempi, più piccolo e in gran parte dedicato alla ristampa di cose del passato) â— quando si presentò con un fascio di fogli dise ­gnati sottobraccio il direttore di un periodico gli disse bell’e tondo di piantarla. La sua vita e le notizie dei suoi antichi ante ­nati duchi longobardi, gli hanno dato lo spunto per un sacco di avventure per le storie di Procopio… Procopio: rimane davvero il grande personaggio di Landolfi. Sessanta storie ha di ­segnato con al centro questo poliziotto grassottello dal naso a patata capace di moltipli-carsi in una serie infinita di antenati che si chiamano come lui e che gli somigliano come un’immagine riflessa nello specchio, i quali agi ­scono in storie autonome ambientate in ogni epoca.  

Procopio è certamente il character più lucroso di Landolfi: la quintessenza della espressività del disegno caricaturale ma agganciato a precisi riferimenti realistici che domina le tavole di que ­sto autore aperto alla più sfrenata immagina ­zione con precise intenzioni via via educative e anche didattiche. Doti tutte formatesi sulla ma ­trice ideologica che caratterizzava in ogni sua pagina Il Vittorioso.  

È stato detto che Landolfi doveva a un certo punto proseguire con uno stile nuovo l’umo ­rismo sgangherato di Jacovitti e quello preve ­dibilmente permeato di perbenismo di Craveri formato dal noto « bestiario ». Landolfi vi si in ­serì in modo brillante, facendosi posto profit ­tando (lo scriviamo con allusione figurata) dei suoi scomposti personaggi: caratteristica delle sue figurazioni è quella di assumere infatti un’esagerazione fisica che finisce per sconfinare talora dal riquadro all’interno del quale è fatto agire, per cui spingono da ogni lato agi ­tandosi. E a questo proposito condividiamo in toto quanto di lui scrisse Gianni Brunoro, ch’è un po’ il « biografo » e il « critico » uffi ­ciale del Nostro: « Lo stile di Landolfi merita più di qualche attenzione: anzitutto un grafismo personale, che poco o nulla deve ad altri (un autore di minore personalità avrebbe facil ­mente assorbito lo stile dei vicini Sebastiano Craveri e Benito Jacovitti). Se proprio gli si volessero trovare delle affinità, dovremmo cer ­carle in certi racconti di Faustinelli (Pompeo Bill, Ray & Roy), soprattutto per il comune modo di deformare la figura umana: toraci possenti, di cui le gambe sembrano essere piccole appen ­dici, ma con piedi abnormi, il capo minuto, le braccia invadenti, proiettate in tutti gli angoli della vignetta; la quasi totale assenza di linee « spigolose », a favore di quelle curve e di figure opulente.  

Le tavole di Landolfi sono pervase da un forte dinamismo: le figure, che talora escono dalla vignetta per invadere quelle attigue, mostrano ancora un notevole senso plastico, quasi un’evi ­denza tridimensionale. Se si aggiunge la per ­sonale morbidezza e fluidità del segno, sempre preciso â— conclude Brunoro â— tanto nella de ­scrizione dei minuti particolari, quanto nella vasta gamma delle espressioni fisionomiche, sarà allora evidente che Landolfi, mai mono ­tono e opprimente, era l’umorista più indicato per la creazione dell’eroe buono, con fun ­zione di antieroe demistificatorio ». Procopio, infatti, è di tutto ciò l’immagine con ­creta, palpabile. In una delle sue sessanta sto ­rie Landolfi lo fa agire come contro altare del superman tuttomuscoli vestito della tuta fasciante munita di cappuccio e mascherina: qual ­cosa che somma insieme l’Uomo Mascherato di Falk e Moore (con tutti i suoi derivati imita ­tivi) e l’Asso di Picche di Hugo Pratt e la sua équipe veneziana. Di quest’ultimo richiama alla mente pure il nome, Poker d’Assi. E come nello scontro tra Davide e Golia, chi ne esce con le ossa rotte è il forzuto « giustiziere » di fantasia, sconfitto dal piccoletto, ma realistico, poliziotto Procopio.  

Landolfi è tanto affezionato a Procopio, per il quale ha disegnato un totale di circa cinquemila tavole (qualcosa, volendo fare i pignoli, come quarantamila vignette), da averlo preso a pre ­testo per l’inizio e la conclusione di quello che rimane probabilmente il suo fumetto-capolavoro: una fervida interpretazione del Don Chisciotte di Cervantes, apparsa a puntate nel nuovo Vitt: il segno di una autentica maturità, e in ­sieme la più estrosa, geniale e spiritosamente colta versione a fumetti del poema avente a pro ­tagonista il «cavaliere dalla triste figura » che altri â— tra cui Bioletto (il disegnatore dei Quat ­tro Moschettieri di Nizza e Morbelli e delle con ­seguenti figurine-concorso) e Jacovitti â— hanno voluto interpretare a loro modo nelle tavole a fumetti.  

Lino Landolfi si è misurato in varie occasioni con testi classici della letteratura. Accanto cioè a personaggi nuovi, usciti dalla sua immagina ­zione (o costruiti sulla scorta di soggetti ori ­ginali scritti da altri) quali Ali Cai, Zenzero, Ponzio, Bertolini con la sua famiglia, ha ridotto graficamente Bertoldo di G. C. Croce, Un ame ­ricano alla Corte di Re Artù e Hanno rubato l’elefante bianco di Mark Twain, Tartarino di Tarascona di Alphonse Daudet, e ha scritto, illustrandoli naturalmente, vari libri per ragazzi. Confrontando il suo stile agli inizi degli anni cinquanta (Tartarino) con quello rivelato verso la fine degli anni sessanta (Don Chisciotte), sco ­priamo una evoluzione sostanziale che ha del prodigioso.  

Oggi Lino Landolfi, alla sua carica prorompente ilarità, al suo dinamismo caricaturale attento, a precisi realistici messaggi morali, masche ­rati d’avventura (o viceversa: avventure insa ­porite di risvolti educativi), ha aggiunto con piena maturità il segno creativo dell’artista au ­tentico. Il fumetto italiano, cioè, ha in lui un nuovo maestro.  

I PERSONAGGI    

LA FAMIGLIA BERTOLINI – Codesto campio ­nario di ménage all’italiana, filtrato logicamente attraverso una satirica visione della vita che si ferma ai contorni umoristici, senza abbando ­narsi quindi a considerazioni di tono acre, co ­minciò ad apparire sul periodico cattolico Il Messaggero dei Ragazzi a partire dal 1962. Sarebbe facile trovare per esso degli agganci nelle strip d’oltre Oceano, così sovrabbondanti di situazioni di tipo familiare. Sbaglieremmo però poiché la famiglia di Landolfi non ha nulla da spartire con il matriarcato e altre condizioni psicologiche che imbrigliano (o sono la loro « delizia ») mariti come Arcibaldo o Dagwood. Se qualche parentela con il fumetto del mede ­simo filone volessimo ostinarci a cercarla, la troveremmo probabilmente nel Ferd’nand di Dahl Mikkelsen, che però non è americano ma danese, svincolato quindi da una precisa menta ­lità extraeuropea. Tuttavia quest’ultimo, nato alla fine degli anni quaranta, si ferma con la sua aria un poco tontolona a piccoli intoppi quoti ­diani: il caso gli è avverso e lui non può far altro che rintanarsi in una filosofica rassegna ­zione. Anche nei rapporti con il figlioletto e con la moglie.  

Il ragionier Venanzio Bertolini ha pure un figlio e una moglie: sue delizie e sue croci. Però da buon latino mediterraneo, esuberatamente centrato dal pennino di Landolfi (e non poteva essere altrimenti), può trovare degli agganci a posteriori con la televisiva Famiglia Benvenuti, in quell’architetto con il volto di Enrico Maria Salerno che soprattutto nella seconda serie di puntate, solo in città con i parenti al mare, si affanna a trovare motivi di distrazione impi ­gliandosi invece dentro una collezione di pic ­cole imprese domestiche disastrose. Con qual ­cosa in più, che ne rende maggiormente com ­pleta la dimensione psicologica. Si è fatto per queste tavole autoconclusive il nome di Alberto Sordi: il Sordi naturalmente non di oggi ma de ­gli anni cinquanta, interprete di quell’italiano medio, di mentalità abbastanza qualunquistica, accomodante, ricolma di slanci apparentemente altruistici che ripiegano spesso nella viltà spic ­ciola. Insomma il ragionier Venanzio Bertolini sta nel mezzo tra Salerno e Sordi, tra i perso ­naggi interpretati dai due attori per lo schermo cinematografico e il video casalingo, proprio perché lo spettatore piccolo borghese potesse in esso riconoscersi, e ridere un poco di se stesso, dei suoi sterili affanni, dei suoi innocui tic, delle sue perenni insoddisfazioni. L’umori ­smo allora, grazie al preciso tratto in china di Landolfi, assume colorazioni anche patetiche, con punte inaspettatamente sferzanti. « Vien da chiedersi â— scrive Brunoro nell’AZ Comics â— come mai [il ragionier Venanzio] non sia an ­cora stato colto da nevrosi, schiacciato tra la smania di essere in e le circostanze che peren ­nemente lo tengono out. Ma l’ironia di Landolfi è di stampo buono ». Asserzione giustissima che collima con la tematica di sempre del disegna ­tore, il cui fine, appunto, è stato in continua ­zione quello di divertire il suo lettore, dandogli dentro una dimensione caricaturale della vita di ieri e di oggi un sapore inconfondibilmente autentico. Venanzio Bertolini quindi impersona l’italiano tipico, che in qualsiasi circostanza deve parare frontalmente i casi della vita: siano questi legati alla sua condizione d’impiegato alle prese con il proprio superiore, oppure du ­rante il tempo libero immerso nei suoi hobbies solitari (la pesca) o di gruppo (le bocce). Rica ­ricandosi di ottimismo per la puntata seguente, nuovo frammento di una saga dallo squisito e inconfondibile sapore quotidiano e casereccio.


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Bart