Circoli viziosi e reti perdute1 Dicembre 2013 di Angelo Panebianco Dobbiamo decidere se diventare o no adulti responsabili. E dobbiamo deciderlo subito. Per un lunghissimo periodo abbiamo avuto tutori che si prendevano cura di noi, ci proteggevano dai pericoli della vita, e soprattutto da noi stessi. La democrazia italiana non è sopravvissuta così a lungo per merito nostro ma perché disponevamo di potenti protettori. Prima di tutto, gli americani. Ci hanno salvati, sconfiggendoli, da quei totalitarismi che hanno sempre esercitato su di noi una grande attrazione. E poi c’era l’Europa, ideale «caldo » solo per piccole élite visionarie e una comoda cuccia per tutti gli altri, generatrice di vantaggi economici (un bancomat sempre coperto) e, per noi italiani in particolare, utile vincolo esterno che doveva contrastare la debolezza della nostra volontà . Come Ulisse, senza vincoli, o così pensavamo, ci saremmo gettati in mare per seguire il canto delle sirene. I protettori si sono dileguati. Gli americani hanno altro a cui pensare e dell’Europa, ora che il bancomat risulta scoperto, in tanti pensano che non sia più una cuccia ma una prigione. Per giunta, l’Unione viene picconata ogni giorno, smantellata pezzo per pezzo. E, con essa, gli ideali che la sorreggevano. Come ha osservato ieri sul Corriere Gian Arturo Ferrari, la decisione tedesca di far pagare i pedaggi autostradali ai soli non tedeschi mostra la forza simbolica dirompente di certi piccoli gesti, ci dice sullo stato dell’Unione più di mille discorsi. S iamo soli insomma (l’interdipendenza con gli altri non esclude affatto la solitudine), e siamo di nuovo liberi di farci tutto il male che vogliamo. Prendiamo il caso Berlusconi. Solo una combinazione di mancanza di senso storico e di miopìa politica, di incapacità di guardare al di là del proprio naso può fare pensare che non avrà effetti di lungo termine sulla democrazia italiana il fatto che un leader che ha rappresentato e rappresenta milioni di elettori sia stato messo fuori gioco per via giudiziaria anziché politica. Solo la suddetta combinazione può far pensare che non si tratti di un fatto che segnerà il nostro futuro, scaverà nelle coscienze, alimenterà rancori che si perpetueranno nel tempo. Berlusconi era stato condannato e la decadenza era inevitabile. Ma, come ha osservato Sergio Romano (sul Corriere di ieri), c’è modo e modo di affrontare un passaggio così delicato. La consapevolezza del fatto che la democrazia è un regime politico fragile, fragilissimo, che va maneggiato con delicatezza, avrebbe dovuto imporre un fair play politico che invece è mancato. Gli adulti lo comprendono, i bambini viziati no. Se poi guardiamo al quadro più generale dovremmo capire quanto sia urgente agire. L’interazione perversa fra una politica destrutturata, una amministrazione pubblica che imprigiona le energie sociali, una magistratura debordante, e una economia in via di deindustrializzazione, va affrontata con una forza e con capacità che fin qui nessuno ha mostrato di possedere. Il venir meno degli antichi protettori lo rende improcrastinabile. Si dice spesso che siano le situazioni di grande emergenza a creare le leadership in grado di venirne a capo. Ma si tratta di una visione provvidenzialistica che non trova sempre riscontro nei fatti. Qualcuno potrà dire che a salvarci sarà la struttura demografica della società . I vecchi non fanno le rivoluzioni. E i giovani sono troppo pochi per ribellarsi. Ma è un argomento a doppio taglio. Nella migliore delle ipotesi ci condanna a una irreversibile decadenza. E non è sufficiente comunque per escludere turbolenze e contraccolpi violenti. Non permette di dimenticare che gli ordini sociali, tutti, vivono sempre sotto la minaccia della disgregazione. Da come parlano, da come scrivono, e da come agiscono in tanti, sembra che questa minaccia non ci riguardi, che noi si disponga, chissà perché, di una qualche speciale esenzione. Nel Paese esistono ancora, per fortuna, grandi energie che aspettano di essere liberate e valorizzate. Ma tocca alla politica comprendere che non è più tempo di galleggiamenti. Gli schiaffi dati all’Italia dalle autorità di Bruxelles (come quello sulla legge di Stabilità ) sono un segnale inequivocabile. Adesso c’è bisogno di una vera azione innovatrice e di leadership. La Germania fece (non con la Thatcher, con il socialdemocratico Gerhard Schröder) le riforme che andavano fatte. La Gran Bretagna di David Cameron fa ora, in chiave diversa, la stessa cosa. Solo noi ne siamo incapaci, solo noi crediamo che annunci, proclami e chiacchiere siano efficienti sostituti dell’azione? Solo noi siamo condannati a non potere sconfiggere i poteri di veto di cui dispongono gli interessi che pretendono che nulla mai cambi? Anche quando è ormai evidente che l’immobilismo non è più economicamente e socialmente sostenibile e che ci porta alla rovina? È arrivato il tempo di dimostrare che, anche senza catene, possiamo resistere alle sirene, ai nostri peggiori istinti. Che accadrà di tutti noi senza più il caimano? QUELLA domanda se la fanno in molti e molte e discordanti sono le risposte secondo l’appartenenza politica e il ruolo che ciascuno degli interlocutori ha avuto in passato e conta di avere nel prossimo futuro. Alcuni mettono in dubbio che il caimano sia veramente uscito di scena e pensano che, anche se già decaduto dal Parlamento, rimane ancora in campo, conserva una piena leadership sui suoi seguaci e la manterrà per molto tempo ancora. Del resto anche Grillo è fuori dal Parlamento, anche Vendola, anche Renzi, eppure contano, eccome. È vero che Berlusconi è condannato per frode fiscale e gli altri no, ma questa differenza incide poco finché potrà mantenere il consenso di molti italiani come i sondaggi di opinione registrano. Chi ha dedicato la propria passione politica al suo sostegno pensa addirittura che sarà ancora più forte di prima, più rispondente alla sua vocazione di lotta, e ne gode. Il tanto peggio tanto meglio risveglia la sua energia e quella dei berluscones, manderà all’inferno chi l’ha tradito e sconfiggerà le sinistre di ogni risma che ancora infettano la cara Italia e perciò: Forza Italia, la vittoria è a portata di mano e questa volta con l’esperienza del passato sarà definitiva. Chi invece è dalla parte opposta ha una diversa valutazione dei fatti e delle loro conseguenze. Alcuni pensano, come i loro avversari, che la “caduta” sia più apparente che reale e temono che le previsioni di Forza Italia non siano purtroppo prive di fondamento. Altri invece estendono l’anatema contro il caimano a quanti da sinistra l’hanno coperto collaborando col diavolo e quindi dannandosi con lui. Per costoro la prossima battaglia dovrà dunque esser diretta mettendo definitivamente fuori gioco le finte sinistre corresponsabili della decadenza del Paese. Ma molti infine sono convinti che una bruttissima pagina di storia sia stata finalmente chiusa e si apra il campo al riformismo democratico. Questi sono i variegati scenari che dividono l’opinione pubblica, le forze politiche (e antipolitiche), i media, la business community e le parti sociali. * * * * Quanto a noi, il dissenso nei confronti di Berlusconi e del berlusconismo è stato uno degli “asset” del nostro giornale molto prima del suo ingresso in politica nel 1994. Cominciò fin dall’87, quando apparve chiaro il connubio di affari tra lui, i dorotei della Dc e soprattutto i socialisti di Craxi. Nell’89 diventò uno scontro diretto con quella che allora fu denominata la guerra di Segrate, la conquista della Mondadori da parte della Fininvest e quello che ne derivò. La nascita di Forza Italia portò al culmine quella guerra che non fu più soltanto un contrasto aziendale ma un fenomeno devastante della vita pubblica italiana. È durata vent’anni, ora Berlusconi è fuori gioco ma il berlusconismo no, è ancora in forze nel Paese. Non è un fatto occasionale, non è un fenomeno eccezionale mai visto prima, purtroppo è ricorrente nel nostro passato, recente ma anche più antico. Ricordo a chi l’avesse dimenticato la polemica non solo politica ma culturale che si ebbe nel 1945 tra Benedetto Croce e Ferruccio Parri sul fascismo. Croce sosteneva che la dittatura di Mussolini era stato un deplorevole incidente di percorso della nostra storia, che aveva certamente avuto conseguenze terribili ma non si era mai verificato prima, sicché una volta terminato dopo una guerra perduta e un paese pieno di rovine, il corso della nostra storia sarebbe ripreso e la libertà avrebbe di nuovo avuto la sua pienezza. Personalmente credo che Parri avesse ragione e Croce sbagliasse. Demagogia, qualunquismo, assenza di senso dello Stato sono altrettanti elementi che restano nascosti per lungo tempo ma non scompaiono dall’animo di molti e di tanto in tanto emergono in superficie. Un fiume carsico che crea situazioni diverse tra loro ma legate da profonde analogie che hanno reso tardiva la nostra unità nazionale e fragile la nostra democrazia. Berlusconi è caduto, il caimano tra un paio di mesi non ci sarà più e tanto varrebbe disinteressarsene, lasciando agli storici l’analisi e la collocazione; ma il berlusconismo non è finito e il problema affliggerà ancora per qualche tempo la nostra società , alimentato dagli altri populismi di diversa specie ma di analoga natura. Perciò la vigilanza è un dovere civico per tutte le persone e per le forze politiche consapevoli. Il secondo tema è stato sollevato dalla Corte dei conti, che chiede anch’essa l’intervento della Consulta. Riguarda le varie leggi che, dopo il referendum negativo sul finanziamento pubblico dei partiti, lo reintrodussero camuffandolo come rimborso ai gruppi parlamentari delle loro spese elettorali. Il governo Letta ha già cancellato questo stato di cose abolendo con due anni di transizione l’erogazione di denaro pubblico e affidando il finanziamento dei partiti al sostegno privato, ma la Corte dei conti mette in causa il passato e si rivolge alla Consulta. Sembra assai dubitabile che la Consulta risponda positivamente a questa chiamata in causa. Se alcuni gruppi parlamentari, o anche consigli regionali, hanno usato quei fondi per scopi privati e dunque illegittimi (ed è purtroppo ampiamente avvenuto) si tratta di reati di competenza della magistratura ordinaria. Ma la Consulta non sembra possa cassare leggi votate dal Parlamento ancorché sostanzialmente violino il risultato referendario il quale a sua volta abolì il finanziamento ai partiti ma non lo sostituì con un nuovo sistema. I referendum in Italia non hanno poteri positivi ma soltanto di abolizione. Dopodiché resta un vuoto che spetta al Parlamento colmare anche se spesso lo colma poco e male. In conclusione c’è molta strada da fare. Speriamo che gli italiani brava gente – come un tempo si diceva con autoironia spesso giustificata – dimostrino ora d’esser brava gente sul serio e ogni volta che spetti a loro di decidere lo facciano facendo funzionare la testa e non la pancia. Berlusconismo e grillismo in questa vocazione della pancia si somigliano moltissimo. Noi privilegiamo la testa e speriamo di essere ascoltati. (Come De Siervo sul Corriere, anche Scalfari dà consigli agli organi superiori della magistratura. Ormai siamo arrivati a questo. Renzi, ultimatum a Letta: “Tre condizioni per far durare il governo o il Pd uscirà dalla maggioranza” Un patto con Letta per arrivare al 2015. Con tre punti qualificanti: riforme, lavoro ed Europa. Ma se il governo non realizzerà questi obiettivi, allora il Pd “separerà il suo destino da quello della maggioranza”. Matteo Renzi pianta i suoi paletti. Il sindaco ricorda che l’esecutivo è sostenuto in primo luogo dai democratici e l’agenda per il 2014 deve essere concordata in primo luogo con loro. Alfano si deve adeguare: “Ha trenta deputati, noi ne abbiamo trecento. Se non è d’accordo, sappia che poi si va a votare. Io non ho paura delle elezioni, lui sì“. Nel senso che Letta sarebbe finito? Come? Queste sono parole non fatti. Ma lei è sicuro che tutti e trecento la seguiranno? E allora lei come pensa di utilizzare tutta questa forza? Cioè? E secondo lei la gente che va a votare nei gazebo è interessata alla Camera delle Autonomie? Nel pacchetto entra anche la legge elettorale? Le va bene anche il Super-Porcellum? Il Mattarellum? Qual è il secondo paletto che vuole piantare? Ecco un nuovo attacco alla Cgil. La formulazione della nuova Imu va cambiata? La farebbe una patrimoniale? Ossia? Intende diritti civili? In sostanza lei propone un patto a Letta e Alfano ponendo queste tre condizioni. Insomma il vicepremier si deve adeguare. Il Nuovo centrodestra chiede la riforma della giustizia. Può essere utile un rimpasto per sancire la nuova fase? Quindi si voterà nel 2015? Al contrario, se si fanno quelle cose qualcuno le potrebbe dire di far slittare il voto al 2016. Cioè lei aprirebbe la crisi? Dovrà fare i conti anche con Napolitano. Il presidente della Repubblica spesso ha coperto Palazzo Chigi con il suo ombrello istituzionale. Tra una settimana le primarie. Ha paura di un flop astensionismo? Renzi dà l’ultimatum a Letta e getta il governo nel panico Enrico Letta è convinto che la fuoriuscita di Forza Italia dalla maggioranza abbia rafforzato la sua premiership. Come deciso dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, Letta dovrà tornare in parlamento a chiedere la fiducia. I sei voti di scarto ottenuti al passaggio in Senato della legge di Stabilità non hanno convinto il capo dello Stato e, tantomeno, Forza Italia che sta premendo per aprire formalmente la crisi di governo. Il premier chiederà la fiducia alle Camere dopo le primarie dell’8 dicembre che incoroneranno Renzi alla guida della segreteria piddì. Se nei giorni scorsi il vicepremier Angelino Alfano aveva ricordato a Letta che il Nuovo centrodestra ha i numeri per far cadere l’esecutivo, oggi il sindaco di Firenze ha ricordato ad Alfano che il Nuovo centrodestra ha trenta deputati mentre il Pd ne ha trecento: “Se non è d’accordo sappia che poi si va a votare. Io non ho paura delle elezioni, lui si. Perché sa che Berlusconi lo asfalta”. Quindi, la stoccata finale: “Se Alfano ha proposte migliorative… ma non è che non trattiamo più con Berlusconi e ci mettiamo a mediare con Formigoni e Giovanardi”. Insomma, tutt’altro che un idillio. Tanto che è bastata la provocazione di Renzi a far saltare i nervi agli alfaniani. “Se Renzi ha il problema di dover sostituire Letta dica che a marzo si vota perché vuole diventare presidente del Consiglio – ha aperto le danze il ministro alle Infrastrutture Maurizio Lupi – noi non abbiamo nessuna paura”. Poi è stata la volta del ministro delle Riforme Gaetano Quagliariello: “C’è un peso specifico e c’è anche un peso politico. Noi pensiamo di dover esercitare il peso specifico e il peso politico”. Renzi non ne ha solo per Alfano. Il vero obiettivo da impallinare dell’intervista rilasciata a Repubblica è Letta. È al premier che il sindaco manda un messaggio sin troppo chiaro: “Chi vince impone la linea. Saremo leali ma conseguenti”. “A Letta offro una disponibiltà vera, un patto di un anno”, ha assicurato spiegando che proporrà un patto strutturato su tre punti “ineludibili” su riforme, lavoro e Europa. “Se l’esecutivo non realizzerà questi obiettivi – ha avvertito – il Pd separerà il suo destino dalla maggioranza”. Insomma, un vero e proprio ultimatum che non lascia molti margini di manovra all’esecutivo. “Effetto ’94” per Forza Italia: riparte già dal 21% Roma – Forza Italia riparte dalle origini. Dal simbolo del ’94, dal tentativo di mobilitare e coinvolgere l’entusiasmo della base attraverso circoli e club. Sono passati quasi 20 anni dal battesimo della prima creatura politica di Silvio Berlusconi. E nonostante il passare del tempo e le mille traversie i consensi sembrano essersi stabilizzati sui livelli della prima prova elettorale. Venerdì, a farlo notare sul suo blog è stato Luigi Crespi. Il sondaggista-comunicatore, incrociando 5 sondaggi, invitava i celebratori seriali di funerali politici anticipati a stare in guardia perché il leader di Fi può ancora contare sulla stessa percentuale del 27-28 marzo del 1994, quando il partito azzurro sorprese tutti conquistando 8.136.135 voti pari al 21,01%. Forza Italia superò di 300 mila voti i Ds (20,36%), battendo in coalizione la «gioiosa macchina da guerra » di Achille Occhetto. Da allora si è proceduto tra alti e bassi. Nelle quattro prove alle Politiche a cui ha preso parte da sola, Forza Italia ha oscillato tra il 20,6% (1996) e il 29,43% (2001). Nelle Europee nel 1994 il 30% (30,61%); nel ’99 il 25,2%) e nel 2004 il 20,1%. Peraltro secondo le rilevazioni gli elettori credono alla continuazione della carriera politica di Berlusconi. Quasi il 70% è convinto che rimarrà sulla scena, una convinzione che sale al 91% tra chi ha dichiarato di voler votare Forza Italia. Senza dimenticare che in questo momento unendo i consensi delle forze che gravitano in quell’area, il centrodestra sarebbe saldamente in testa, con 4-5 punti di vantaggio. «Di fronte alla decadenza l’elettorato si è compattato attorno a lui » spiega Antonio Palmieri, responsabile Comunicazione elettorale e internet. «Inoltre il 21% di oggi vale più di quello del ’94. Innanzitutto perché c’è stato un ricambio tra gli elettori che sono scomparsi e i neodiciottenni, un ricambio di circa 10 milioni di elettori. E questo dimostra che Berlusconi è intergenerazionale, un’icona che resiste all’usura del tempo. Inoltre Berlusconi ha retto in un contesto in cui nel ’94 votare era percepito come un dovere, oggi come una possibilità . Tanto che il sistema è diventato sostanzialmente quadripolare: centrodestra, centrosinistra, Grillo e l’astensione ». Sondaggi a parte, Fi lavora anche per il restyling interno e una accelerazione è in corso sulla nomina dei nuovi dirigenti. L’intenzione di Berlusconi è quella di creare uno schema parallelo: da una parte il partito, con figure di riferimento sul territorio circondate da snelle strutture collegiali; dall’altra i club affidati a Marcello Fiori. Sul suo tavolo da alcuni giorni c’è una proposta per la definizione del nuovo comitato di presidenza. Ieri ne ha parlato con Denis Verdini e presto arriverà il primo organigramma. Vicina anche la definizione della mappa dei nuovi coordinatori regionali. I nomi più probabili sono Gilberto Pichetto Fratin per il Piemonte; Sandro Biasotti per la Liguria; Vincenzo Gibiino per la Sicilia; Giuseppe Galati per la Calabria; Sandra Savino per il Friuli; Cosimo Latronico per la Basilicata; Anna Maria Bernini per l’Emilia Romagna; l’ex olimpionico di sciabola, Marco Marin in Veneto; per l’Umbria sono in corsa un dirigente con un forte radicamento sul territorio come Pietro Laffranco e l’imprenditrice Catia Polidori. Nel Lazio la partita è tra Francesco Giro e Francesco Aracri anche se scenderanno in campo di supporto gli stessi Maurizio Gasparri e Antonio Tajani. Infine ieri Clemente Mastella, da Benevento, ha annunciato la «scelta umana e politica e la sua adesione a Forza Italia ». Pannella non molla sui referendum: farò ricorso Roma – Quando parla Pannella Giacinto, detto Marco, ti devi rassegnare. Primo, il ritmo lo detta lui. «Siamo troppo esperti – racconta al quotidiano diretto da Gian Marco Chiocci – per poter avere sorprese nel campo dei referendum. Sapevamo di avere un handicap, visto che ci sono stati anche altri che hanno raccolto le firme. Di certo c’è stata mancanza d’esperienza, aggravata dall’assenza di informazione. Ancora oggi arrivano decine di migliaia di firme da alcuni Comuni. Bisogna vedere come le valuterà la Cassazione ». Nella campagna per la raccolta delle firme sapeva di non poter contare sul Pd, ennesimo colpo al cuore di un rosso a metà . «Ricordo che quando si discuteva del referendum sul divorzio il Pci disse che avrebbe diviso la classe popolare. La tesi del Pci era che la legge doveva essere cambiata dal Parlamento. È la stessa cosa che sostiene ora Renzi, anche se lui nemmeno lo sospetta. L’unico che su queste cose è intellettualmente onesto è Violante. Ormai il Pd ha rafforzato le sue posizioni giacobine ». Il centrodestra invece lo ha aiutato. «L’ottimo Silvio – fa sapere nell’intervista – ha fatto un mucchio di cavolate, che gli ho rimproverato, ma sui nostri 12 referendum ci ha provato. Li ha firmati, si è detto a favore dell’amnistia e ha avviato la raccolta di firme ma nel suo partito non gliel’hanno fatta passare. Li hanno definiti falchi e colombe ma si sono mossi da avvoltoi. Pensavano fosse finito e non lo hanno accontentato sui referendum ». Unici nel centrodestra ad impegnarsi sarebbero stati Fitto e Nitto Palma. Ancora sul Cavaliere e c’è di che stupirsi. «A Silvio ho consigliato di espatriare per un paio di giorni. Gli dissi di andare a Ginevra e da lì fare una conferenza stampa per dimostrare che il combinato disposto tra l’obbligatorietà dell’azione penale e l’accanimento fa uscire l’Italia dalla ragionevolezza della legge ». Poi sarebbe rientrato e, magari, l’avrebbero pure arrestato. «Ma a quel punto anche i comunisti lo avrebbero difeso ». Ferrara scrive a Napolitano: “Basta ribaltoni, facci votare” “Presidente, basta col governo-ribaltone. Ci faccia votare”. Quello di Giuliano Ferrara, più che un appello a Giorgio Napolitano, è un bignamino, un ripasso di storia politica italiana negli ultimi 20 anni. L’Elefantino, sul Giornale, ricorda al Colle tutte le volte, troppe, che qualcuno ha preferito sostituire un governo legittimo e votato dagli italiani con una maggioranza “da laboratorio” frutto delle alchimie parlamentarie e dei cambi di casacca di questo o quel gruppetto di onorevoli. Sempre, sottolinea Ferrara, “per la paura di tornare alle urne e lasciare che il popolo elettore decida democraticamente chi deve dirigere l’esecutivo”. “Vent’anni di governi illegittimi” – Dal 1994 ad oggi, da quando cioè sulla scena politica c’è Silvio Berlusconi, sono stati troppi i casi in cui il Quirinale, per porre rimedio a una crisi quasi sempre provocata o a favorita da iniziative giudiziarie, ha preferito affidare ad altri, non legittimati dal voto popolare, la guida del Paese. E’ successo nel 1994, con il ribaltone ai danni del Cavaliere e il governo Dini. E’ successo dopo il 1996, con Prodi caduto ma la maggioranza di sinistra rimasta in piedi grazie ai voti di Cossiga. E, punge Ferrara, è successo ben due volte con Napolitano: nel 2011 con Monti, e nel 2012 con Letta. “Napolitano ha cercato di rattoppare i guasti di un sistema ammalato, di uno squilibrio drammatico nei rapporti tra politica e giustizia, di una rovinosa capacità sia della destra sia della sinistra di accettare il principio di realtà e restituire alla politica la sua funzione di coesione e comando usurpata dal partito dei faziosi e da quello dei togati d’assalto. Ora, però, le larghe intese nate nell’aprile scorso non ci sono più: il Pd governa anche grazie ad una larga maggioranza garantita alla Camera da Sel di Vendola, che però è escluso dal governo. E al Senato l’esecutivo sta in piedi grazie ai voti di Alfano e dei suoi, eletti soprattutto grazie all’impegno di Silvio Berlusconi, a sua volta all’opposizione. “Ostaggi di ribaltonisti e forcaioli” – La colpa della politica, e quindi anche del Quirinale, secondo Ferrara è doppia: “La paura dei magistrati e la subordinazione a essi, in una spirale drammatica che ha riguardato sia Berlusconi sia Prodi”, e “la paura degli elettori liberi e adulti”. A differenza delle coraggiose Spagna e Grecia, tornate al voto anche in momenti di crisi tragica, “noi biascichiamo di riforme che non si faranno, di semestri europei che contano un fico secco, siamo immobilizzati dalle nostre paure mentre l’offensiva forcaiola promette nuovi sfracelli ogni giorno“. Ecco perché il direttore del Foglio chiede a Napolitano una “prova di coraggio”: “Non negare al popolo il suo diritto a esprimersi e a decidere“. Le macerie sotto il Colle A cosa è servita la catafratta pervicacia di Giorgio Napolitano nell’imporre all’Italia in macerie le larghe intese? A nulla. Ad avere un governicchio che al Senato si regge sullo sputo di qualche voto, un monocolore Pd più pochi spiccioli diversamente berlusconiani, sulla cui qualità stendere un pietoso velo (Fabrizio “P2†Cicchitto, l’indagato per mafia Schifani, la setta Cl con Formigoni in testa …), monocolore al quale il prossimo segretario del Pd riserva ogni giorno il suo disgusto, mentre ingiustizia e diseguaglianza vanno al diapason, l’efficienza sotto i tombini, corruzione e familismo amorale banchettano più suntuosamente di Trimalcione. Pur di arrivare a questo esaltante risultato Napolitano ha ignorato il verdetto elettorale, che chiedeva a squarciagola la fine del berlusconismo mettendo per sovrammercato all’ordine del giorno la rottamazione della Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza. Pur di precipitare l’Italia in questa morta gora Napolitano ha spacciato la leggenda di un Berlusconi partner del gioco democratico, quando anche i sassi sanno (e Fedele Confalonieri dixit, già un ventennio fa) che la sua “discesa†in politica era un modo per aggirare la galera e conservarsi l’indebito bottino massmediatico monopolistico accumulato grazie alle mene contra legem del suo sodale Craxi. Berlusconi non poteva essere lo Chirac italiano, poiché è sempre stato il Le Pen di Arcore o l’aspirante Putin della Brianza, un odiatore strutturale della democrazia liberale con la sua “balance of power†e soprattutto l’autonomia del potere giudiziario, tanto più nella versione italiana con la sua Costituzione “giustizia e libertà â€. Il governicchio Lettalfano, di cui Napolitano è l’onnipotente Lord protettore, non farà altro, perciò, che ammassare altre macerie, materiali e morali, su quelle cui vent’anni di Berlusconi e di dalemiano inciucio hanno ridotto l’Italia. Mentre l’unica via per rinascere consiste in una monumentale redistribuzione delle ricchezze, che per il rilancio dell’economia applichi la ricetta del nuovo sindaco di New York, togliere ai ricchi per dare ai poveri, coniugata con un’autentica rivoluzione della legalità , che restituisca ai cittadini un barlume di speranza nella eguale dignità di ciascuno e nella liberazione dai Mackie Messer grandi e piccoli che a legioni spolpano e avviliscono il paese. Continueranno invece ad applicare la ricetta del sindaco di Londra, che predica “avidità e diseguaglianza†esaltando Gordon Gekko. Ora il governo è più forte (risate) La battuta più esilarante della settimana è quella che il povero Letta ha detto per comprensibile esorcismo autodifensivo ma che i media e la sinistra hanno ripetuto come un mantra: ora il governo è più forte. Letto 2451 volte.  Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||