FUMETTI: S.K.127 Giugno 2013 [da: “Enciclopedia dei fumetti”, a cura di Gaetano Strazzulla, Sansoni, 1970] L’AUTORE GUIDO MORONI GELSI – È stato uno dei più seri, coscienziosi cartoonist italiani. « Valoroso e fecondissimo », come lo definì fin dal 1922 Teodoro Rovito nel Dizionario bio-bibliografico dal Rovito medesimo edito a Napoli e dedicato ai letterati e giornalisti italiani contemporanei. Segno chiarissimo che fin d’allora v’era qual cuno che senza falsi pudori e con pieno diritto faceva rientrare il fumetto nella narrativa, nella letteratura. Nato a Roma nel 1885, Guido Moroni Gelsi pub blicava tra l’altro nel supplemento del quoti diano romano Il Messaggero (intitolato Il Messaggero dei Piccoli) L’album di Pippo-Pupo: se rie di pagine disegnate con intenti umoristici. È difficile per chi di Moroni Gelsi conosce so prattutto l’ultima produzione, per esempio il ciclo cospicuo delle riduzioni a quadretti mu niti di balloons dei romanzi di Emilio Salgari riferiti alle imprese di Sandokan e Yanez, pen sarlo sotto questa luce. Eppure sappiamo che per un certo periodo si dedicò al disegno poli tico-satirico, senza trascurare per altro il settore verso il quale si sentì per tutta la vita partico larmente portato, la narrativa per l’infanzia. In questo senso collaborò al Mulo di Bologna (con lo pseudonimo di F. Stern), al Ma chi è? di Napoli, alla Domenica dei Fanciulli, al No vellino, al Cartoccino e tra le tante altre testate al Corriere dei Piccoli. In quest’ultimo, unico periodico per l’infanzia rimasto in vita tra quelli menzionati, Guido Moroni Gelsi creò tra l’altro il personaggio di Grillo, un balillino. Si era nel 1934, in anni cioè di strisciante e sempre più intensa fascistizzazione dell’ltalietta agricola che stava sognando imperiali imprese coloniali, e il disegnatore bruciò la sua piccola dose di incenso alle nuove direttive nazionalistiche. Di remmo comunque con piglio tutt’altro che mar ziale, anche se non scevro di un intimo orgoglio che era però, sostanzialmente, la caratteristica del suo disegno un po’ duro, tratteggiato con brevi e secchi colpi di pennino tanto da sem brare nel maggior numero dei casi uscito da incisioni su legno. V’era cioè nell’intero mondo disegnato di Moroni Gelsi, nei suoi personaggi, un senso di naturale fierezza. Negli anni venti aveva collaborato al New York Herald, sola sua parentesi importante estera. Per comodità (che si tratta soltanto di una il lazione) diremo che si allaccia psicologicamente a quel legame presto interrotto con il Nuovo Mondo la creazione nel 1935 di un fumetto western che può essere considerato, nono stante pochi pallidi tentativi precedenti, il primo italiano della storia del cartoon su carta: Ulceda, la figlia del Gran falco della prateria. Cominciò ad apparire a puntate nel settimanale Paperino a partire dal 5 giugno di quell’anno e fu più tardi raccolto in albo. Un western per certi versi precorritore. Ribaltava e frantumava anzi quei tabù che per decenni e fino a giorni re centissimi il cinema americano avrebbe colti vato presso lo spettatore di ogni continente. Il protagonista bianco, piuttosto un esploratore, un giramondo generoso e leale assetato di av venture che un cow-boy (armato inoltre di ca rabina anziché della consueta Colt), italiano, alla fine sposava Ulceda, la fiera e bellissima figlia indiana di Gran Falco. Pellerossa que st’ultimo a sua volta visto senza razzismi, fie ramente messo alla pari di Vittorio Ranghi, come il «viso pallido » si chiamava. Del western aveva lo scenario, i costumi, l’intreccio. Ma i rapporti di Ranghi con i non meglio identificati soldati delle « truppe regolari » di stanza in un forte e vigilanti sulla pace tra le diverse tribù erano vaghi e imprecisi. Diciamo meglio, però, che Guido Moroni Gelsi si sentiva sensibil mente attratto verso l’esotico. Sempre nel 1935 per esempio ambienta in Africa un’avventura intitolata La prigioniera dei Ras con due ragaz zetti protagonisti che potevano (e il richiamo non è casuale) ricordare il popolarissimo team formato da Cino e Franco. Esotico è il menzionato ciclo salgariano e così il brevissimo rac conto a quadretti su soggetto di Antonio Ru bino L’ospite del re di Tonga in cui si narra di un naufrago italiano che con il proprio inge gno aiuta una tribù negra a fronteggiare e a sconfiggere l’assalto bellicoso di una tribù ri vale, guadagnandosi l’affetto e l’amicizia di re Tonga, tanto che costui tenta di ostacolare la partenza del bianco dalla propria terra, e quan do ciò avviene lo abbraccia commosso. Le cose sue più note, ripetiamo, sono le ridu zioni salgariane realizzate tra il 1936 e il 1941: da I misteri della giungla nera a Sandokan alla riscossa, talune in quadricromia, altre purtroppo a un solo colore. Diciamo purtroppo perché il gioco compatto dei colori dona vivezza al dise gno di sapore « ottocentesco » di Guido Moroni Gelsi, pregno di una sua virile nervosità, di un austero stilismo inconfondibile e accattivante, caro per questo ai lettori che erano in quel pe riodo ragazzi. Le tavole erano pubblicate con cura e rilievo da Mondadori a puntate (talune raccolte pure in suggestivi albi). Uscivano con temporaneamente ai cicli salgariani dei Corsari e del Far West affidati ad altri cartoonists, tra cui il bravissimo Rino Albertarelli. Erano giorni par ticolarmente « gloriosi » per lo sfortunato roman ziere veronese finito suicida. Le sceneggiature naturalmente riducevano all’osso l’intrecciarsi degli accadimenti ricchi di azione che il Salgari aveva inventato con immaginazione fervida, ma non tradivano la sostanza dei canovacci d’ori gine e Moroni Gelsi con il suo disegno riuscì a creare un intero universo iconografico che legava in modo felice con il mondo ricco di sentimenti, romantico, in certa misura ampol loso, in cui agivano i pirati di Mompracem. Il racconto di fantascienza S.K. 1 che ripropo niamo si inserisce nel mezzo della serie salgariana. Rimane comunque nel settore un’espe rienza unica per Guido Moroni Gelsi, grafico, abbiamo visto, che si lasciò coinvolgere da esperienze diverse nel corso della sua proli fica attività creativa, financo dalla pubblicità, in anni in cui ancora era chiamata con una sorta di pudore provincialesco réclame. Lasciò i fumetti durante il secondo conflitto mondiale, sembra colpito da una grave infermità. IL PERSONAGGIO VARO – È il nome, questo, dell’eroe principale, del protagonista di S.K. 1. Parlare di fanta scienza vera e propria sembra un poco falsare i contorni delle intenzioni di Guido Moroni Gelsi. È vero: si parla in esso di un altro pia neta che un gruppo di terrestri, il giovane Varo Vaschi, il professor Vela e la figlia di costui, Jole, visitano capitandovi per caso, cioè preci pitandovi con il loro «stratosferico S.K. 1 »: velivolo che più che al futuribile tecnologico sembra imparentarsi con i marchingegni di Robida per altro filtrato da umori decisamente caserecci. Ma il dipanarsi della storia rientra più pertinentemente nella sfera del fantastico, del mitico e dell’esotico. Sembra cioè che Mo roni Gelsi non riesca a liberarsi da certi con dizionamenti ambientali da lui studiati soprat tutto per le vicende salgariane dei thugs stran golatori. Ma è proprio ciò a conferirgli un sa pore di originalità che lo distingue da ogni al tro fumetto appartenente al filone. In quel l’epoca, dopo il Buck Rogers in the Year 2429 di Dick Calkins e Phillip Nolan e insieme ad altri racconti, trionfavano le strisce raymondiane di Flash Gordon: l’eroe principe dei vagabondi delle stelle, immerso in un alone fiabesco con draghi e strane razze di umanoidi. Moroni Gelsi non poteva sottrarsi a quel richiamo. Lo si può notare appunto dalle principali figure che ani mano l’intreccio del suo racconto: Varo Vaschi è per così dire il Gordon della situazione, men tre il professor Vela sostituisce il savant dr. Zarro e Jole è palesemente Dale. Ma questa somiglianza e le altre, per esempio l’uomo-lupo Upupo, gli uomini-salamandra, l’uomo-tigre, la bestia Orus ecc. pur obbedendo alla medesima matrice in fondo cui si era ispirato Alex Ray mond (il mondo della mitologia) riescono ad as sumere una singolare compostezza, un cifrario « magico » del tutto inedito. E S.K. 1 precede di una spanna l’uscita del più clamoroso Saturno contro la Terra di Zavattini-Scolari-Pedrocchi, space-opera più clamorosamente fantascientifica e più della « fantasia » di Moroni Gelsi accolta favorevolmente dal pubblico giovanile; tanto fortunata da meritare varie ristampe anche re centi. Se il parallelo può calzare, possiamo dire che il Saturno sta a S.K. 1 come il Gordon sta a Buck Rogers. Anche l’eroe di Calkins e Nolan venne surclassato dalla strepitosa, colo-ratissima, suggestionante saga ambientata sul pianeta Mongo. Ma il legame e il raffronto si fermano qui. S.K. 1 non ha niente di futuribile. Non vi sono al suo interno marchingegni che oggi possano far gridare al miracolo, cioè ab biano precorso in qualche modo il cammino delle scoperte scientifico-tecnologiche. Anzi vi si respira, come già si è detto, una certa aria demodé, un certo sapore ottocentesco, dovuto proprio allo stile grafico inconfondibile di Guido Moroni Gelsi. La parabola è anch’essa inge nuamente legata a una mitica civiltà del Ferro e dell’Acciaio: i tre protagonisti finiscono pri gionieri di un imperatore appunto del Ferro, quindi si trovano a fronteggiare le ire di Aera, principessa di codesto regno denominato del l’Acciaio. L’azione è ricca di movimento, di colpi di scena, di agguati, di sorprese: il tutto all’interno di scenografie e di cerimoniali tolti di peso dalle mitologie religiose orientali. Quando il settimanale Topolino ne iniziò la pub blicazione a puntate nel 1936, in altre pagine del giornale si iniziava un’altra storia fanta scientifica, firmata da Yambo e intitolata I pio nieri dello spazio. Il fumetto nostrano, sollecitato anche dai signori del Minculpop, stava disperatamente cercando una sua strada, che riuscì a trovare, anche, dando inizio a quella che a torto o a ragione venne definita « scuola » e che annoverò arti sti e artigiani di notevole estro. Insieme a sto rie tipicamente italiane, e abbiamo visto come Guido Moroni Gelsi su codesto binario abbia creato non soltanto la serie salgariana ma anche, nei risvolti del contenuto, le altre storie esotiche (l’eroe aveva nome italiano e il fu metto finiva per decantarne le qualità forgiate nel « nuovo corso » del Paese) se ne trovavano rifatte su modelli stranieri, americani (quando il paradosso, come mascheratura e difesa nei confronti della censura sulla stampa per ragazzi, non portava a firmare con nome italiano i fu metti poniamo di Brick Bradford alias Giorgio o Guido Ventura, di cui si scurivano soltanto i biondi capelli, o si rifaceva su sceneggiature del disneyano Topolino storie con un pupazzetto chiamato Tuffolino). S.K. 1 può dirsi proveniente da questa matrice, però filtrato, via via che le strisce riempivano di sé le tavole del settimanale Topolino, da caratteristiche inconfondibilmente nostre, che erano quelle in fondo riconoscibili in questo e in tutti gli altri fumetti di Guido Moroni Gelsi. La fantascienza del nostro fumetto avrebbe dopo di allora proliferato in modo disuguale, saltuario ma abbastanza soddisfacente. Dopo S.K. 1 e il contemporaneo menzionato I pio nieri dello spazio di Yambo/ sarebbe ve nuto l’exploit di Saturno contro la Terra e quel l’altro tutt’altro che banale racconto firmato da Pedrocchi e disegnato da Walter Molino con il malefico scienziato Virus. Per ciò che riguarda l’anteguerra. Per il dopoguerra il discorso si fa più sicuro e più baldanzoso. Arriviamo, at traverso varie testate, alla fantascienza (fac ciamo solo un paio di citazioni) di Dino Batta glia con I cinque della Selenia e di Guido Crepax con Neutron e L’astronave pirata.
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