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Fumetti: Pogo

27 Ottobre 2011

[da:”Enciclopedia dei fumetti” a cura di Gaetano Strazzulla, Sansoni, 1970]

L’AUTORE

WALT KELLY (Walter Crawford Kelly) – Nato a Filadelfia nel 1912. Aveva poco più di vent’anni quando entrò a far parte dell’équipe di Walt Disney come animatore. Acquistata confidenza con i personaggi antropomorfi, cominciò a strut ­turare una propria striscia, che apparve nel 1943, quando abbandonò gli stabilimenti di Bur-bank: Bumbazine and Albert the Alligator. In essa compariva anche Rogo, ma in una ver ­sione parecchio lontana da quella odierna: lungo naso e pelo rado, il piccolo opossum confermava la sua gracile costituzione con in ­terventi di scarso rilievo.

Abbandonato il personaggio umano del piccolo Bumbazine, la strip si mutò in Albert and Pogo e ancora, nel 1948, nel definitivo Pogo. Quando cessò le pubblicazioni il newyorkese The Star, che pubblicava la vicenda zoologica di Oke-fenokee (e al quale Kelly â— nel 1949 â— aveva collaborato in misura non indifferente a favore della campagna presidenziale di Truman), Pogo si mutò in un comic book. Il crescente successo lo riportò alle strisce quotidiane, alle quali Kelly, dal1951, ha affiancato la pubblicazione di vo ­lumi che non offrono le storie di Pogoland in forma antologica, ma le riorganizzano secondo un « montaggio » che prevede l’inserimento di materiale inedito e la revisione di quello già stampato.

Tra questi testi, oltre una ventina, è da ricor ­dare in modo particolare Beau Pogo, del 1960. ove l’artista, che già aveva ampiamente discorso del suo mondo in Ten Ever-Lovin’ Blue-Eyed Years (del 1959), ha prefatto le tavole pren ­dendo posizione contro alcuni suoi esegeti.

 

IL PERSONAGGIO

 

POGO – Trent’anni fa, quando cominciò a sgam ­bettare tra le vignette di una striscia che lo accoglieva come «spalla » dei protagonisti (l’al ­ligatore Albert e il ragazzine Bumbazine), nes ­suno avrebbe previsto per Rogo una così lunga vita e, più ancora, gli avrebbe accreditato, se ­condo quella che è divenuta oggi una suffragata consuetudine culturale, un futuro da animale di laboratorio per sociologi e psicanalisti. Rogo, il bona fide possum di Walt Kelly, invece, in parte per merito proprio, ma soprattutto in conseguenza della radicale ristrutturazione della strip operata dall’autore sul finire degli anni quaranta, s’è andato collocando al centro di una vasta analisi scientifica, che lo ha affrontato da ogni possibile lato per individuarne 5 ripo ­sti significati o, meglio, il Significato. Quanto Kelly mal sopporti queste indagini e le conseguenti deduzioni è risaputo: « Per ritor ­nare su una delle mie lamentele preferite â— scriveva qualche anno addietro â— in questo mondo si insiste troppo nella ricerca dei signi ­ficati ». E non è sempre facile dargli torto, te ­nuto conto del tipo di esegesi che hanno smi ­nuzzato le sue tavole e delle considerazioni che hanno concluso gli scandagli. Identità di giudizio e di connotazione, per altro, non esiste nemmeno tra i diversi ricercatori, che i critici dell’immagine e gli analisti della struttura linguistica non condividono in toto le risultanze cui sono giunti sociologi e psi ­canalisti, spesso impegnatisi in un lavoro di ricerca che è parso trascurare l’aspetto razio ­nale dell’oggetto (cioè la volontà di Kelly) a vantaggio di una complessità di fenomeni incon ­sci. A dirlo in altri termini, Rogo è finito sul tavolo anatomico non come un prodotto del pen ­siero (o un fatto « artistico », se si vuole), ma come una indiretta cartina di tornasole capace di denunciare, appunto attraverso il particolare « qualunquismo » di Kelly, il rituale di una or ­mai stratificata « mitologia politico-economica americana ».

Senza ulteriormente aggrovigliare la matassa, con distinguo o rifiuti che ognuno è libero di avanzare, è ovvio dover riconoscere che un discorso come quello che Kelly va svolgendo da vent’anni e più non poteva esimersi dal-l’accettare (e subire) valutazioni a diversi li ­velli, condotte secondo ottiche certe volte op ­poste. Rogo e i suoi compagni non possono essere considerati soltanto dei curiosi perso ­naggi antropomorfi, i quali recitano una com ­media zoologica sullo sfondo, fisso e limitato, della palude di Okefenokee. Il loro mondo, i loro atteggiamenti, il comportamento che li guida e le posizioni che assumono nei confronti della traslata realtà degli umani non danno vita a una rappresentazione disancorata da un pre ­ciso habitat, né, tanto meno, a uno « spetta ­colo » recitato per il solo gusto di una con ­tinua invenzione linguistica e grafica, per un accumulo costante di soluzioni ogni volta pun ­genti e scattanti sul piano della fantasia espres ­siva e della satira di costume. Quando si è trattato di puntare il dito su certe piaghe della società americana, il maccartismo piuttosto che il razzismo, Kelly non ha mime ­tizzato le sue intenzioni, né si è fatto scudo della desinenza favolistica della sua Pogoland. Ha chiamato le cose con il loro nome (pur ser ­vendosi sempre di gustosi e acrobatici stor ­piamenti fonetici), fissando i termini della pole ­mica in modo abbastanza netto. Semmai, si dovrà dire che lo ha fatto alla sua maniera, dando fiato a quelle che sono le sue convin ­zioni, il suo « credo » morale, che risalta lucido e puntuale a ogni voltare di tavola. Kelly crede, e sinceramente, nella tolleranza, nel rispetto reciproco, in un mondo che ha bandito la vio ­lenza, dove si additano mistificatori e demagoghi, persuasori occulti e prepotenti. Le tavole di Kelly adunano una nutrita schiera di protagonisti. Tra loro, un mattatore, nel senso tradizionale, non esiste. Gli interpreti assolvono ognuno a responsabilità mai intercambiabili: neppure intervengono un coro o figure seconda ­rie di tutto comodo. I ruoli sono fissi e le « va ­rianti » â— per così dire â— vengono di volta in volta affidate a personaggi irregolari, i quali, come dice Kelly « è probabile che nei giorni di libertà lavorino altrove, in altre strips, magari ottenendo più successo di quanto pensiamo ». Una così solida struttura scenica chiede logi ­camente definizioni caratteriali non sfumate. L’autore corrisponde a questa esigenza con una puntigliosità e una arguzia che costituiscono forse il pregio maggiore della sua opera. Ogni personaggio viene precisato attraverso minute annotazioni psicologiche, ma anche esteriori. Perfino nell’esprimersi (cioè nella scritturazione del fumetto) i diversi personaggi si differenziano sostanzialmente, dando fondo a un pirotecnico campionario di caratteri tipografici: un gotico clericale per Deacon Mushrat (il topo muschiato simbolo del conformismo), un grassetto per Mole MacCarony (il segugio superpatriottico), un cu ­rioso impasto di segni, stelle, asterischi, let ­tere floreali, indici e trovate di stampa per Bridgeport (l’orso imbonitore e imbroglione). Ciò che accomuna gli interpreti, almeno per la lingua, è l’« okefenokiano », una sorta di dia ­letto estroverso, brulicante di sorprese gram ­maticali e di storpiature lessicali, dove l’estro di Kelly si scatena con funambolici giochi di parole, acrobatici ritagli nello slang, gustosi intrecci alterativi e ogni sorta di convulse me ­tafore gergali. Ma anche la parlata dei singoli, e soprattutto degli « irregolari », può servire di ulteriore caratterizzazione: ancora una volta Kelly «gioca » con tutte le possibili (e le «im ­possibili ») gags fonetiche: l’americano s’intrec ­cia così all’inglese, all’australiano, al canadese, allo scozzese e naturalmente alle caratteristiche deformazioni dell’idioma anglosassone parlato da chi non lo possiede come lingua madre. Da que ­sto coacervo di fenomeni, neppure restano esclusi gli odierni metalinguaggi (il gergo degli sportivi, dei politici, dei pubblicitari, degli scien ­ziati) e ogni altro jockey vernacolo. I personaggi di primo piano dell’esopiade di Walt Kelly (o per meglio dire quelli che più regolarmente vi intervengono) sono Rogo, Al ­bert, Howland Owl, Churchy La Femme. Rogo, più che un interprete, è l’alter ego di Kelly e, per ammissione del suo creatore, « costituisce, in un modo paradossale, un capro espiatorio. Non porta con sé il peccato, ma solo la speranza e il desiderio. Impeccabile e imperturbabile, in ­siste a essere se stesso; non può far di meglio e non può far di peggio ». Tollerante, un po’ pigro e certo spreoccupato (la pesca è per lui una delle occupazioni di maggior impegno), Rogo è, principalmente, il testimone degli avvenimenti di Okefenokee: quando interviene, è guidato da saggezza e buon senso, ma, a leggergli dentro, si capisce benissimo che preferirebbe tenersi estraneo. Non tanto per egoismo, quanto per una naturale vocazione di padrino. L’alligatore Albert â— con Rogo uno dei vete ­rani della striscia â— non brilla certo per acume, ma le poche cose che sa, le crede fermamente. È, in altri termini, la quintessenza di una certa rozza e radicata ruralità americana: non un pio ­niere ma un aborigeno, il quale ha tuttavia per ­duto, la fierezza e la ferocia ancestrali. Le sue prede, oggi, sono i grossi sigari che mastica di continuo con voluttà pari alla durezza con cui rimprovera gli insetti che, incauti, si sono avventurati nella sua bocca spalancata. Non certo timido o complessato può dirsi in ­vece Howland Owl; saccente, apparentemente dotto in ogni disciplina, presuntuoso e logor-roico, il gufo di Kelly blatera in continuazione, riempiendo ogni spazio dei suoi quadrucci. Me ­schino e mistificatore, abile nel mischiare le carte (a suo vantaggio) e pronto a bruciare ogni sofisma al riparo degli occhialoni cerchiati e di un bizzarro berretto da mago. Owl ha trovato un fedele supporter in Churchy La Femme, owerosia Turtle, la tartaruga maschio che dà voce ai più strepitosi non-sense della poesia kelliana. Al di là dunque dei riferimenti precisi alle realtà e ai personaggi USA, la palude di Okefenokee è essa stessa un piccolo universo straordina ­riamente vivo e incalzante. La difficoltà, per il lettore americano o europeo (e ben di più per quest’ultimo), sta nel saperlo interpretare se ­condo il giusto verso, senza eccessivamente caricarlo di significati indiretti, ma neppure sot-traendolo a una continua e complessa osmosi con la quotidianità yankee.

 


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Bart