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“Ecco come Fini fece pressione per far lavorare Tulliani in Rai”. E Napolitano lascia correre

19 Ottobre 2012

(da “Libero”, 19 ottobre 2012)

Pubblichiamo di seguito la lettera che Guido Paglia, ex fedelissimo di Gianfranco Fini, ha inviato a Francesco Storace per pubblicarla sul giornale online www.ilgiornaleditalia.org

di Guido Paglia

Caro Francesco, in attesa che Gianfranco Fini tenga fede alla parola data (risata) e si dimetta (altra risata), visto che è ormai dimostrata la proprietà della casa di Montecarlo, consentimi di raccontare ai nostri lettori ciò che so di Giancarlo Tulliani. Per esperienza diretta, non per sentito dire. È una vicenda «parallela » a quella dell’appartamento di Boulevard Princesse Charlotte, ma non meno indicativa per tracciare il ritratto del cognatino. Un ragazzotto arrogante e presuntuoso, per favorire il quale l’ex-leader della destra ha cinicamente lesionato l’immagine e la credibilità di un’intera comunità.

Me lo mandò in Rai a metà del 2008, appena compiuta la truffaldina compravendita della casa ereditata dalla contessa Colleoni. Voleva mettere in piedi nientemeno che una società di distribuzione cinematografica. Cercai di dissuaderlo, lo feci parlare con gli amici di Rai Cinema, perché si convincesse dell’impossibilità di realizzare un progetto del genere senza adeguati capitali da investire. Per settimane, non ci fu niente da fare. Nel frattempo, in pieno delirio di onnipotenza, provvedeva a martellare di mail un mio amico grafico per la realizzazione (gratis) di un sobrio logo per la società : «Giant », giocando cioè sulle sue iniziali e sul termine inglese «gigante ». Chiesi aiuto a Fini per frenare il megalomane. Fece finta di essere disinteressato al problema: «Cinema? Credevo si interessasse di investimenti immobiliari… Se vuole buttare soldi, faccia come gli pare… ». Era proprio vero, si interessava, eccome, di investimenti immobiliari. Lui lo sapeva benissimo.

Tulliani insiste e mi chiede di aiutarlo ad accreditarsi al Festival del Cinema di Roma. Lì, finalmente, si rende conto dell’impraticabilità del progetto. Ma non si arrende, anzi raddoppia. La «Giant » diventa «Giant Entertaiment ». Ora l’obiettivo è proprio la Rai: oltre al cinema, intrattenimento e fiction. Gli spiego che non si può fare niente, che esistono regole precise e ci sono file lunghissime di professionisti con ottimi prodotti, tutti in lista d’attesa. La reazione è un misto di arroganza e di isterismo. Alla fine, tanto per usare un eufemismo, lo metto alla porta.

Passano pochi giorni e vengo convocato alla Camera. Arrivo nell’anticamera dell’ufficio del Presidente e subito dirottato più su, nell’appartamento privato. Fini mi aspetta con il cognato. Sento subito odore di bruciato e non mi sbaglio. Un po’ imbarazzato, Gianfranco mi chiede di aiutare Tulliani ad ottenere dei fatturati minimi garantiti a base di prime serate, fiction e acquisti di film stranieri. Resto basito e ricomincio la spiegazione di come funziona la Rai: iscrizione all’Albo dei fornitori, presentazione di progetti di spettacoli e di soggetti per seriali, mini-serie e movie, proposte d’acquisto o diritto d’antenna per i film. Valutazioni che richiedono tempi lunghi e rendono impossibili sia i cosiddetti «minimi garantiti » che – soprattutto – un volume di fatturato importante per un imprenditore sconosciuto e privo di esperienza. Tulliani non mi fa finire e strilla come un’aquila (chiedo scusa alle aquile). Secondo lui, le mie risposte nascondono la difesa di altri «interessi » e che non gli interessano le «briciole ». Vorrei mettergli le mani addosso e mi trattengo solo per Gianfranco: per me, è ancora un amico. Mi alzo, prendo l’impermeabile e me ne vado, inseguito invano dai richiami imbarazzati di Fini. Il giorno dopo, gli scrivo una lettera accorata, convinto che abbia capito la «gaffe » che il cognato gli ha fatto fare. Non mi ha mai risposto. Anzi, da quel momento sono diventato un nemico e mi ha danneggiato come ha potuto.

Ma né lui, né Tulliani, si sono arresi. Cambiati i vertici Rai, ho ritrovato questo squallido personaggio nelle anticamere di altri alti dirigenti. E alla fine qualcosa è perfino riuscito ad ottenere: le tanto disprezzate «briciole », appunto.

Tutto questo, condito di date, nomi, cognomi e ulteriori dettagli, lo racconterò esattamente tra un anno quando sarò sentito come testimone nella causa civile che lo sfacciato cognato del Presidente della Camera ha intentato contro Panorama. Nella citazione, sostiene di non aver mai avuto niente a che fare con la Rai. Non vedo l’ora di incontrarlo (spero abbia il coraggio di essere presente) e di rispondergli davanti a un giudice.


Il gioco d’azzardo di Fini: lo strano legame col latitante
di Redazione
(da “Libero”, 19 ottobre 2012)

“L’imprenditore che aveva nel suo studio copia dei passaporti di Elisabetta e Giancarlo Tulliani e tutta la documentazione utile per aprire nel 2008 la loro società immobiliare nell’isola di St. Lucia è oggi un ricercato dell’Interpol grazie a un mandato di cattura internazionale emesso dalla procura di Milano. Francesco Corallo, proprietario del gruppo Bplus Giocolegale ltd (un tempo Atlantis World), dovrebbe essere arrestato secondo il gip milanese Cristina di Censo per il reato di associazione a delinquere e corruzione che sarebbe emerso nell’indagine sulla Banca popolare di Milano per un prestito da 148 milioni ottenuto in modo anomalo e senza le dovute garanzie. I magistrati ipotizzano anche un’operazione di riciclaggio legata alle subconcessioni che il gruppo di Corallo avrebbe dato ad aziende della ‘ndrangheta appartenenti a Giulio Giuseppe Lampada, proprio il capo della cosca che sta travolgendo la classe politica in Lombardia”, spiega il vicedirettore di Libero, Franco Bechis, su Libero in edicola oggi. Gianfranco Fini, uno scandalo vivente: Corallo, l’uomo a cui si appoggiarono la convivente e il cognato di Gianfranco è in questo momento irreperibile per la giustizia italiana. Tra le magagne di Gianfranco – che nemmeno dopo le nuove prove della svendita della casa di Montecarlo a Tulliani vuole lasciare la presidenza di Gianfranco – ora si deve annoverare anche questa relazione pericolosa, pericolosissima. Le nuove carte sulla casa mongeasca svelano infatti legami oscuri tra la compagna e il “cognato” di Fini e un latitante con società di slot machine nei paradisi fiscali. Inoltre le coincidenze che legano il presidente della Camera e il ricercato (che aveva la copia dei documenti di Elisabetta) sono inccredibili: per esempio, quando Fini chiese e ottenne la testa di Tremonti (all’epoca della prima parentesi di Giulio al governo con Berlusconi), lo stesso Corallo ottenne la concessione che lo fece diventare il re dei videopoler in Italia. Ma Gianfranco rifiuta di dare spiegazioni e fa il pesce in barile: “Non c’è nessuna novità, non lascio la poltrona”.


Gianfranco scarica i Tulliani. Ma due anni fa diceva: mio cognato esperto di case
di Redazione
(da “Libero”, 19 ottobre 2012)

Gianfry non molla la poltrona. Neanche le nuove carte sulla transazione della casa di Montecarlo, pubblicate da L’Espresso, riescono a scollare Gianfranco Fini. “Vado avanti a testa alta”, ha detto il presidente della Camera. E ancora: “Non ho mai mentito agli italiani”. Ma se sul piano politico e giudiziario, lo scandalo della casa non sposta di un centimetro Gianfranco, la questione lo turba parecchio dal punto di vista dei suoi rapporti familiari. Nella giornata di ieri giovedì 18 ottobre, Fini ha detto di essere profondamente amareggiato per certi comportamenti e ha, di fatto, scaricato la sua compagna Elisabetta (da cui ha due figlie) e il cognato Giancarlo.

Abile retromarcia – Insomma, Gianfranco si è smarcato dai Tulliani. Eppure, due anni fa, nel luglio del 2010, quando scoppiò il caso della casa di Montecarlo, Fini affidò la sua difesa a una lunga nota di otto punt pubblicata sul Corriere della Sera. Nel quarto di questi punta dava credito al cognato Giancalo, infatti, scriveva: “Nel 2008 il Sig. Giancarlo Tulliani mi disse che, in base alle sue relazioni e conoscenze del settore immobiliare a Montecarlo, una società era interessata ad acquistare l’appartamento, notoriamente abbandonato da anni”. Insomma, all’epoca Gianfranco si era fidato delle conoscenze e delle competenze del cognato attribuendogli, nessun dubbio lo aveva sfiorato. Epuure è lo stesso Giancarlo Tulliani che adesso, con una retromarcia da politico navigato, scarica. E’ su di lui che addossa tutte le responsabilità dello scandalo.


Francesco Corallo è nella lista dei super ricercati dell’Interpol
Mario Gerevini
(da “il Corriere della Sera”, 19 ottobre 2012)

È il re del gioco d’azzardo italiano, è latitante da maggio, è nella lista dei super ricercati («most wanted ») dell’Interpol. E pochi giorni prima che venisse allo scoperto l’inchiesta della Procura di Milano su una serie di finanziamenti sospetti erogati dalla Banca Popolare di Milano, Francesco Corallo, con tempismo, ha cancellato la sua cittadinanza italiana. Intanto dalle carte di una società di famiglia emerge una strana operazione del 2007, con protagonista una novantenne di Catania.

Il re delle slot machine e dei video poker guida «Atlantis World-B Plus Giocolegale », il più importante gruppo che su concessione pubblica gestisce in Italia le macchinette mangia-soldi-spaccia-illusioni: ha quasi un terzo del mercato (30 miliardi annui). Corallo ha ottime entrature politiche tra gli ex di An e si serve dello stesso fiduciario, James Walfenzao, che ha «montato » la struttura societaria per la compravendita della casa di Montecarlo abitata da Giancarlo Tulliani, cognato di Gianfranco Fini.

La Procura di Milano, nell’ambito dell’inchiesta sui crediti facili della Bpm dell’ex presidente Massimo Ponzellini, ha emesso nei confronti dell’imprenditore dell’azzardo un mandato di cattura internazionale per corruzione. Dalla torrida spiaggia di Waikiki a St Maarten (nella foto in pagina si vede Corallo al bar della spiaggia prima della latitanza) vorrebbero trasferirlo in una più fresca cella di San Vittore. In un’intervista, fatta di assist e risposte, a un mensile inglese del gioco d’azzardo, Corallo definisce le accuse «una vendetta ingiustificata (…) c’è chi promuove i propri interessi a spese di B Plus e a discapito dello Stato italiano e del suo popolo ».

A proposito di slanci patriottici: dall’anagrafe di Catania si apprende che Corallo avrebbe rinunciato alla cittadinanza italiana con grande tempismo. Risulta infatti che il 20 settembre 2011 Corallo si sia presentato all’ufficiale dello Stato civile per «cancellarsi da italiano » sulla base di una norma del 1952. Il sindaco di Catania timbra a fine ottobre e Corallo diventa straniero

Pochi giorni dopo partono le perquisizioni della Gdf e l’inchiesta Bpm-Ponzellini esce allo scoperto. Intanto Atlantis World-B Plus, per adeguarsi alla nuova normativa italiana, ha spostato la sede da St Maarten a Cipro. Ma sopra c’è un’oscura holding delle Isole vergini britanniche e, in cima alla catena proprietaria, un trust (The Vales), costituito in Nuova Zelanda nel 2008.

E «l’operazione nonna »? Una signora catanese di 90 anni, Francesca Maugeri, ha comprato da Francesco Corallo il 75% di una piccola immobiliare, la Trimare srl. È però il papà di Francesco, Gaetano, a presentarsi il 15 giugno 2007 dal notaio Vigneri «in proprio – recita l’atto – e anche in nome, conto e interesse » del figlio. È un passaggio chiave: «In nome, conto e interesse del figlio ». La Trimare, proprietaria di un terreno edificabile, rimane solo un mese nelle mani della novantenne (prestanome-filtro?) che rivende tutto al catanese Carmelo Aitala. E chi è Aitala?

Un imprenditore di Catania che fece affari con il gruppo del costruttore Carmelo Costanzo, il cavaliere catanese accusato e poi assolto per le sue relazioni con il boss mafioso Nitto Santapaola. Gaetano Corallo, papà di Francesco, fu anch’egli in rapporti con Santapaola ma ugualmente assolto dall’aggravante mafiosa in un’inchiesta per corruzione (condanna a 7 anni, scontati) nella tentata scalata al casinò di Sanremo.

L’operazione «nonna-Trimare » è del 2007 eppure Francesco Corallo ha detto: «Da vent’anni non vedo mio padre, non c’entra nulla con le mie attività » (L’Espresso, 2004). O fatto dire dai suoi avvocati (2009) che «Corallo non ha più rapporti col padre ormai da tantissimi anni ». Magari si vedono, ogni tanto, sulla spiaggia di Waikiki.

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Ancora su Fini. Qui, qui  (L’Espresso qui), qui, qui, qui, (si ritirerà dalla politica? qui), qui, qui, qui, qui, (Flavia Perina qui).


“il Fatto Quotidiano” ricorda Fiorenzo Magni
di Luca Pisapia, 18 ottobre 2012.

Si è spento questa mattina nella sua  Vaiano, a quasi novantadue anni,  Fiorenzo Magni: grande interprete di un ciclismo eroico e antico, dove si faticava e si pedalava sempre più veloce per distanziare la fame e la miseria di un’Italia distrutta dalfascismo  e dalla guerra. Nei suoi soprannomi, la sua storia. Magni è il  Leone delle Fiandre, a ricordare la sua mitica tripletta nella grande classica del nord. In un albo d’oro che vedeva solo bandiere nero-giallo-rosse, Magni riuscì a imporre il tricolore tre volte consecutivamente, dal 1949 al 1951: ancora oggi un record ineguagliato. Tre sono anche i  Giri d’Italiaconquistati (nel 1948, nel 1951 e nel 1955), l’ultimo alla soglia dei 35 anni. Un numero ricorrente il tre, perché Magni è soprattutto ‘il terzo uomo’, dal nome del film capolavoro con  Orson Welles  uscito proprio nell’anno in cui Magni vinceva il suo primo Fiandre.

Il terzo uomo. Il terzo incomodo appena dietro, o al fianco, dei due mammasantissima  Fausto Coppie  Gino Bartali, che in quegli anni segnavano l’immaginario del paese che cercava il riscatto sui pedali. Come ha scritto  Sergio Zavoli  nella prefazione di un libro che ne racconta la storia, e intitolato appunto ‘Il Terzo Uomo’: “Fiorenzo Magni ebbe dalla sua la ventura di non somigliare né a Coppi né a Bartali, e quindi di essere pari a loro per prestigio e popolarità, ma con una personalità anche agonistica, che per qualche verso addirittura sopravanzava i suoi due primari rivali”. E proprio a causa di Bartali, o meglio a un episodio che lo vide protagonista, Magni non riuscì a vincere il  Tour de France, che nel 1950 lo vedeva saldamente in maglia gialla dopo 12 tappe.

Ma ci fu la famosa tappa del  Col d’Aspin, dove un gruppo di sostenitori francesi attaccò Bartali e costrinse l’intera delegazione italiana a ritirarsi sdegnata. E Magni ad abbandonare i sogni di gloria della  Grande Boucle. Secondo arrivò anche al Giro d’Italia del 1956, quando gli anni oramai erano 36 e quando sugli Appennini bolognesi cadde rompendosi una clavicola. Indomito, strinse tra i denti un tubolare per lenire il dolore e terminò la tappa e poi il Giro, senza vincerlo ma entrando definitivamente nella storia e consegnando un’immagine di fatica e disciplina che ben rappresenta il ciclismo dei tempi. Con il calcio ancora relegato a sport minore, e il ciclismo in prima pagina, l’Italia che si divideva tra DC e PCI, tra  Don Camillo  e  Peppone, trovava nello sport la sua rivalità, il suo derby degli schieramenti e delle polemiche, nelle figure di Coppi e Bartali. Magni fu il terzo incomodo anche qui.

La sua scelta di aderire in gioventù alla  Repubblica Sociale, tuttavia, gli precluse a lungo l’affetto e il sostegno degli appassionati e del grande pubblico, che preferirono rivolgersi agli altri due contendenti. Perché Magni non si limitò a un generico sostegno alle ultime fasi della dittatura fascista, ma prese parte attiva al massacro di partigiani di  Valibona  nel 1943: una delle tante e terribili spedizioni punitive delle camice nere che insanguinarono il paese. Graziato dall’amnistia diTogliatti  a Magni, che dopo quell’episodio fu costretto ad abbandonare la Toscana e trasferirsi in Brianza, lo storico inglese  John Foot  ha cercato di offrire una tarda riabilitazione politica, scovando dei documenti in cui si attesta che nel 1945 prese parte attiva alla Resistenza col CLN di Monza. Ma Fiorenzo Magni era oramai entrato nella storia come il terzo uomo. Al di là di Coppi e Bartali, di Don Camillo e Peppone, la sua rimane una figura altra.


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2 Comments

  1. Commento by poker Machine Spending — 26 Settembre 2013 @ 21:34

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