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I MAESTRI: Ricordo di Giuseppe Maranini

4 Giugno 2009

di Elda Bossi
(dal “Corriere della Sera”, mercoledì 24 settembre 1969)  

Sono passati tre mesi e non ho bisogno del suo ritratto per averlo sempre davanti agli occhi. Ma ho sul mio scrittoio una serie dì fotografie: dall’alba al tramonto.
Ecco un bimbo, avrà tre an ­ni: immensi occhi chiari spa ­lancati e furbi, leggeri capelli ondulati fino alle spalle, un sorriso largo che mette in mo ­stra una schiera di dentini mi ­nutissimi e radi.
« Avevo due occhi azzurri grandi e limpidi; ed una folta corona di riccioli biondi. Ero molto bellino, e siccome avevo anche un bel vestitino scozzese a scacchi rossi e blu, così tut ­ti mi conoscevano e mi festeg ­giavano ». Questo è il ritratto che Giuseppe Maranini fa di se stesso bambino, in un pre ­zioso quadernetto che mi dedicava nel 1919 (aprile): il ritratto di un bambino felice.
« A Trento avevamo una bella casa, ampia e piena di sole su di un largo viale alberato di ippocastani. Sotto il viale scrosciavano le acque del torrente.
« Mio babbo e mia mamma mi volevano bene e si voleva ­no bene. Non posso ripensare a quei tempi senza tanta tene ­rezza. Mio babbo lavorava al Popolo,   il   giornale socialista di Trento. E c’era Battisti, e c’era un buon redattore che si chiamava Agostini, e c’erano tanti altri che mi volevano be ­ne, e che sono morti. Ricordo le stanze della redazione, ta ­vole ingombre di montagne di libri, uomini curvi che scrive ­vano. Io correvo fra le gambe delle tavole, facevo suonare i telefoni, ero la disperazione di tutti quanti. Ero molto energi ­co, da bambino, e anche un po’ prepotente. Ti ho racconta ­to che una volta misi a soqquadro mezza Trento con i miei strilli, perché volevo un orso e per aver l’orso pretendevo che mi si aprisse un ponte, sul torrente, che stava sempre chiuso. Ad ogni modo questo fatto mi procurò molta popolarità » Molto energico: il ritratto di un bambino e di un uomo che non poteva rassegnarsi davan ­ti a un ponte chiuso, non si fermava davanti a un ponte chiuso, passava, di là, chiusura o non chiusura, perché di là c’era qualcosa di straordinariamente bello e importante che bisognava conquistare, c’erano per esempio i suoi studenti che avevano bisogno di un bel palazzo, di aule vaste chiare pulite, di una biblioteca spe ­cializzata, di un’emeroteca che fosse la migliore del mondo, dell’aula per le conferenze, del giardinetto fiorito coi fiori che amava – le mimose -, perfi ­no del bar con ristoro; e tutto di prim’ordine, i libri, i mo ­bili, i quadri alle pareti, le piastrelle   del bar,   le piante del giardino (ci sarà ancora chi sorveglia con tanto amore che vengano curate?). Tutto que ­sto sebbene il ponte fosse chiu ­so e la chiave mancasse, man ­cassero i denari. E all’ispettore del ministero che si metteva le mani nei capelli: « Ma professo ­re, paga lei? » rispondeva con quel suo sorriso angelico che nascondeva la durezza del dia ­mante: « Mi farete una tratte ­nuta sullo stipendio ». Non si fermò davanti al ponte chiuso né davanti al suo povero cuore che gli gridava alt e che si ven ­dicò con un infarto dei più gra ­vi, quello che a distanza di quindici anni l’ha portato via.
« Ero anche molto patriota, anzi il mio patriottismo data da questo fatto: mio padre era andato a Rovereto, per fa ­re il resoconto di un processo, e mi aveva condotto con sé. Io ero molto soddisfatto di questa faccenda e ci tenevo a vede ­re un processo. Ma all’ingresso dell’aula c’era un uomo con una lancia che come mi vide impose a mio padre di ripor ­tarmi via subito, e per esser più convincente abbassò l’asta. Non l’avesse mai fatto! Una tale ingiuria a me! Incomin ­ciai a protestare in un modo così indiavolato che allarmai tutto il tribunale, e se mio pa ­dre volle evitare maggiori com ­plicazioni dovette prendermi per il collo e portarmi via di corsa. Il giorno dopo, tornato a Trento, fermai un ufficiale austriaco per la strada e, ri ­tenendolo responsabile dell’ac ­caduto, senza tanti complimen ­ti gli dissi: ” Brutto soldataccio! ” ».
Quando il piccolo patriota, il « popo del Popolo » fu espul ­so, esule minimo, con la sua famiglia da tutto il territorio dell’impero austriaco, amici gli consegnarono un cartoncino con le loro firme sotto queste pa ­role d’augurio: « Al piccolo Giuseppe Maranini – arrive ­derci liberi! ». Lasciò la bella casa sul torrente e per tutta la vita ne conservò la nostalgia.
Sfoglio ancora il quadernet ­to, ed ecco, poche pagine più in là: « Anche tu senti, ne sono certo, l’amore per la patria tua e mia, ma non può essere la stessa cosa folle ed esclusi ­va che è per me… ». Una co ­sa folle ed esclusiva: per me, sinceramente, non è mai sta ­to così; ma in lui, nei suoi te ­neri anni, si era formato lo spirito della « gente di frontiera »; era e fu sempre un in ­namorato della propria terra imbevuto ancora degli ideali di libertà e di unità del Risorgi ­mento: le sue lotte, le sue bat ­taglie, le sue polemiche, nasce ­vano tutte da quel suo puris ­simo disinteressato amore, dal suo sogno ostinato, resistente a ogni delusione, di uno stato efficiente, di un governo one ­sto, di una magistratura indi ­pendente, di un paese libero, sano, pulito. Le buone leggi, il magistero dell’insegnamento, erano i due cardini dell’edificio. Per sé non chiese mai nulla.
Pochi anni prima dell’infar ­to, con un cuore che zoppica ­va già, fece cinquanta comizi nella Toscana rossa per il par ­tito di Saragat, senza essere can ­didato; io che gli fui accanto in tutti i cinquanta, lo vedevo stremato prima e dopo; pieno di ardore battagliero, instanca ­bile, mentre parlava. Già mol ­to malato, per non lasciare i suoi ragazzi rinunciò alla più riposante posizione di giudice della corte costituzionale. I suoi ragazzi gli hanno voluto bene; lo ricordavano ancora con straordinario affetto perfi ­no quelli che lo ebbero giova ­nissimo professore all’istituto tecnico Paolo Sarpi di Venezia. Ma nella primavera calda del ’68 c’è anche stato chi gli ha inferto l’ultimo colpo. Un nuo ­vo peggioramento lo costrinse a letto per due settimane, i suoi giorni ormai erano con ­tati.
Ma io non faccio una com ­memorazione; guardo i suoi ri ­tratti, e quello che mi è più caro è quello che fu fatto per me quando aveva sedici anni. Un ragazzo dai grandi occhi chiari e pensosi (non portava ancora gli occhiali), dalla boc ­ca seria, senza sorriso, ma mor ­bida, quasi infantile, e una gran chioma, e il cravattone nero a fiocco degli anarchici. L’« anarchico » era occupatissi ­mo in quel tempo a scrivere una nuova Costituzione Italiana, dove era considerato delit ­to l’ingiuria al capo dello Sta ­to o al ministro di qualunque chiesa. Non ho perso la spe ­ranza di ritrovare quell’abbozzo fra le nostre vecchie carte.
Erano gli anni del liceo e dei nostri contemporanei « fughini » a scuola. Camminavamo ore e ore per le care colli ­ne bolognesi – tanto più care a quel tempo che le macchine non potevano arrivarci – ». Ci tenevamo per mano. Tutti e due sotto un unico impermea ­bile – il suo – quando pio ­veva. Pioveva anche il giorno del suo diciassettesimo com ­pleanno, in aprile; e io, che non avevo un soldo, gli com ­posi un mazzetto di stillanti pervinche. Così per mano ab ­biamo continuato a camminare -sereno o tempesta – per tutta una vita che non mi è sembrata più lunga di uno di quei « fughini ».
E poi le nostre due mani sono state staccate a forza, co ­me si staccano a forza le due valve d’una conchiglia viva. La parte migliore di noi non so dov’è, non certo sotto quelle poche palate di terra non an ­cora assestata nel cimiterino sul colle di Fiesole; e l’altra è qui, e non sa se vive e scrive. For ­se è un sogno.  

(Notizie su Giuseppe Maranini qui)


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2 Comments

  1. Commento by Carlo Capone — 4 Giugno 2009 @ 11:08

    Che bello scritto, Bartolomeo, sa di torrenti, platani fronzuti e pervinche.
    Non conoscevo Maranini e non so nulla di Elda Bossi. Chi è?

    Carlo

  2. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 4 Giugno 2009 @ 12:48

    Di Elda Bossi trovi queste notizie in internet (il link è troppo lungo e ho fatto il copincolla):
    “BOSSI, ELDA (1901 – 1996)

    Nasce a Firenze il 2 dicembre 1901, laureata in lettere all’Università di Bologna e socia dell’Ateneo Veneto. Vive a Milano, Venezia, Perugia e infine a Firenze. Dopo la guerra viaggia per l’Europa come corrispondente di quotidiani. Scrive le sue prime poesie nel 1910 ma la prima raccolta di versi La gioia viene pubblicata nel 1923. Traduce la Chanson de Roland e scrive racconti per l’infanzia e dal tedesco le fiabe dei fratelli Grimm; dirige le collane “Il libro del ragazzo” e “Lucciole” per la Casa Editrice Nuova Italia, e per la Bietti “La bibliotechina”. Fonda una sua casa editrice, Ofiria. Riceve il Premio dell’Accademia d’Italia nel 1938 per le traduzioni, il Premio Carducci nel 1951 per la poesia, il Premio Venezia nel 1951 per la narrativa. Muore il 24 luglio 1996.

    TITOLI:

    La Gioia (volume di versi, 1923)
    Giglietta e Fiordilino (novelle per ragazzi, 1926)
    L’anellino comandovoglio (fiabe, 1929)
    Maluli e le rondini (racconti, 1929)
    L’Ora Bianca (raccolta di poesie, 1935)
    Bimba con fiori in mano (1943)
    Il giardino (racconti in cinque volumi per le classi elementari, 1947)
    I poveri (racconti, 1951)
    Vietato agli uomini (1965)
    La parte di magri (1967)

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