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LETTERATURA: I MAESTRI: Prezzolini – Missiroli – Boine #10/29

24 Dicembre 2008

[da: Il tempo della Voce”, Longanesi & C. – Vallecchi, 1960]

Portomaurizio, 19 marzo 1912

Carissimo Missiroli,

Prezzolini mi passa una sua lettera sulla mia lettera, ecc. Sono un po’ balordo di febbre in questi giorni, ma mi par di capire che lei concluda, in rapporto all’opera d’arte, ad una distinzione fra giudizio storico e giudizio propriamente estetico.
Distinzione in apparenza reale e ragionevole. E lei dice che quando un artista è storicamente giudicato non lo è ancora esteticamente, ecc., onde in realtà la critica ad esempio di Borgese su Gozzano è più cri ­tica su Borgese che su Gozzano: perché è la rappresentazione del rapporto che passa tra l’ideale etico-estetico di Borgese ed il contenuto di Gozzano. Che se l’ideale Borgese è più universale (più sociale dice lei) di quello di Gozzano, Borgese farà addirittura della storia anche con l’S maiuscolo… ma purtroppo non mi avrà rappresentato e giudicato al vivo quello che in concreto è il mondo particolare e individuo del nostro putacaso poeta Gozzano, ecc.
Ecco: così messa la questione, io vorrei dire che i due giudizi da lei distinti non ne fanno che un solo. Il giudizio estetico è poi in fondo un giudizio storico. Deve esserlo. E con che criterio valutare gli individui se non con quello dell’universalità? Perché poi l’indi ­viduo è individuo solo così per dire. Guardalo bene e ti sconfina ogni definito confine suo ed ha base e radice propria nell’universale. O non si accetta il con ­cetto di storia (svolgimento, accrescimento ordinato dello spirito) o se si accetta assorbe tutto. Chi non lo ammette, sì che può parlare di giudizi individui ecc. Ma per non ammetterlo bisogna prima d’ogni altra cosa fabbricare una filosofia diversa da quella che ora ci regge un po’ tutti; rifarsi che so io, da Schopenhauer. Del resto come lasciar sussistere il par ­ticolare e l’universale l’uno accanto all’altro e soste ­nuti da due diversi principii?
Quando si fa (si riflette dentro di noi) la storia, si fa appunto nell’universale la storia dei particolari. E c’è Gozzano e c’è tutto. E cosa si dirà di Gozzano se la storia, se lo spirito, l’ha lasciato indietro, l’ha lasciato fuori? Diremo che Gozzano è uno strafesso e che non c’importa. Cosa volete dirne d’altro? Perché lei riduce l’universale a sociale e giacché anche la società le pare un particolare, argomenta, che particolare per particolare anche Gozzano ha diritto a trarsi su. Ma la storia non è la storia della società o che so io ed ha un suo universale metro che non è quello del tempo e di questo o di quello particolare gruppo di uomini (sebbene poi quella che lei chiama la società sia appunto il pratico riflesso del reale pro ­cesso dello spirito). La storia è l’universale. E seb ­bene si stenda nel tempo ha un ritmo che non è temporale, ha delle leggi fuori del tempo, eterne. Con queste io dico che bisogna giudicare e confesso di non capire perché l’opera d’arte ne debba essere fuori. La grandezza di cui ho ripetutamente parlato è conformità a questa spiritualità universale che non è sot ­tigliezza di cervello ed a cui « non tutti arrivano ». E l’altra critica (che l’offende) è la critica dei miopi, che può anche concordare in molti casi con la vera, ma che va a tastoni con la misura della formula in mano per non sbagliare e l’orizzonte di un palmo.
Mi     abbia     per   obbligatissimo.

C.     BOINE

 _________________

2 maggio 1914

Caro Prezzolini.

Non mi pare tuttavia d’essere e d’esser stato così maleducato come tu dici. Non ho rotto le chicchere di nessuno né, come tu dici, sputato sui mobili. Cia ­scuno ha il suo carattere e la sua maniera d’espri ­mersi ed io non ho inventata la mia per polemizzar contro te. Che tolleri ed evidentemente ti compiaci delle invettive di Ruta (del resto gustosissime) contro Flamini e il Teston e ti irriti ora, di queste mie che a petto a quelle non lo paiono come in verità non lo so ­no. Quanto a Buraggi, all’essere azionista, ai diritti acquisiti di collaborazione ecc. tu ci fai su il civilista inutilmente. Dove te n’ho scritto t’ho avvisato che non lo dicevo come si dicon le cose su di una carta bollata. Eppur l’ho detto. Un po’ per chiasso ed un po’ perché sì, hai ragione, c’è oltre la verità, una atmosfera della verità che è quella dove gli avvocati fanno le contestazioni, dove la logica del codice non morde granché, e dove infine i giurati giudicano più secondo il loro fiuto che secondo sillogismi e quesiti. Ma lasciamo andare, tu hai voluto farmi giuridica ­mente sentire d’essere in casa tua. Lo sapevo. Tutte le volte che vado, anche materialmente in casa d’un amico lo so; eppure, se non ci son signore o pulzelle di mezzo, mi permetto di dir sempre chiara, e come è, la mia ragione giustappunto come se lo permette lui quando è da me. E lo faccio, e lo si fa con quella stessa vivacità che lo faremmo per via da soli. Sì, è vero, non consumo troppi guanti né guasto nell’anno troppe ali di cappello in scappellate. Ti dirò ch’io debbo ciò anzitutto a mio padre ed a Domineddio, ma in secondo luogo ai cinque anni di Voce libera, dove, torno a dire, proprio non si sentiva, e nemmeno gli avversari io credevo non sentissero, d’essere in casa d’altri. Se ora tu, con approvazione del Consiglio, l’hai mutata, pensavo che dovess’essere per il programma, e non per queste abitudini di vivace libertà e di schiettezza vera che mi pareva dovessero essere un buon insegnamen ­to per tutti anche dal punto di vista idealistico. Però è inutile continuare a chicaner su questa fac ­cenda. Se tu m’avessi pubblicato senza tante diffi ­coltà ed adducendo al posticipo ragioni più schiette che la « noia » dei lettori, ecc., t’avrei ringraziato ed avrei riconosciuto volentieri, quel che del resto riconosco, la tua generosità anche con gli avversari. Hai fatto invece delle smorfie ed io t’ho punzecchiato come capitava, per non dar un tono eccessivamente serio a delle cose in cui lo si poteva anche non assumere. Questa è una regola che mi son fatto e che ti consiglio di meditare. Quanto all’antipatia ti sbagli. Certo tre quarti di te m’irritano (per star sempre nei sentimenti) ma non mi sei « antipatico ». Credo decisamente che la tua influenza in Italia sia in genere utilissima. Ma io credo che le cose utili quasi sempre non sono, penso, vere (e questa dev’essere una bizzarria per te).
Ora io amo anche più il vero dell’utile. Che se tu capissi questa cosa e lo mostrassi io sarei con te e magari t’aiuterei. In ogni modo io ti sono sinceramente amico. Quanto al discutere io o no le questioni che si dovevan discutere, io dico che le ho discusse. Le di ­mostrazioni non sono mica sempre delle costrizioni né hanno sempre la forma di trattato. Ma di ciò giudi ­cheranno i lettori. Ti mando (in tipografia), con quelle della Lettera, le bozze del Quaderno alle quali ho ag ­giunto due righe di prefazione, perché mi è venuta vergogna d’aver ripubblicata questa roba che forse non meritava. Il titolo in copertina deve essere Il peccato ed altre cose, non sono diffatti novelle. La copertina non sia eccessivamente futurista. Quella dei Frammenti di Rebora va bene. Non fa bisogno ch’io riveda più le bozze, tranne, se volete, quelle della pre ­fazione. Mettete un indice. E distribuite in maniera che tra l’ultima parte di « Peccato » (II tormento) e la « Città » ci sia spazio e non si pensi a continua ­zioni. La « conversione » va molto bene…

(Boine)


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Bart