ARTE: I MAESTRI: Si riparla di Marinetti
18 Giugno 2008
di Alberto Arbasino
[dal “Corriere della Sera”, venerdì 6 settembre 1968]
Quell’eccellente rivista che è Strumenti critici offre nel numero 6 (del giugno scorso) ai suoi lettori highbrowissimi una vera e rara ghiottoneria, para Âgonabile per inaspettata squisitezza a un Gadda di buona an Ânata. Ecco infatti La grande Mi Âlano tradizionale e futurista, di Filippo Tommaso Marinetti, ce Âlebre e dimenticato «aeropoe Âta » originario – come Caroli Âna Invernizio, come Italo Pie Âtra, come il sarto Valentino, e come me – di Voghera. Pochi autori sembrano attualmente più proverbiali e (insieme) più «rimossi » di questo accattivan Âte pasticcione crepuscolare e di Ânamico, indubbiamente carico di talento; sicché il giudizio ri Âmane sospeso, evasivo… rilut Âtante a riconoscere la geniali Âtà … Eppure… .
Milano protagonista
Eppure, il gusto contemporaneo non ha esitato, nei confronti di scrittori molto più marginali, anche più « alieni », e indubbiamente   « minori »,   ingaggiati   (magari  con  ritardo)   in  operazioni innegabilmente affini.
Con un’altra firma, sono quasi sicuro  che  si  strillerebbe  alla scoperta,  o  almeno  alla  trouvaille, davanti alla preziosa sorvegliatissima poetica di questa Grande Milano che fra gli Anni Trenta e i Quaranta « rifa » con un divisionismo  così  elegante nientemeno che il Liberty!  Nulla sta suonando  (obiettivamente) più à la page di questa  scrittura  (apparentemente) à la diable: così milanese, così musicale, così libresca, e così Belle   Epoque…   Il   profumo   è incantevole.
Questo poema, finora inedito, fu   composto   durante   l’ultima  guerra, a Venezia, come un’autobiografia    condotta    secondo una « elastica, imprecisa e affettuosa   cronologia ».   E   Luciano de Maria lo presenta fissando con  acutezza  l’importanza  del testo: « In esso, attraverso la commossa e vivida rievocazio Âne, si intravvedono i colori di un’epoca, si respira l’atmosfera politica e culturale da cui nac Âque il futurismo. Sullo sfondo di Milano, che è poi la vera protagonista dell’opera e che su Âscita preziosi squarci di paesag Âgio cittadino e tutta una bizzar Âra toponomastica sentimentale vagamente surrealista, sorgono i ricordi di vita letteraria, sen Âtimentale e politica… E la ma Âteria autobiografica, disposta per temi principali, scatta, bi Âforca, riprende il cammino se Âcondo le libere associazioni del Âl’autore ».
Qualcuno sarà ora tentato di proclamare il Ritrovamento del Âl’Anello Mancante fra Carlo Dossi e l’Adalgisa? O forse Marinetti costituisce un tutt’altro « anello »? Tocca troppo continuamente corde troppo inten Âsamente contemporanee: dalla poesia concreta alla musica spe Ârimentale di Cage, dalla pittura di Warhol alle macchine riso Ânanti di Rauschenberg… E le coincidenze s’accumulano: insi Âstenti, sorprendenti. Tutte ca Âsuali? O non rivelano, piutto Âsto, l’autenticità profonda della vocazione moderna del povero aeropoeta di Vogherà ?
Fino a poco fa, solamente in Russia  la sua fama  sopravvi Âveva intatta. II nome di Marinetti era molto più popolare a Leningrado   (dove fece più di un’apparizione memorabile) che non a Pontecurone « dove fa Âmiglie   di   viticultori   portano l’onorato nome di Marinetti co Âme lo portano gli autobus di Bahia Bianca in ricordo dei clamorosi trionfi del Futurismo ». Ma da qualche tempo sembra che la nostra epoca abbia de Âciso di rispondere a quei suoi segnali lontani e prematuri. In pochi mesi un coraggioso editore, Vito Bianco, ha pubblicato il suo teatro completo, e la rivista Sipario una ragguardevole antologia dello spettacolo futurista, curata con malcelato affetto  da Giuseppe  Bartolucci.
L’editore Mazzotta annuncia poi un Futurismo di Umbro Apollonio nella sua felice collana di Testimonianze illustrate. Basta però sfogliare anche un volume extravagante e improbabile co Âme Teatro della Sorpresa di Marinetti e Cangiullo (P. Belforte editore, Livorno, L. 2500) per afferrare al volo un pre Âciso « tempismo » in quelle in Âtuizioni teoriche di cui proba Âbilmente i futuristi medesimi non valutavano a fondo né la tempestività né il significato.
I nuovi barbari
In un contesto indubbiamen Âte più mortificato e provincia Âle, Marinetti con gli stessi baffi da uffizialetto e gli stessi solini inamidati – e in analoghi « in Âterni » alto-borghesi, con identiche eredità decadentistiche… – operava nello stesso momen Âto e nello stesso senso dei poe Âti e dei musicisti e dei clinici viennesi che agivano la crisi monarchica-mitteleuropea come una maestosa metafora del dissolvimento della grande cultura j dell’Ottocento borghese… Così come con le sue « sintesi » tea Âtrali – non-parlate e non-ideologiche e non-distanziate, fatte di gesti, luci, rumori, azioni e apparizioni – Marinetti si situa impeccabilmente a metà strada fra le parabole devastatrici di Alfred Jarry, e quel successivo « Teatro Alfred Jarry » animato da Artaud e da Vitrac… Non per nulla, le avanguardie artistiche dei nostri Anni Sessanta, specialmente in America, non sono tanto cubiste né espressioniste né surrealiste né metafi Âsiche; non sono nemmeno trop Âpo dadaiste; sono, soprattutto, futuriste. E gli inglesi, sempre i più svelti nell’informazione, non hanno tardato a prender Âne atto.
Esce ora a Oxford, per i tipi dell’Università e al prezzo di ben sei ghinee, un vasto e documentato volume, Arte e teo Âria futurista di Marianne W. Martin, carico di materiale iconografico, sebbene s’arresti alla morte di Boccioni, 1916. Subito riprende il discorso un critico fra i più « avanzati » e schifil Âtosi, Edward Lucie-Smith, e fis Âsa alcuni punti con dura chiarezza. Si fa un torto ai « movi Âmenti moderni », afferma, se si applicano all’arte contempora Ânea i metodi del Vasari: de Âscrivere un bel quadro – di Picasso o di Raffaello – rife Ârendolo all’esperienza del suo autore, nella sua epoca. Ma il lato veramente contemporaneo del Futurismo nei confronti de Âgli altri « ismi » consiste nel suo interesse per la simultaneità , non già nei suoi risultati nelle arti plastiche o figurative. Il cubismo si occupa solo di pit Âtura; produce molti bei quadri. Dunque s’accomodi al Louvre. Invece la fissazione futurista per l’arte «totale » e per la simultaneità delle sensazioni, guarda – decisamente – in avanti.
In altre parole, l’ideale del cubismo sembra una staticità di tipo classico. Infatti funziona specialmente nei periodi di « ritorno all’ordine ». Ma nei momenti storici di transizione o sviluppo riemergerà prepoten Âte la smania futurista per il dinamismo, e il suo richiamo ai valori « selvaggi »: l’automo Âbile da corsa proclamata supe Âriore alla Vittoria di Samotracia (magari per errore: la po Âlemica futurista s’indirizzava al trionfalismo latino, non già alla rettorica greca…), né più né meno come avviene ogni giorno nei quadri e nelle com Âmedie e nei film dei «nuovi barbari » contemporanei: Dubuffet e Rauschenberg, Godard e LeRoi Jones… (Sarà forse questo il tema obbligato nella sessione autunnale delle nostre assise letterarie?).
Letto 2243 volte.