Libri, leggende, informazioni sulla città di LuccaBenvenutoWelcome
 
Rivista d'arte Parliamone
La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

Giallo: I coniugi Materazzo #11/13

10 Gennaio 2009

di Bartolomeo Di Monaco
[Per le altre sue letture scorrere qui. Il suo blog qui.]

I coniugi Materazzo  #11

C’era ancora il medioevo in Italia. C’erano i feudi: la sanità, la previdenza sociale, la scuola – specialmente l’università – la politica. Ma questo solo per fare qualche esempio. E c’erano i baroni, quelli cioè che non si toccano. Ma il feudo più grande di tutti, quello della politica, aveva sette vite come i gatti, e anche di più, e tutte le volte che si credeva di aver rinnovato qualcosa, tutto, chissà per quale perverso meccanismo, si trasformava da sé e ritornava come prima. Una metamorfosi che il popolo non riusciva a controllare. La vedeva svilupparsi sotto i suoi occhi, eppure non riusciva a fermarla. Era una stregoneria, una maledizione del diavolo questa politica che sapeva fare solo del male. Il commissario scoppiava di rabbia. Chissà come se la sarebbe cavata di fronte a quel caso che apparteneva al feudo della politica. Forse ci avrebbe rimesso la vita.
  «Allora, Jacopetti, che hai trovato? »
  «Poca roba, e mi pare di nessuna rilevanza. Sono stato a cercare anche nei comuni limitrofi. I morti di questi giorni sono 10 in tutto. »
  «Fammi vedere. » Jacopetti levò una mano dal volante e si frugò in tasca. Tirò fuori un foglietto in cui aveva segnato i suoi appunti. Accanto a ogni nome aveva indicato anche l’età e il mestiere. Oltre al Prefetto e ai coniugi Materazzo, la lista comprendeva un giovane di sedici anni morto di leucemia, quattro anziani tra i settanta e i novant’anni, di cui tre donne, deceduti per cause naturali, un neonato, una giovane madre colpita da infarto.
  «Sei sicuro che non ce ne siano altri? »
  «È tutto quello che sono riuscito a trovare. »
  «Mi pare che siamo tornati al punto di prima. »
  «Già. »
  Sollecitarono i confidenti a cercare notizie.
  «Possibile che nessuno di voi sappia niente? »
  «Lei non ci crederà, commissario, ma di questo omicidio non parla più nessuno. Solo tra gli operai e gli studenti se ne parla, ma cosa vuole che contino le cose che dicono loro. »
  «E che dicono? »
  «Che sono stati quelli di Roma. Forse i servizi segreti. Ma sono chiacchiere di gente che non può sapere nulla, e tira solo ad indovinare. »
  «È mai possibile che l’assassino sia riuscito a fuggire senza essere stato notato da qualcuno? Lo andate dicendo che daremo una taglia a chi fornisce qualche informazione utile? »
  Ma nessuno sapeva niente. Era diventato un chiodo fisso per il commissario.
  Qualche giorno dopo, mentre era a letto, sulla sera tardi, squillò il telefono. Ci andò convinto che fosse Jacopetti. Un telefono lo teneva in salotto. Indossò la vestaglia.
  «Allora, commissario, ci sono novità? » Era uno sconosciuto. Si capiva che la voce era camuffata. Fingeva di parlare forestiero.
  «Ma allora, commissario, lei non ci vuol capire proprio nulla in questa storia. »
  «Che c’è da capire. »
  «Eppure gliel’ho mandato a dire chiaro e tondo, mi pare. » Dunque, era l’autore di quel biglietto anonimo.
  «Lei non mi ha mandato a dire un bel niente. »
  «Eccome no, non gliel’ho detto che serve a poco trovare l’assassino? E allora che altro vuole? Cerchi i mandanti, invece. È lei il commissario, dopo tutto, ed io la sto già aiutando abbastanza. »
  «Perché lo fa? »
  «Ho le mie ragioni. Diciamo che mi rende, quello che sto facendo. »
  «Era amico dell’onorevole? »
  «Vuol sapere troppo, lei, commissario. Diciamo che io so la verità. »
  «E allora perché non viene a dirmela? » L’altro tagliò corto.
  «Almeno se l’è fatta l’idea di chi possa essere il killer? »
  «Di certo non è nessuno tra quelli che stanno al camposanto. »
  «Lo dice lei, commissario. Guardi bene quei nomi. »
  «Lei vuol dire che il killer è tra i morti qui a Lucca? »
  «E dove se no, a Catania? »
  «E perché, non le pare possibile un delitto di mafia? » Capiva che il suo interlocutore era disposto a dargli qualche altra informazione.
  «Non faccia il cretino, commissario. Se le ho mandato il biglietto, non è stato certo per farle disseppellire i cadaveri di mezza Italia. »
  «Allora, lei vorrebbe darmi ad intendere che è il Prefetto l’assassino. O mi sbaglio. » Sondava il terreno, aiutandosi con l’ironia.
  «Fuocherello, commissario » rispose invece lui.
  «Allora, è il dottor Materazzo. » Stette al gioco.
  «Le resta solo un altro nome. Non può più sbagliare, commissario. »
  «La signora Materazzo!? » Ma non è possibile, pensò.
  «E bravo il nostro commissario. Ha fatto centro. Non ci speravo più. »
  «Ma lei è un pazzo! »
  «E ora cerchi i mandanti » disse, e la conversazione fu chiusa bruscamente.
  «Chi era? » domandò Maria, quando lo vide rientrare in camera tutto preoccupato.
  «Niente. Dormi. Stai tranquilla. Era Jacopetti per una delle sue stupidaggini. »  

  La mattina dopo raccontò tutto a Jacopetti, mentre andavano in ufficio.
  «Ne parlerò anche col Questore. »
  «È troppo importante. »
  «Si dovranno fare degli accertamenti sulla signora Materazzo. »
  «Da dove pensa di cominciare. »
  «Sono stati tirati in ballo da ogni parte i servizi segreti. Bisognerà cominciare da lì. »
  «Sarà una bella gatta da pelare. »
  «Si scherza col fuoco, questa volta. »
  «Non solo col fuoco, ma lo sa, vero, commissario, che si rischia anche la vita. »
  «Lo, lo so, Jacopetti. E allora che si dovrebbe fare secondo te? »
  Il Questore sostenne che non bisognava dare retta a quella telefonata, e che si trattava di una montatura per sviare le indagini e dare una colorazione cupa a quell’omicidio, che molto probabilmente era opera di qualche pazzoide isolato, che ce l’aveva con le idee politiche della vittima.
  «Un fanatico, che odia i cambiamenti. Ecco chi è l’assassino. Solo che, devo ammettere, non sarà facile trovarlo. Lei comunque non si dia tanta pena e faccia solo il suo dovere. Non gli si chiede nulla di più, Renzi. Non sarà né il primo né l’ultimo dei casi che finiscono in archivio irrisolti. »
  «Bisognerà indagare sulla signora Materazzo. » Lo disse con timore.
  «La lasci in pace quella poveretta. »
  «E se fosse stata proprio lei? »
  «Ma allora lei crede a questa baggianata! Ma se l’immagina la signora Materazzo, quella bella donna, con una pistola in mano. E mica per uccidere il marito o l’amante, che questo sarebbe stato anche possibile, ma per assassinare un deputato che forse nemmeno conosceva. Via, Renzi, cerchi di essere serio. »
  Renzi, invece, mentre il Questore gli parlava, se l’immaginava la signora Materazzo con la pistola in mano, seduta sulla sedia di quel palchetto. Magari sola, e anche gli altri due palchetti vuoti, prenotati da lei, apposta per compiere la sua scelleratezza con il minimo dei rischi. Mascherata, naturalmente, e forse mascherata da uomo. Una bella donna come lei, mascherata da uomo. Ma era mai possibile? Se era accaduto davvero così, questo era un lavoro da gran professionista. La signora Materazzo, dunque, una donna killer, appartenente ai servizi segreti, capace di passare da un letto all’altro delle persone che contano, per scoprire e riferire. Di che cosa? Di tutto. Poteva essere credibile questo? E il marito era una copertura. Un cornuto di poco prezzo che faceva gioco ai loro disegni.
  «Quando avrà qualche novità, Renzi, mi riferisca subito. » Il Questore lo congedò, e il commissario tornò in fretta in ufficio, e fece venire Jacopetti, al quale disse che ora era convinto che l’assassino di quel disgraziato di onorevole era proprio la signora Materazzo. Solo che per essere certi occorrevano le prove.
  «Allora si dovrà riaprire anche il caso della morte dei coniugi Materazzo » disse Jacopetti.
  «E del Prefetto, non scordarlo. Se la signora Materazzo è il killer, non lo era per i fatti suoi, non andava ad ammazzare questo e quello così per far soldi. Poi, dev’essere successo qualcosa che ha scombinato i piani, e così c’è andato di mezzo anche il Prefetto. »
  «Dunque, non è un assassino il Prefetto. »
  «Ma che assassino. È una vittima anche lui. »
  «Ah, commissario, mi ha tolto un peso dallo stomaco. Sa che non riuscivo a dormire all’idea che il Prefetto fosse potuto diventare un assassino. In che mani siamo, allora? mi domandavo, se un Prefetto arriva, sia pure per colpa dei sentimenti, a perdere la ragione e a uccidere. »
  «Avremo a che fare, caro Jacopetti, con persone che stanno in alto, che occupano posti di grande responsabilità. Gente che se la incontri per strada ti ci levi tanto di cappello. »
  «E noi ci scontreremo con questa gente? »
  «Hai paura? »
  «Direi proprio di sì. »
  «E hai ragione, perché di paura ce n’ho tanta anch’io. »
  «Che facciamo? »
  «Corro dal magistrato e mi faccio dare tutte le autorizzazioni necessarie. Voglio potermi muovere senza incontrare opposizioni. »
  «Ma il magistrato non la penserà mica come il signor Questore… »
  «Speriamo proprio di no. »
  «E il Questore lo sa che lei va dal magistrato? »
  «Lui dice che io devo fare il mio dovere, e io lo faccio. »
  «Allora, penso che sia bene che io non mi muova di qua e l’aspetti. »
  «Sì, bravo, non ti muovere, che potrei aver bisogno subito di te. » Il commissario uscì, e Jacopetti tornò nel suo ufficio. Sedutosi sulla sedia, con gesto spontaneo, senza accorgersene, estrasse dalla tasca il fazzoletto e si asciugò la fronte.


Letto 2213 volte.


Nessun commento

No comments yet.

RSS feed for comments on this post.

Sorry, the comment form is closed at this time.

A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart