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Grand Hotel Fini

15 Agosto 2012

di Maurizio Belpietro
(da “Libero”, 14 agosto 2012)

Gianfranco Fini querela ma non si spiega. O meglio: si spiega benissimo, perché più di quel che dice e fa dire – ovvero le solite cose contro Libero, la macchina del fango e altre sciocchezze che servono solo ad alzare una cortina di fumo per nascondere i fatti – conta quel che non dice. Ovvero che le nove camere prenotate in un albergo di Orbetello dall’ini ­zio di luglio e mantenute a disposizione della sua scorta fino a metà settembre non le paga lui. Ciò autorizza a pensare la sola altra solu ­zione del giallo e cioè che il conto per le stanze tenute libere per i comodi del presidente della Camera le paghino i contribuenti.

Anche se gli agenti non le usano, anche se ci vanno solo nei weekend, anche se Fini trascor ­rerà a Orbetello solo due settimane, la fattura sarà onorata per intero dallo Stato, al prezzo di favore di 80 mila euro. Una cifra che la media degli italiani vede, lorda, in un lustro o forse più, bruciata in poche settimane per le vacanze

di Fini. C’è, ahinoi, di peggio. A quanto pare la spesa non sarebbe la prima, nel senso che da quando l’ex leader di An è presidente della Ca ­mera è abituato a trascorrere i suoi fine setti ­mana nella località turistica tirrenica e da quando siede sulla poltrona più alta di Monte ­citorio gli uomini di scortalo seguono approfit ­tando dei confort di stanze sempre a disposi ­zione. Fatti conti, in cinque anni la cifra supe ­rerebbe i 200 mila euro. Un botto che però non suscita nella terza carica dello Stato neppure un moto di vergogna, anzi, neppure il più leg ­gero rossore o pentimento. Prova ne sia che ie ­ri, dopo due giorni in cui chiedevamo conto della spesa in albergo e quando ormai da più parti si levava forte l’indignazione (del direttore di Lettera43, Paolo Madron, ad esempio, il cui testo pubblichiamo oggi, ma anche di Vasco Rossi, che alla vicenda ha dedicato un suo post su Facebook), Fini ha fatto sentire la sua voce tramite comunicato, annunciando ovviamente querela e precisando che la questione della scorta non è affar suo, ma del ministero dell’In ­terno, il quale vigila sull’incolumità degli uo ­mini delle istituzioni. Tutto regolare insomma, tutto nella norma.

Foglia di fico levata involontariamente da Repubblica. Infatti, il giornale diretto da Ezio Mauro, occupandosi della faccenda e riferen ­do della reazione del presidente della Camera, annotava ieri che se è vero che gli agenti dipen ­dono dal Viminale, è altrettanto vero che a Montecitorio esiste un apposito ufficio, l’ispet ­torato di polizia della Camera, che pur dipen ­dendo formalmente dal ministero dell’Interno, agisce in piena autonomia. Cioè decide gli spo ­stamenti, autorizza le prenotazioni e così via, senza rispondere a nessun altro, ma immagi ­niamo noi in pieno accordo con lo scortato. Re ­sta da capire se a pagare alla fine sono diretta ­mente gli uffici di Montecitorio o se l’ispettora ­to abbia una propria dote finanziaria, alimen ­tata dal Viminale. Nell’uno o nell’altro caso co ­munque a saldare la fattura sono sempre i con ­tribuenti ed è difficile credere che il presidente della Camera non si sia mai reso conto dell’enorme spreco di denaro pubblico che si fa in suo nome e per la sua incolumità. Ma am ­messo che non sapesse, ora che la cosa gli è no ­ta che cosa ha intenzione di fare? Che per pochi giorni al mare si spendano 80 mila euro, due ­centomila in cinque anni, dovrebbe essere una tale rivelazione da turbare il presidente della Camera fino a indurlo a rientrare precipitosa ­mente a Roma per far annullare la procedura, non senza aver telefonato prima all’albergato ­re per assicurarsi che il conto gli venga inviato personalmente. Fini insomma dovrebbe chie ­dere scusa e promettere senza esitazione che gli 80 mila euro li pagherà di tasca propria, e non la Camera oppure il ministero dell’Inter ­no. E invece che cosa fa la terza carica dello Sta ­to, questo pezzo di istituzione che rappresenta gli italiani e in loro nome chiede sacrifici? Se ne sta in vacanza nella villa di Orbetello e querela noi perché abbiamo alzato il velo sulla dispendiosa abitudine. Egli pensa così di aver chiuso il caso. Di aver chiarito ogni dubbio, forte del for ­male rispetto delle procedure e delle norme. A Fini basta dichiarare di essere scortato a sua in ­saputa. Di avere una scorta che spende 80 mila euro in due mesi a sua insaputa. Dopo la casa di Montecarlo venduta al cognato senza che lui se ne accorgesse, ci sono gli agenti che soggior ­nano in albergo pagando uno sproposito sen ­za che egli ne sappia nulla. Bel genere di politi ­co. Bell’esempio di rigore da mostrare agli ita ­liani e a tutte le amministrazioni pubbliche che non sanno come far quadrare i bilanci. D’ora in poi anche i sindaci richiesti di ridurre le spese potranno dire «io non sapevo ». Gli italiani di fronte agli esattori del fisco non potranno di ­chiarare di non sapere quanto versano di tasse. Ma potranno almeno sapere quali uomini del ­la Casta non votare mai più.

Ps. Il ministro dell’Interno dopo attenta in ­dagine ha comunicato che della scorta di Gianfranco Fini si occupa l’ispettorato di poli ­zia della Camera. Grazie. Non c’era bisogno di un’indagine per appurarlo. Ci avesse telefona ­to glielo avremmo potuto dire anche noi. Il problema non è chi organizza la scorta del nu ­mero uno di Montecitorio. Il problema è che in due mesi si sono spesi 80 mila euro. Anche questo è nella regola? Se è questo ciò che il mi ­nistro Cancellieri ha appurato, abbiamo capi ­to come funziona la spending review. I tagli ri ­guardano i comuni cittadini: per chi sta nel Pa ­lazzo tutto continua come prima.


Il Partito della Costituzione
di Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”, 14 agosto 2012)

Dobbiamo prepararci a difenderne tanti, di magistrati aggrediti e isolati dal potere. I 100 mila che in quattro giorni han firmato l’appello del Fatto per i pm siciliani si tengano pronti: presto dovremo richiamarli a raccolta per altre battaglie in difesa della Giustizia, nella speranza che nasca un Partito della Costituzione che contrasti questo schifo. Fino all’altro ieri ci si domandava cosa accomuni l’allegra ammucchiata Pdl-Udc-Pd che non solo sostiene il governo Monti con la benedizione apostolica del Colle, ma ha una gran voglia di stabilizzare il ménage à trois nella prossima legislatura. Ma ora la risposta è arrivata: il mastice che tiene insieme la più arlecchinesca Armata Brancaleone mai vista dai tempi del film di Monicelli è la sete di vendetta contro la magistratura, almeno quella che prende sul serio la propria indipendenza da ogni altro potere per garantire l’uguaglianza di tutti i cittadini. In una parola, l’odio per la Costituzione. Prima il presidente Napolitano e poi il governo Monti hanno trascinato alla Consulta magistrati che disturbano il potere: i pm di Palermo che indagano su chi trattò con la mafia e il gip di Taranto Anna Todisco che sequestra gli impianti omicidi dell’Ilva. In entrambi i casi il potere politico accusa il giudiziario d’invasione di campo, come se non spettasse alla magistratura decidere se e quando distruggere un’intercettazione e fermare una strage in corso da anni nell’indifferenza dei governi incapaci e/o complici in Puglia e a Roma. Ma a questo siamo: quando c’è di mezzo il potere, politico o industriale, la legge non è più uguale per tutti. I magistrati devono voltarsi dall’altra parte, od obbedire al potere. Se no, peggio per loro. A sindacare i loro insindacabili provvedimenti provvedono Quirinale, Pg della Cassazione, partiti, governo, addirittura il ministro della Giustizia che acquisisce le ordinanze del gip non si sa bene a che titolo, ma con sicuro effetto intimidatorio (anche sul Riesame, che sta ancora scrivendo la motivazione). Mentre noi comuni mortali, per contestare una sentenza sgradita, non abbiamo altra arma che impugnarla in appello e in Cassazione, lorsignori si rivolgono direttamente alla Corte costituzionale, cioè a giudici nominati dalla politica: oseranno mai dare torto al Presidente e al Governo, innescando gravi “scontri istituzionali”? La giustizia domestica regola e sistema tutto nelle segrete stanze. E tutti i magistrati impegnati in inchieste delicate sono avvertiti: non s’azzardino a dare torto al potere. Colpirne due o tre per educarli tutti. È il trionfo dell’abuso e del conflitto d’interessi. Napolitano ha un interesse personale nel conflitto aperto con i pm di Palermo (mettere la sordina alle sue telefonate con Mancino). E così vari ministri del governo Monti che aggredisce il gip di Taranto sono pappa e ciccia con l’llva e i suoi padroni (per esempio i due Corradi: Passera, a Banca Intesa, era socio di Riva nella Cai, ed era pure l’advisor che lo chiamò nella compagnia; Clini, dalle intercettazioni, è descritto come la quinta colonna dell’Ilva al ministero dell’Ambiente). E così il Pd col suo ex candidato Ferrante, per non parlare dei soldi di Riva a Bersani e Forza Italia. Spudoratamente sull’Unità Giovanni Pellegrino esprime tutto il suo “rimpianto per la magistratura degli anni 60, che riteneva che nell’applicazione della legge l’interesse generale dovesse prevalere”. Ah quei begli insabbiatori di una volta! Quella magistratura forte coi deboli e debole coi forti, che lasciava intonso mezzo Codice penale per non disturbare i manovratori, infatti non indagava mai su tangenti, collusioni e inquinamenti. Questo si vuole. Viva la faccia, almeno è tutto chiaro. Nel caso Ilva non si può nemmeno sventolare la solita scusa delle toghe che parlano troppo e “fanno politica”: nessuno sa come la pensi la gip Todisco, né che voce abbia. Eppure la colpiscono lo stesso. Come dice Davigo, “non ce l’hanno con noi per quello che diciamo, ma per quello che facciamo”.


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Bart