Fumetti: Mio Mao31 Marzo 2011 [da:”Enciclopedia dei fumetti” a cura di Gaetano Strazzulla, Sansoni, 1970] L’AUTORE RAT SULLIVAN – Nato in Australia nel 1887, si trasferì ventenne in Gran Bretagna per per fezionarsi negli studi artistici. Trovò lavoro come disegnatore presso il settimanale Alley Sloper. La sua prima creazione cartoonistica fu quella di Samuel, un borghese non più giovane, che concentra le qualità meno edificanti della sua classe: grettezza, inalterabile nazionalismo, gu sto grossolano e avidità sufficientemente irri tante. La matrice di quest’ometto dal cranio pelato e l’incipiente pancetta, negato alla fan tasia anche nel vestire e difeso da un grosso paio d’occhiali, appartiene chiaramente al cliché d’epoca della vignettistica di costume. Comun que, Samuel, servì a Sullivan per farsi la mano e un certo nome nel settore. Poiché il foglio che l’aveva lanciato chiuse pre sto i battenti, l’artista decise di varcare nuova mente l’Oceano per stabilirsi a New York, dove l’industria editoriale si stava enormemente dila tando. Non avendo avuto fortuna, per qualche anno si adattò a fare l’entertainer in locali not turni e lo sparring-partner (ossia l’allenatore-incassatore di pugni) per alcuni pugnatori pro fessionisti. Al lavoro creativo tornò nel 1914, quando gli riuscì di piazzare un nuovo perso naggio, quello di Pa Perkins, sua prossima carta di presentazione per l’ambiente del dise gno animato. Portato in celluloide Pa Perkins, e accompa gnatolo con un partner, Sammy Johnson, Sul livan riversò ogni suo interesse nell’animazione e allargò sensibilmente la propria attività negli anni della prima guerra mondiale, quando con tribuì alla propaganda alleata con le figurette di Kaiser Bill e di Charlie Chaplin (ovviamente desunta dal personaggio di Charlot). Durante questo periodo creò pure Mio Mao, al quale arrise un successo immediato per la brillan tezza e la simpatia delle sue fulminanti trovate. Inutile forse aggiungere che il gatto nero dai grandi occhi bianchi divenne in breve tempo lo sponsor di una serie infinita di prodotti (infan tili o meno) e che la sua popolarità si estese rapidamente in tutto il mondo. Negli anni trenta i! divismo di Mio Mao era tale che la NBC (National Broadcasting Corporation), quando dovette scegliere un personaggio per inaugu rare â— nel dicembre 1930 â— il suo primo pro gramma sperimentale televisivo, non ebbe esi tazione nell’affidargli la responsabilità delle tre molanti immagini del debutto. Ancora per qualche stagione, e praticamente fino alla morte del suo creatore, avvenuta nel 1933, Mio Mao riuscì a primeggiare tra gli eroi disegnati, poi, con il passaggio nelle mani di Bill Holman, il suo astro cominciò a declinare, fino a spegnersi definitivamente con la firma del suo attuale disegnatore Joe Oriolo.
IL PERSONAGGIO
MIO MAO (Felix the Cat) – La « poeticità » delle avventure del gatto felice è in pratica fuori di- scussione. Unanimamente ne sono stati rico nosciuti sia i prestigiosi meriti d’invenzione, sia le sorprendenti desinenze surreali. Volendo sintetizzare il profilo di Mio Mao, si possono prendere a prestito le parole di Jacques Marny: « Un tenero poeta che incarna in ma niera autentica la poesia, ossia l’innocenza; quell’innocenza che lo aiuta ogni volta a ca varsi dagli impicci in cui si dibatte ». Ma leg giamo una delle sue mille avventure: sbattuto a calci di casa da chi lo ospita per aver aperto la gabbia a un canarino musicante, Mio Mao, tra le tante stelle che gli danzano attorno per la zuccata presa finendo sul selciato, intravvede pure, e anch’esse vaganti, due bolle dentro le quali cinguettano due stupendi canarini. Trion fante, li prende al volo e li porta ai padroni. « Poco importa â— sottolinea ancora Marny â— che le bolle siano un sogno, per Mio Mao sono la realtà. E il sogno, come per tutti gli inno centi, si traduce nella realtà ». Per lui, facendo un altro esempio, le note musicali che fuggono da un trombone s’accumulano e s’accatastano tutte nella cantina di casa, formando una grossa montagna nera: non è forse carbone? Ancora una volta, dunque, la poesia ha compiuto il miracolo. Mio Mao, tuttavia, non appartiene in senso stretto alla genealogia dei comics. Alle pagine dei quotidiani è giunto infatti di rimbalzo, nel 1923, già conosciuto e amato dal pubblico ame ricano perché divo dei disegni animati e pro tagonista di vicende, furibonde nel ritmo e stra volte nel riferire il reale, intrise di quel parti colarissimo humour che verrà più tardi accen tuato e esaltato dalle sue avventure racchiuse in vignette. Pat Sullivan lo aveva ideato nel 1917 (facendolo esordire in uno short intitolato Felix the Cat), sollecitato dalla notevole fortuna che stavano ottenendo in quel tempo alcuni per sonaggi del cartoon e anche dalla insistente richiesta che l’industria del cinema rivolgeva ai disegnatori perché dessero vita a nuovi cha-racters cui affidare l’intrattenimento del cosid detto « complemento di programma ». Il nero felino, Sullivan, lo scelse tra i molti com-primari che aveva riunito nelle sue strisce di pellicola e lo rifinì quel tanto che era neces sario perché assumesse una personalità non intercambiabile. Vi era pur sempre il prece dente di Krazy Kat, la gatta felice di George Herriman, passata allo schermo l’anno prima per mano di Ben Harrison e Manny Gould, che poteva rappresentare un punto di riferimento non trascurabile e un precursore â— tenuto conto della sua anteriore diffusione editoriale â— di tutto rispetto. Nessun elemento, tuttavia, poté avvalorare una presunta desinenza di Mio Mao dal più auto revole carattere: al di là di un correlativo muo versi in un clima rarefatto, i due personaggi, nella definizione grafica, nella appropriazione e nella trasfigurazione del reale, nei tempi delle loro avventure e nello stile individuano due mondi creativi ben distinti. Due universi che affermano, e in misura assolutamente personale, una inequivocabile particolare vena poetica e una propria prestigiosa coerenza. Herriman e Sullivan hanno cioè concretizzato attraverso le loro creature una dimensione fantastica e una « filosofia » assolutamente private, non per caso riaffermate dalla prova che Krazy Kat e Mio Mao non sono sopravvissuti ai loro autori (e nulla conta che il secondo abbia continuato le sue gesta per mano di Bill Holman e di Joe Oriolo). A questo punto, sebbene alcune componenti facilmente estraibili dalle storie di celluloide e da quelle di carta di Mio Mao potrebbero invi tare a un discorso unico, è pertinente distin guere i due casi giacché essi individuano due filoni separati. È vero che il Mio Mao stampato è una prosecuzione (o una dilatazione) del Mio Mao cinematografico, è vero pure che Sullivan â— a differenza di altri suoi colleghi â— prov vede direttamente alle due versioni ed è vero ancora che la « presenza » dell’eroe antropo morfo nel mondo degli umani non si connota in maniera contradditoria sullo schermo e sulla pagina, ma è altrettanto certo che l’artista â— padrone come pochi disegnatori della tecnica e del linguaggio specifici all’animazione e al comic â— non riporta piattamente in vignette le sue precedenti esperienze cinematografiche. Dando per scontata la diversa destinazione del prodotto, i conseguenti mutati tempi di lettura e di fruizione e le necessarie varianti realizzative, Sullivan non cede alla tentazione di strin gere i suoi frenetici racconti animati in poche essenziali immagini fisse. Come all’inizio si era puntualmente appropriato dello spirito delle fu-namboliche commedie slapstick (« Le mie co miche â— ripeteva Mack Sennett â— finiscono quando la gente ha riso abbastanza… esse sono soltanto un po’ più veloci della vita ») per fare di Mio Mao un degno avversario dei popola-rissimi comici dell’epoca, accosto soprattutto a Harry Langdon per la carica surreale delle sue strabilianti inattese invenzioni e per la ful mineità delle sue trovate assurde, Sullivan, passando ai fumetti, imbocca d’acchito la strada giusta. Le tavole di Mio Mao, ancora popolate di quelle straordinarie paradossali metafore che gli avevano consentito di staccarsi così autore volmente nel firmamento del cartoon, aprono un capitolo unico nella storia della comic art. Mio Mao non si muove tra gli scenari metafisici cari alla matita di Herriman e neppure agisce entro una comunità particolare com’è quella della contea di Coconino, cioè l’universo pri vato di Krazy Kat e dei suoi partners. I suoi compagni d’avventura sono dei terrestri « nor mali », oppure degli animali, « normali » an ch’essi, i quali spartiscono con lui i pasti (e la fame), il sonno, il relax, le calamità naturali e la fatica di vivere. Gli ambienti sono quelli di ogni giorno: interni borghesi, case di cam pagna, angoli di periferia, vicoli e strade che si raggruppano attorno al suo costante girova gare come una fitta ragnatela. Giacché si tratta di un gatto un po’ particolare, non mancano neppure i décors esotici: una fetta d’Africa, rita gliata secondo la tradizionale iconografia delle palme e dei tucul, o una deserta distesa polare. Mio Mao, secondo le occasioni che gli pro pone Sullivan, sa di poter contare su quel tra sformismo estemporaneo che â— fin dalla sua prima avventura â— gli ha consentito di uscire trionfante su qualsivoglia contrarietà. Le sue mimesi non si contano; l’irrazionale è il suo habitat: un punto esclamativo può diventare una pagaia, un quarto di Luna una culla, il numero quattro una sedia, una bolla di sapone gelata un tranquillo igloo, due nuvole di polvere al trettante ruote di bicicletta. Attraverso un mai esaurito gioco di mistifica zioni, di sgambetti alla realtà, di recuperi im mediati sul filo dell’astrazione, Mio Mao tra duce con assoluta lucidità la sua « innocenza », la sua possibilità di non essere mai coinvolto dalle cose come sono: nulla potrà impedire che il disco rosso del sole al tramonto, tagliato da due palme filiformi, diventi nelle sue mani un ukulele, oppure che due punti interrogativi si trasformino in una coppia di pattini. Il suo rap porto con gli oggetti nega il loro valore concreto ed esalta gli orizzonti infiniti di una emozio-nalità indocile che, pur tenendosi lontana da complessi e paure, ignora l’esperienza pratica. Il suo attivismo, tuttavia, non ha nulla da spar tire con quello vitalistico e stimolatore del suc cessivo Topolino (Mickey Mouse): i due guar dano il mondo â— e lo giudicano â— con occhi assolutamente diversi e, quel che più conta, lo vivono con intenzioni diametralmente opposte. Per Mio Mao l’azione non presuppone mai un utile, un traguardo immediato da raggiungere: in lui la spinta nasce spontanea da una logica disarmante e disarmata. Una logica « illogica » soltanto per i non-poeti. Letto 6270 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||