LETTERATURA: STORIA: I MAESTRI: Emozioni e pensieri1 Dicembre 2013 di Arrigo Benedetti Le analogie « Ricordati i caffè di Pie troburgo… ». Appena obbietto, alle ipote si di rivoluzione possibile di qui all’autunno, per lo più accolte nei salotti, che in giro voglia di sedizioni non se n’avverte, qualcuno si mette a descrivere la capitale zari sta, nel 1917. Ne conoscono i particolari, quasi vi fossero stati. Uomini ironici, eleganti, talvolta colti frequentavano i locali costosi, irridevano ai fatti di cronaca, non s’accor gevano ch’erano il seme d’un rivolgimento generale vicino, ne sorridevano e seguitavano a divertirsi, come se la scon fitta sul fronte tedesco non esistesse. E’ vero: a Pietroburgo, al lora, la rivoluzione s’insinuò nei ristoranti francesi, nei cir coli esclusivi, nelle abitazioni lussuose, e coloro che n’era no visitati non se n’accorge vano. « Proprio così »! C’è chi lo dice in questa estate riferen dosi all’Italia. Spiagge affol late, fiumi d’auto, pendici ap penniniche simili a Villa Bor ghese, la domenica, città de serte. Eppure, senza negare che a ottobre possano darsi difficoltà â— o per oggettivi problemi, o per astio, o per noia â— si esamini l’attendi bilità di talune analogie: ap punto. fra le dissipazioni di Pietroburgo, cinquantadue an ni fa, e le distrazioni a cui s’abbandonano gli italiani fra luglio e settembre. Lo confesso; sarei tentato di rispondere non con un ra gionamento ma con uno sber leffo a coloro che paiono si curi di sapere dove il mondo ha deciso d’andare, quasi che esso, inteso come corpo so ciale, si dirigesse dove noi che ne facciamo parte non sappiamo e non vogliamo. La mondanità italiana in attesa d’un brivido rivoluzionario â— per fiacchezza o per noia â— ha quasi l’aria di credere che coloro, ai quali s’addebita il proposito d’una ribellione, siano un esercito misterioso, per ora nascosto negli anfratti della penisola. Aspettano che si muova la massa. Loro si preparano a guardarne i movimenti, qua si si trattasse d’una rappre sentazione teatrale, o come dicono d’un happening. Nessuno che tenti di capi re quali persone fisiche pos sano, riunendosi, comporre l’ipotetica moltitudine. Mai che gli venga in mente di far coincidere l’esercito miste rioso con la gente che, a Fer ragosto, ha trasformato l’Ita lia in un colossale pic-nic. Non hanno il coraggio di chie dersi se, quella, dovrebbe es sere la materia prima della rivoluzione. Già: parcheggi d’auto dovunque, ristoranti, bar, cantanti che si produco no perfino nelle balere, sui monti. Pensioni a prezzi che vanno dalle 2000 al giorno in su. E in genere la tendenza a recitare la parte dei ricchi; perfino la povera gente, che ha raggranellato i soldi per la scampagnata, non lamen ta la sua condizione. Sta alla commedia. Ormai siamo in pochi in Italia, a non subire, verso le otto di sera, il fa scino del « drink »: goffaggi ne lessicale che per lo meno spiega a quale punto â— an che se restano grosse e opa che chiazze di miseria â— il costume s’avvii a essere uni tario. Difficile immaginare mino ranze raffinate e egoistiche al caffè, e contrapporle a masse rese omogenee dalla fame e dalle sofferenze della sconfit ta militare subita, appunto dalla Russia, nel ’17. C’è un esercito compatto che va nel la stessa direzione, edonisti co; difficile trovare chi am metta d’essere povero; prevale, anzi, chi, magari poveris simo, s’indigna della povertà altrui, e dà a intendere di godersi la sua porzione di be nessere. Viene semmai spon taneo chiedersi fino a quando durerà la tendenza italiana a stare tutti insieme, a chiuder si nell’egoismo individuale e a supporre che esista un eser cito rivoluzionario in aggua to però composto da genti sconosciute: gli altri. In Africa Il ceto medio, o, come di cono volentieri coloro che non ricordano o ignorano le obiezioni di Benedetto Croce e di Adolfo Omodeo a certe semplificazioni, la borghesia italiana seguita a occuparsi dell’Africa. C’è l’esperienza dell’ultimo decennio del seco lo scorso, con la resistenza del maggiore Galliano a Macallè; ci sono le ultrasettantenni chiamate Adua, Asmara, le ultracinquantenni chiamate Derna. I benestanti, o se volete i « borghesi », fornivano all’avventura africana ufficialetti, li sacrificavano a un ideale patriottico, è vero, venato d’esotismo d’origine francese. Quasi si direbbe che le relazioni fra gli italiani benestanti – i borghesi, insomma – e l’Africa abbiano avuto una tendenza missionaria e laica insieme. Almeno fino al ‘12, per la spedizione libica. Il caso etiopico invece sta a sé. Anche allora le famiglie del ceto me dio offrirono giovani ufficiali e vagheggiarono fattorie, af fari; ma prevalse, e non solo nella propaganda, una specie di populismo con l’immagine del contadino-soldato, il qua le appena in Etiopia, s’ingi nocchia non per pregare ma per dare da intenditore uno sguardo alla zolla. Dovemmo insomma sopportare il mito della buona terra, a pochi de cenni dall’esodo dalle campa gne. Ed è populismo, per esempio, la persistente idea dei camionisti italiani che sa rebbero ancora la nervatura dell’impero restituito al Ne gus, il quale anzi, proprio per ciò, li proteggerebbe. Le mamme però con l’Etio pia non c’entrano; semmai, il ricordo di Macallè le rese guardinghe; ebbe inizio forse, proprio per il timore di stra ge, un minimo d’opposizione al regime. Le mamme, invece, tornano a offrire le loro crea ture all’Africa ora, accettan do, senza timore, l’idea del figlio missionario-laico, soste nuto di spirito ecumenico, forte della sua laurea, delle sue specializzazioni: un pos sibile dottor Schweitzer di do mani, sullo sfondo, non della tormentata Nigeria, ma del l’idilliaco Uganda, dove Pao lo VI è chiamato il Papà (con l’accento) bianco. I rifiuti La sera colui che dalla To scana interna corre verso le coste si trova a viaggiare in successivi profumi. Appena finita la vecchia autostrada Firenze-Mare, imbocca la nuo va che completata porterà domani da Livorno a Sestri Levante, l’automobilista ha in faccia l’aria resa balsamica dai pini, che, appena dirada no e finiscono, lasciano sentire l’aroma amaro degli oleandri cresciuti fra le due bande metalliche degli spar titraffico. All’improvviso, però si ha l’impressione di sbatte re contro un invisibile muro di fetore. La bella natura na scosta dalle tenebre sembra inaspettatamente in putrefa zione. Residui di pesce, di frut ta, di verdura, di carni fer mentano su un lato dell’au tostrada che vorrebbe intitolarsi ai fiori. Certe notti fu migano giacché uomini ad detti alla nettezza urbana hanno â— ipotesi ragionevole â— dato fuoco ai rifiuti che, nella consunzione, spargono nell’aria un tanfo ancora più insopportabile, il quale toglie il gusto di procedere verso la costa luminosa. Perfino l’idea del ristorante, del bar che fra poco l’automobilista raggiun gerà, o delle persone con le quali voleva incontrarsi, non arride più. Uno squallore per mea ogni cosa o persona a cui si rivolga la mente. A me succede di costeggia re la zona fetida anche di giorno e, una volta, ho visto a monte dell’autostrada, una montagna di spazzatura vario pinta; un’altra, un cumulo ne rastro e fumante: visioni che riempiono di sgomento sebbene il sole splenda, le Apuane non abbiano perso l’imponen za, le colline l’amenità, le pi nete la fragranza. La carica Un amico, tempo fa distin tosi quale direttore del cata sto, ufficio prestigioso nella nostra città, dopo un’aspetta tiva, spiegabile col fatto che misurare gli immobili altrui lo nauseava, improvvisamen te s’è deciso a lasciarsi rein tegrare nella carica. Finora, egli spartiva i co noscenti: da un lato quelli che non avevano mai smesso di salutarlo, sebbene avesse rinunciato alle responsabilità catastali; dall’altro, i molti che, dopo il rifiuto, sebbene egli continuasse a passeggia re nelle vie cittadine, pareva no non vederlo. « Ora » mi ha detto l’ami co « sembrano ammettere di nuovo la mia consistenza fisica. Certi mi telefonano di cendosi felici d’avere finalmente trovato il mio numero. Ma è sempre stato sull’elenco, rispondo. Ed essi ribattono: Già, ma c’era un malefizio, e, per quanto lo cercassimo, non ci riusciva rinvenirlo. Le donne mormorano: Non c’è più nessuno che sappia misu rare i terreni come lei. Tutti concordano: il catasto aveva bisogno di me. E mi confida no d’avere in serbo un pezzo di terra da misurare: hanno già avanzato la richiesta, in carta bollata e coi timbri ne cessari ». Letto 2118 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||