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Rivista d'arte Parliamone
La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

Giallo: Michele #4/10

24 Dicembre 2008

di Bartolomeo Di Monaco
[Per le altre sue letture scorrere qui. Il suo blog qui.]
 

Michele  #4

«Lei è un farabutto! » Badile glielo gridò in faccia, quando lo vide passare davanti al negozio. Uscì fuori apposta. Michele provò vergogna, ma invece di scappare, gli andò incontro, e quando fu vicino, lo guardò negli occhi.
  «Le chiedo perdono » disse con un filo di voce – ma gli occhi li teneva saldi dentro quelli di Badile.
  «Mettersi con una ragazzina… Alla sua età. »
  «Lei non conosce Martina. Sennò non mi parlerebbe così. » Aveva voglia di dirglielo in faccia che razza di figliola aveva allevato in casa.
  «E come le dovrei parlare. Ringraziarla? Mi sembrava una persona ammodo, lei, di cui ci si poteva fidare. È proprio incarognito questo mondo cane. » Badile parlava in mezzo alla strada, e non si preoccupava di alzare la voce. Michele era in difficoltà. Qualcuno si era fermato nella piazza e ascoltava.
  «Non parliamo qui dove tutti ci possono sentire. »
  «Senta chi vuole. Lo sanno tutti ormai che lei ha fatto la festa alla mia bambina. Si vergogni, si vergogni. » Però entrava in bottega, ce lo spingeva Michele; l’aveva preso per un braccio.
  «Si calmi. In fondo Martina è più grande della sua età. »
  «Che discorsi sono questi? »
  «È già una donna. Sa quel che fa. »
  «Ma è una bambina, ingegnere! »
  «Ha diciassette anni. Non è poi così ragazzina come dice lei. » Non c’era nessuno in bottega, ma qualcuno aveva tutta la voglia di entrare. Si fermava a pochi passi dall’uscio e tendeva bene le orecchie per non perdere una sola parola. Badile alzava la voce, ogni tanto, ma l’ingegnere gliela smorzava subito con un gesto della mano. Si erano seduti dietro il bancone, all’interno dello sgabuzzino che faceva da ufficio e dove c’era anche il telefono.
  «Non l’ho ancora denunciata, ma non sono così sicuro che non lo farò. »
  «Lei ha tutto il diritto di farlo, però vorrei che capisse anche le mie ragioni. »
  «E vuole avere delle ragioni, mascalzone? » Michele non ce la fece più a trattenersi.
  «Lei lo sa che non sono il primo che fa la festa, come dice lei, alla sua   Martina? »
  Badile tacque. Farfugliò.
  «Questo non c’entra niente. » Era in difficoltà. «Resta il fatto che lei ha approfittato di una minorenne. »
  «E invece c’entra. Mi dispiace, ma c’entra. Ho perso la testa, non lo nego, ma la colpa è anche di Martina. È lei che mi ha trascinato in questa situazione. »
  «Ah, ora lei vorrebbe darmi ad intendere che è stato sedotto, che è lei che ci denuncia alla polizia. Non mi faccia ridere, ingegnere. »
  «Non volevo dire questo. Martina è una bella ragazza. La colpa è soprattutto mia che non ho saputo trattenermi. »
  «C’era da aspettarselo da uno che non ha moglie. » Questo non andò giù all’ingegnere.
  «Allora sa che le dico, Badile, che lei s’è allevato in casa una bella puttana. »
  Badile si alzò dalla sedia e gli sferrò un gran pugno in faccia. Secco secco. Asciutto asciutto. Martina entrava proprio allora. L’aveva udito giusto in tempo.
  «Sarò anche una puttana, ma te sei un maiale. »
  Badile non l’aveva mai sentita parlare così, la sua figliola.
  «Sì, quel maiale m’è saltato addosso. Che potevo fare, babbo? »
  Michele aveva il naso che sanguinava. Aveva estratto il fazzoletto e cercava di tamponare la piccola emorragia. Riuscì appena a dire: «Ma che, lei crede a queste sciocchezze? », che Badile già gli aveva assestato un altro pugno che lo mandò a gambe all’aria fuori dal bugigattolo. Qualcuno era entrato in negozio, con la scusa di comprare qualcosa.
  «Fuori! » gridò Badile. «Oggi si chiude. »
  «Ma guarda che si sa tutti che Martina se l’è fatta il bravo ingegnere » si sentì rispondere.
  «Fuori! »
  «E anche che Martina è un po’ puttana, lo sanno tutti. »
  «Fuori! »
  «L’ingegnere non è il primo e non sarà l’ultimo. »
  Erano entrati in due o tre e canticchiavano. Badile schiattava. Prese proprio uno dei badili che aveva attaccati alla parete e si precipitò dall’altra parte del bancone, ma non fece a tempo. Si affacciò sulla piazza e vide che si era radunata altra gente.
  «La badilata dànni[1] alla tu’ figliola. E vedi se ti racconta anche quanti se n’è ripassati, quella sudiciona. » Ridevano. Non c’è pietà a questo mondo. Rientrò che era distrutto. Voleva darla in testa all’ingegnere la badilata, ma vide che parlava con Martina. Anzi, non ci parlava, ma Martina s’era spogliata tutta nuda e ora ci faceva all’amore con Michele.  

  «Vattene, babbo. »
  «Io te la do, a te, in testa la badilata. Allora è vero che sei una puttana. »
  Michele non sapeva che fare.
  «Resta lì » gli gridò Martina. «È l’ora che mio padre mi veda come sono. Mi crede sempre una bambina. Sono una donna. Ci credi, ora, che sono una donna? Dovevi vedermi scopare con un uomo per rendertene conto? » Si tappava gli occhi, Badile.
  «Lo faccia per me, ingegnere. Abbia un poco di compassione. » S’era fermato davanti al banco. Ci si appoggiava coi gomiti. I due stavano dalla parte dello sgabuzzino, sdraiati a terra, e Martina tutta nuda stava seduta su Michele. Ora si era fermata, ma si vedeva che era pronta a ricominciare.
  «Facciamola finita » disse Michele. «Ora è troppo. »
  «Sei un pappamolla, » disse Martina «e ora starai qui finché lo dico io. » Badile non parlava più.
  «Lasciami andare, Martina. »
  «Se te ne vai, non mi vedrai più. Te la scordi la tua Martina. » Aveva piccoli seni rotondi, fianchi sottili, morbidi, delicati, e stava su di lui leggera e tenera come una gazzella.
  Martina riprese a fare all’amore, e con la bocca si era chinata su di lui, lo baciava nel viso, sul collo, sul petto.
  «Sei un gran sudicione, caro ingegnere. » Ci si divertiva.
  «Lasciami andare, Martina. »
  «Tu non te ne andrai di qui, e sarà mio padre che dovrà chiederti perdono. » Rideva.
  «Fermati. » Si sentiva come imprigionato. «Lasciami andare. Lo vede, Badile, che non è colpa mia? La sua Martina è figlia del diavolo. » Cominciava a piacergli, però.
  «Bella scusa, mio caro ingegnere. Sono figlia di mia madre e di mio padre, e tu ci stai volentieri sotto di me, perché siamo animali, ecco chi siamo. Anche mio padre è un animale. Tutti, anche quelli là fuori sono animali, e vorrebbero prendere il tuo posto, e magari ci vengono loro qui, quando te ne sarai andato, e mio padre non ci potrà fare un bel nulla. » I lunghi capelli neri sobbalzavano sulle spalle nude, e Michele sentiva che aveva ragione lei.  

[1] Dànni, in vernacolo lucchese, sta per: dagliela.


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A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart