LIBRI IN USCITA: Meridianozero 7
31 Marzo 2011
Care lettrici e cari lettori,
per quelli di voi che non stanno piu’ nella pelle per l’attesa del nuovo libro di Victor Gischler, “Notte di sangue a Coyote Crossing”, finalmente ci sono buone news! Il libro sara’ sugli scaffali il prossimo mercoledì, 23 marzo, ma i giornali hanno gia’ iniziato a parlarne! Per chi di voi se la fosse persa, proponiamo quindi l’intervista doppia tra Gischler e Joe Lansdale uscita sul Corriere della sera il 17 marzo.
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IL LIBRO IN USCITA IL 23 MARZO
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Notte di sangue a Coyote Crossing di Victor Gischler – Euro 14,00
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In mezzo allo sconfinato nulla dell’Oklahoma, nella contea di Coyote Crossing, gli abitanti dormono sonni tranquilli, o almeno cosi’ credeva il giovane aiuto sceriffo Toby Sawyer, prima di quella notte. I Jordan sono piombati in citta’, assetati di vendetta per l’omicidio del fratello Luke, ma il cadavere e’ scomparso e tutti sembrano avere troppe cose da nascondere per raccontare la verita’. Toby deve ritrovare il corpo prima dell’alba, e scoprira’ ben presto di non essere il solo a cercarlo…
L’INTERVISTA DOPPIA: JOE R. LANSDALE VS VICTOR GISCHLER
Corriere della sera, 17.3.2011
Victor Gischler e’ uno dei miei autori preferiti, le ragioni sono diverse ma fra queste direi che leggerlo e’ un divertimento selvaggio: lui prende la scrittura e la porta a danzare sull’orlo dell’abisso con delle storie micidiali, fredde come il ghiaccio secco, piene di intrighi e trovate al punto che non riesci a staccarti dal libro. Anche per questo ho deciso di chiacchierare un po’ con lui.
LANSDALE: Victor, a proposito del tuo ultimo romanzo tradotto in Italia, “Notte di sangue a Coyote Crossing” (Meridiano zero), volevo chiederti se potremmo definirlo uno splendido mix fra western e noir. Che mi dici dell’atmosfera del libro?
GISCHLER: Ci hai preso perfettamente: c’e’ molto di “Mezzogiorno di fuoco” in “Notte di sangue a Coyote Crossing”. Potremmo anche intitolare il romanzo “Mezzanotte di fuoco”, visto che la vicenda si sviluppa tutta durante un’unica notte, nera come l’inferno. In questo senso il western e’ assolutamente presente, anzi direi che e’ stato come prendere il western e immergerlo nel noir, un esperimento che mi ha davvero entusiasmato.
LANSDALE: Toby Sawyer, il protagonista, che tipo e’? Fra l’altro mi e’ sembrato di respirare un aroma alla Jim Thompson nella storia…
GISCHLER: Sicuramente non c’e’ stato un tentativo cosciente di dare alla storia un tocco alla Thompson, non sono cosi’ bravo. Pero’ qualcosa di Jim Thompson in “Notte di sangue a Coyote Crossing” c’e’ di sicuro. Per quel che riguarda Toby il parallelo con “Mezzogiorno di fuoco” torna ancora. Certo, li’ Gary Cooper e’ il classico eroe buono mentre nel mio caso Toby Sawyer e’ molto meno perfetto: non e’ esattamente cattivo pero’ e’ giovane, egoista, e piuttosto stupido. Ma questo e’ il nostro eroe ed e’ con lui che i lettori avranno a che fare. Il romanzo lo forzera’, anzi lo obblighera’ a fare la scelta piu’ importante della sua vita: crescere e diventare un vero uomo oppure… rimanere un povero sfigato con le pezze al culo! Certo, la storia e’ piena di situazioni portate al limite e i personaggi vivono una serie di vicende semplicemente terrificanti. Non si rendono conto della responsabilita’ che gli attribuisce il loro ruolo. Loro cercano semplicemente di essere il meglio di quello che sono. Mi piace dire ai lettori: ti aspetti che lui sia l’eroe e che quindi aiuti chi e’ in difficolta’ o semplicemente che il buono si comporti come tale? Mi spiace ma questo e’ tutto quello che lui riesce a fare. Ad esempio ne “La gabbia delle scimmie” (Meridiano zero), il mio primo romanzo, il protagonista Charlie Swift lega un uomo all’asta della doccia e lo ammazza letteralmente di botte. Ricordo quando scrissi quella scena. La domanda che continuavo a ripetere a me e ai lettori era questa: tu che leggi questa scena cosa pensi? Resterai comunque con Charlie? Oppure no?
LANSDALE: Esatto. Sottoscrivo in pieno le tue parole. Credo che si debbano rendere i personaggi credibili. Per esempio, e’ piuttosto ovvio e scontato pensare che Hap Collins e Leonard Pine siano i protagonisti di alcuni dei miei romanzi e sia ben chiaro che non voglio certo dire il contrario, visto che proprio a loro ho dedicato un ciclo di avventure. Pero’ allo stesso tempo sono investigatori e sono i buoni. E allora com’e’ possibile che arrivino a commettere anche azioni efferate e crudeli, a volte del tutto simili a quelle che compiono i cattivi delle mie storie? Sfido chiunque a dire il contrario. D’altra parte e’ attraverso questo tipo di contraddizioni, di zone grigie, che i personaggi sono davvero realistici. Non possiamo pensare che la violenza vada a senso unico e che una volta scelta come via per “risolvere” le cose poi questo non determini una serie di conseguenze. Anche per questa ragione mi sembra che il pulp e il noir offrano allo scrittore delle opportunita’ straordinarie. Posso dirti una cosa?
GISCHLER: Certo!
LANSDALE: A proposito di “Anche i poeti uccidono” (sempre edito in Italia da Meridiano zero), il tuo secondo libro: credo che ci siano parecchi romanzi che potremmo definire academic novel e che personalmente non ho trovato troppo interessanti, ma quello che rende fantastico il tuo e’ che hai preso certi vizi e costumi universitari e li hai spinti al limite, andando fuori scala. Questa e’ la trovata geniale, perche’ in fin dei conti penso che proprio superare il limite sia il modo migliore per rendere la tua storia davvero credibile e vicina alla realta’ e poi hai un senso dell’umorismo eccezionale. Per me “Anche i poeti uccidono” e’ in grado di catturare un certo tipo di realta’ con la stessa classe con cui lo faceva Dashiell Hammett, per capirci: come prendere una storia come “La chiave di vetro” di Hammett e aggiungerci in piu’ un umorismo pazzesco e delirante. Ho davvero amato anche quel tuo libro…
GISCHLER: Caspita, grazie! D’altra parte a proposito di personaggi e situazioni oltre il limite mi chiedevo anch’io una cosa: come hai cercato di gestire tu, nel tuo recente “Londra fra le fiamme”, autori realmente esistiti come Mark Twain e Jules Verne, come sei riuscito a farli “funzionare” nella storia, visto e considerato che i lettori sono a conoscenza di molti dettagli della loro vita reale?
LANSDALE: Nei romanzi che s’ispirano a un universo parallelo (come in effetti e’ “Londra fra le fiamme”) ho grande liberta’ d’azione, il che significa che cerco di tenere buona parte della vita e delle abitudini e di cio’ che effettivamente si sa dei personaggi realmente vissuti ma allo stesso tempo tendo a ricreare alcuni aspetti della loro vita anche se tento di farlo tenendo ben presente chi e come fossero. Poi va detto che questo tipo di romanzo rappresenta per me quasi un fumetto, un cartone animato. Non sono quindi obbligato a rendere credibile da un punto di vista storico la vicenda, anche se ovviamente il rispetto che nutro per loro mi impedisce di oltrepassare il limite.
GISCHLER: “Londra fra le fiamme” sembra un mix di storia, fantasy e fantascienza pulp. Hai cominciato a scriverlo con la precisa intenzione di mescolare i generi o ti e’ semplicemente venuto fuori cosi’?
LANSDALE: Per me frequentare diversi stili e generi e’ assolutamente naturale: il fumetto, il western, l’horror, lo splatter, il noir, il pulp rappresentano quell’affascinante ed eterogeneo insieme di linguaggi con cui sono cresciuto. Ho sempre divorato libri e fumetti quindi questo rompere gli schemi mescolando tutto in una grande zuppa e’ perfettamente logico per me, mi trovo a mio agio e poi amo situazioni e suggestioni diverse, non voglio ripetermi, cerco di variare il piu’ possibile, almeno finche’ ci riesco. Non lo faccio esattamente in modo cosciente, diciamo che sono elementi che mi appartengono perche’ fanno parte del mio background culturale Allo stesso tempo pero’ la grande sfida che sento mia da sempre e’ scrivere le storie che avrei voluto leggere. Il divertimento puro e’ forse il punto essenziale del mio modo di intendere la scrittura. Quando metto su carta una storia dev’esserci passione: l’intreccio conta relativamente, invece sono ossessionato dal ritmo, dalla musica, capisci cosa intendo? Quando i personaggi vivono le loro avventure al ritmo giusto, allora comincio davvero a creare e in quel caso il processo e’ arrivato a un punto per cui non riesce piu’ a fermarlo nessuno. Venendo alla questione creativa – prevale la strategia o il caso – devo dire che per “Londra fra le fiamme” tendenzialmente e’ successo quasi per gioco come per la maggior parte dei miei romanzi. Ho cominciato scrivendo un racconto che si intitolava “Fuoco nella polvere”. “Londra fra le fiamme”, chiaramente, rappresenta il seguito. Ne ho un terzo in cantiere, ma non sono ancora stato in grado di finirlo.
GISCHLER: Joe grazie per questa chiacchierata. Ho sempre pensato che tu sia non solo un grande scrittore ma anche un lettore e un affabulatore formidabile. Mi colpisce sempre il fatto che quando leggi o narri una tua storia alla fine tutta la gente che riempie la sala si sta sbellicando dalle risate.
LANSDALE: Grazie a te. E… ti consiglio a tutti i lettori italiani!
LE RECENSIONI
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Il vangelo della scimmia di Christopher Wilson – euro 13
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cinemadadenuncia splinder com, 16.3.11
Sull’isola britannica di Iffe, terra popolata da individui ignari del mondo e obbedienti a leggi intransigenti, approda Maria, una scimmia fortunosamente scampata al naufragio di una nave da guerra. Scambiata per eccentrico francese dagli abitanti del luogo, Maria semina lo scompiglio, mettendo a repentaglio il ferreo e ottuso ordine che vige sull’isoletta.
Sarebbe un delitto leggere una volta sola Il vangelo della scimmia, che’ la formidabile traduzione di Luigi Cojazzi sciorina una prosa smagliante e spigliatissima, fantasiosamente ricca di metafore e immagini ma di una scioltezza semplicemente sbalorditiva. Pur gremito di espressioni fiorite e funambolismi verbali, il romanzo breve di Christopher Wilson non incontra alcuna difficolta’ a convertirsi in un italiano mai sciatto o impacciato. Al contrario l’operazione di adattamento, per quanto verosimilmente impegnativa, non tradisce sforzi o forzature, depositandosi in una scrittura raffinata e tornita che non rifugge da occasionali ricercatezze ne’ da indemoniati neologismi.
Con “Il vangelo della scimmia” siamo nel campo della satira ipotetica, a partire dal nome dell’isola Iffe, microcosmo di stretta osservanza gerarchica politicamente governato da un Lord smemorato e incapricciato, spiritualmente guidato da un reverendo autoritario e lascivo e culturalmente affidato alla pericolante erudizione del dottor Gallimauf, stravagante tuttologo che possiede ben cinque trattati sui quali ha basato la propria conoscenza del mondo. Il porcinesco mercante Hogg, individuo dalla corpulenza pari soltanto all’avidita’, e il malizioso balivo Hooker, paziente factotum di Lord Iffe, completano la galleria dei notabili. Sotto di loro gli imbelli isolani: “gente umile e modesta, abituata a compiacere i propri signori e a obbedire alle loro parole”.
Fuori dal consorzio sociale si contorce e dimena Vera la Pazza, rifutata dalla Chiesa, disprezzata dalla comunita’ e posseduta da diavoli che le ricordano le umiliazioni patite e la trascinano in fulminei accessi di collera. Ma e’ proprio lei, specchio deformante che riflette soprusi inveterati, a prendersi cura di Maria, mina vagante portata dal mare e autentico corpo estraneo che stuzzica la curiosita’, la diffidenza e infine l’ostilita’ dei difensori dell’ordine costituito. Vera accudisce l’indifesa scimmia dandole riparo e nutrimento, chiamandola amabilmente “relitto” e vedendo in lei, diversamente dagli altri, una creatura da proteggere nonostante i difetti estetici e comportamentali.
Christopher Wilson, autore inglese nato nel 1949 con trascorsi da docente universitario, dipinge questo quadretto caratterizzato dall’irruzione di un elemento scompaginante all’interno di un universo autoreferenziale con stile mordace e pungente, indugiando causticamente sulle storture dell’ignoranza e sulla crudelta’ dell’intolleranza. Eppure non e’ il solo taglio satirico-pamphlettistico a rendere Il vangelo della scimmia un romanzo di rara arguzia, e’ la scrittura stessa a farsi incisivo strumento di sarcasmo: che si dispieghi sardonicamente nell’ampollosa eloquenza dei potenti e dei sapienti o che si rattrappisca rabbiosamente nell’isteria linguistica di Vera la Pazza e nelle bestiali raffiche che passano per la testa di Maria, quello di Wilson piu’ che uno stile e’ una stilettata, ritagliandosi addirittura un capitolo (“La Notte di Ophal”) per dare sfogo alla visionarieta’ degna di un sabba tutto al maschile.
Alessandro Baratti
(recensioni Il vangelo della scimmia)
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Stanze nascoste di Derek Raymond – Euro 16,00
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Internazionale, 25.2.11
Raymond (vero nome Robin Cook, Londra 1931-1994) e’ stato il maggior scrittore europeo di noir e il piu’ sconvolgente dei suoi romanzi, “Il mio nome era Dora Suarez”, e’ pubblicato da Meridiano zero come tutta la sua opera. Il noir, ha scritto Raymond in “Stanze nascoste”, queste memorie che montano scritti vecchi e nuove riflessioni-confessioni, ha la funzione di “mostrare la vita attraverso gli occhi di quelli che sono stati privati di un’esistenza decente e percio’ sono sprofondati nella miseria o nella violenza”. Il contrario delle narrazioni consolanti e asettiche del giallo. “Nel noir non e’ ammessa l’inconsistenza o la superficialita’”, che caratterizzano invece la quasi totalita’ dei noir italiani, equivalenti odierni delle inchieste asettiche e consolatorie alla Agatha Christie cosi’ detestate da Raymond. Sarebbe abusivo chiamarli noir. “Il noir esiste per far vedere agli uomini cos’e’ la vera disperazione” e se i lettori lo amano e’ perche’ sono ansiosi per le sorti del mondo, che lo scrittore deve “registrare e definire” nel corso della loro evoluzione. Lettore di Sartre e Camus e dei grandi psichiatri degli anni sessanta, Raymond s’interroga sul male, ma anche su di se’: una madre amata e odiata che non ha saputo amarlo, l’appartenenza a un ceto sociale ricco ed egoista, la percezione netta delle disparita’ sociali e poi la guerra e la violenza, e la scelta di vivere tra i reprobi, dividendo il loro stesso disagio.
Goffredo Fofi
Satisfiction, 31.1.11 – www vascorossi net, 22.1.10
“Detesto Agatha Christie perche’ e’ piatta e ovattata e soprattutto lontanissima dalla realta’ delle cose, non parla mai dei lati piu’ sporchi. Non c’e’ mai nessuno che vomita per la strada in un romanzo di Agatha Christie”.
E’ questo uno dei tanti passaggi “spericolati” che ci portano tra le “Stanze nascoste” di Derek Raymond (Meridiano zero) considerato da molti il “genio nero” della narrativa poliziesca. In questa autobiografia lo scrittore inglese si racconta in quello che e’ forse il suo miglior romanzo: quella della sua vita. Paragonato dalla critica ad autori di culto come Raymond Chandler, Jim Thompson, Dashiell Hammett, pesi massimi della letteratura gialla, non ha mai fatto mistero della sua esistenza a dir poco complicata. Scrittore capace, come ha recentemente dichiarato il bestsellerista scozzese Ian Rankin, di “descrivere con uno stile unico la tragedia della societa’ contemporanea”, ha sempre vissuto ai limiti del piu’ niente. Nato il 12 giugno 1931 a Londra e’ cresciuto tra Eton e il castello di famiglia nel Kent. Sir Robin Cook, questo il suo vero nome da “baronetto”, lascia a soli 17 anni gli agi della propria vita da nobile per inseguire il suo sogno d’inchiostro. Decide di vagabondare per il mondo facendo ogni lavoro possibile: bracciante in Francia, vignaiolo in Toscana, contrabbandiere di auto in Marocco sino alla decisione di andare a vivere a New York dove e’ stato insegnante, tassista e diventare tra i piu’ noti trafficante di materiale pornografico. Negli anni ’60 la scelta di tornare a Londra, dove e’ morto nel 1994: un trentennio consumato tra la miseria dei luoghi piu’ sordidi a contatto con la criminalita’ organizzata. “Perche'”, scrive Derek Raymond, “i veri noir raccontano gli uomini e le donne che le circostanze hanno spinto troppo in la’, la gente che l’esistenza ha piegato e deformato”. Questo il segreto dei suoi libri, compreso il recente “Incubo di strada” (Meridiano zero). Come tutti i suoi personaggi anche i suoi romanzi sono tutti da scoprire: piu’ che libri sono rose dimenticate in una cantina buia e raccontano “la lotta umana contro il male universale, incolmabile, devastante, in cui la sconfitta e’ certa”. Basta avere la dignita’ di combatterla. Non e’ facile, ma si puo’.
Gian Paolo Serino
(recensioni Stanze nascoste)
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Una donna di troppo di Carl Hiaasen – Euro 18,00
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www lettera com, 8.11.10
“Una donna di troppo”: Woman Got The Power, gli uomini in un mare di guai
In una notte piovigginosa di una crociera per l’anniversario di matrimonio, Chaz, marito irrequieto e con parecchio da nascondere, afferra le belle caviglie della moglie e la fa volare nell’oceano. I motivi dell’agguato sono incomprensibili per Joey, la consorte che lotta nelle acque turbolente, ma hanno radici profonde in una storia di corruzione, di debolezze, di ambiguita’ e di violenza che inevitabilmente chiama vendetta.
“Lo capisco, sai, quando gli uomini mi dicono la verita’. Non capita spesso, ma quelle poche volte lo capisco.”
Non contento di aver fatto volare la moglie nell’oceano, Chaz sparera’ anche all’amante, non prima di averla denigrata declassandola, in una conversazione, a “donna delle pulizie”. Errore ancora piu’ grave di puntarle contro una pistola: nella vita di Chaz c’e’ sempre “una donna di troppo” e dato che la sua incontenibile (diciamo cosi’) energia lo spinge a considerare la condizione femminile soltanto nella cornice delle prestazioni sessuali ed erotiche (e anche qui siamo nel campo degli eufemismi) non sono insolite o fuori luogo altre voglie che mettono, piu’ del piacere, la vendetta in cima alle preoccupazioni quotidiane. “Una donna di troppo” e’ una commedia degli equivoci guidata da un personaggio cosi’ viscido, imbranato, imbelle e improbabile nel suo incontinente priapismo da risultare persino simpatico, visto che alla fine gliene combinano di tutti i colori (la vendetta, qui, oltre ad essere gustata fredda, ha parecchie portate). Se non bastasse Chaz c’e’ soltanto l’imbarazzo della scelta a partire dalla sua guardia del corpo (o custode, la differenza con il passare delle pagine si fa minima) che viene chiamato Tool (il nome dice gia’ tutto) e a cui non sembra vero che il destino abbia riservato un minimo di redenzione. Per andare in pareggio con i tratti comici ed esilaranti che in fondo sono gli elementi trascinanti di “Una donna di troppo”, la commedia prende fosche tinte noir, anche se Carl Hiaasen non rinuncia mai all’ironia, al sarcasmo e a una divertita perfidia nel rivelare per gradi una storia molto intricata ma anche piuttosto attuale. Come se il gesto inconsulto di Chaz all’inizio di tutto, fosse un sasso buttato nello stagno e i cerchi concentrici si fossero allargati fino a schiarire la misteriosa trama. Svelata con un riflesso ecologista proprio dov’era cominciata, nelle paludi delle Everglades, nell’acqua, metafora nemmeno tanto velata dell’essenza femminile di tutta la vicenda. E’ anche logico perche’ e’ da li’ che prende forma l’intrigo, che pero’ viene tenuto sommerso per gran parte del romanzo, come se i danni maggiori, comunque, gli esseri umani li facessero sempre a se stessi. Brillante, divertente, frenetico Carl Hiaasen (uno che scrive sotto una fotografia dei Rolling Stones a New York nel 1964) oltre al film di riferimento (“Quei bravi ragazzi” di Martin Scorsese) fornisce anche la colonna sonora ideale: tra gli altri cita Neil Young (con una certa frequenza e sempre nei momenti giusti), ma soprattutto George Thorogood che pare accostarsi alla perfezione alla spensierata vitalita’ di Chaz e dedica il libro a Warren Zevon a cui non sarebbe affatto spiaciuta questa storia di donne risolute e dure a morire.
Marco Denti
(recensioni Una donna di troppo)
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