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Il fantasma senza tempo

6 Marzo 2013

di Angelo Panebianco
(dal “Corriere della Sera”, 6 marzo 2013)

Chi pensa che la democrazia necessiti di governi forti, dotati di tutti gli strumenti istituzionali necessari per attuare le proprie promesse elettorali, è un pericoloso golpista, un fautore di disegni autoritari, un nemico della «vera » democrazia? Da più di trenta anni è sempre a questa domanda che siamo inchiodati tutte le volte che insorgono conflitti intorno a progetti di riforma costituzionale. Oggi, una classe politica con un piede nella fossa (come Grillo, graziosamente, le ricorda ogni giorno), potrebbe avere interesse a non dare a quella domanda la risposta che è fin qui sempre prevalsa.

Senza una radicale ristrutturazione delle loro offerte politiche, centrosinistra e centrodestra non riuscirebbero a invertire la corrente, a riconquistare i consensi perduti. Ma la ristrutturazione dell’offerta politica è possibile solo se vengono cambiate le regole del gioco. Diversi editorialisti di questo giornale hanno ricordato, nei giorni seguiti alle elezioni, che la condizione di stallo in cui siamo potrebbe essere avviata a soluzione, se si realizzasse uno scambio virtuoso (fra sistema maggioritario a doppio turno e semi-presidenzialismo). Se si trovasse la volontà politica, basterebbero pochi mesi per fare tutto. Poi si tornerebbe a votare.

Ma occorrerebbe un consenso almeno sul fatto che la democrazia necessiti di quella stabilità che solo governi istituzionalmente forti sono in grado di assicurare, e che maggioritario e semi-presidenzialismo servono a quello scopo.
La Costituzione vigente fu redatta quando incombeva il fantasma del tiranno e il Paese era spaccato fra comunisti e anticomunisti. Si scelse di costruire un sistema di governo fondato sulla permanente debolezza degli esecutivi. E da lì non ci siamo mai schiodati. La fine della Guerra fredda aprì una «finestra di opportunità »: la riforma elettorale maggioritaria dei primi anni Novanta doveva favorire un cambiamento della forma di governo ma poi, con il fallimento della Bicamerale (il mancato accordo fra Berlusconi e D’Alema nella Commissione per le riforme costituzionali presieduta da quest’ultimo nel 1997), quella finestra si richiuse. Forse ora, proprio perché si trova con le spalle al muro, la classe politica potrebbe finalmente fare ciò che non seppe fare allora. Per riuscirci dovrebbe sconfiggere radicati e diffusi pregiudizi. Secondo i quali è un bene che l’Italia, unica fra le grandi democrazie europee, manchi dei requisiti istituzionali necessari per dare stabilità e forza ai governi.

Tutte le volte che la nostra forma di governo viene messa in discussione, nel Paese parte la mobilitazione dei «Giù-le-Mani-dalla-Costituzione-Boys » (acronimo: GMCB), una variopinta compagnia di ultraconservatori, spesso travestiti da progressisti, afflitti da inguaribile provincialismo. Così provinciali da non essersi mai degnati di studiare seriamente costituzioni e prassi degli altri grandi Paesi europei.

A riprova del fatto che non basta intervenire sulla legge elettorale per uscire dai guai si consideri la questione del bicameralismo simmetrico (due Camere con uguali poteri). È oggi quasi impossibile per chiunque (fanno fatica a farlo persino i GMCB) difendere un simile obbrobrio. Ma perché i venerandi costituenti si macchiarono di tale colpa? Erano forse stupidi o pazzi? Non lo erano.

Il bicameralismo simmetrico serviva al loro scopo, era coerente con il disegno costituzionale nel suo insieme, quello che condannava l’Italia ad avere sempre governi istituzionalmente debolissimi. Assicurando alle varie frazioni parlamentari, grazie anche al bicameralismo simmetrico, i margini di manovra e la chance per stravolgere ogni decisione governativa.

Una cosa è il potere (che a nessun Parlamento può essere negato) di respingere i provvedimenti del governo, tutt’altra cosa è il potere di stravolgerli sistematicamente, di svuotarli dall’interno. È questo potere che la nostra Costituzione esalta. Per inciso, Mario Monti voleva dire proprio questo quando, qualche mese fa, affermò che i governi non dovrebbero essere alla mercé dei Parlamenti, suscitando la reazione sdegnata dei tedeschi (i quali però non sanno che il loro Parlamento non ha lo stesso potere che ha il nostro di «conciare per le feste » i governi, di fare carne di porco dei loro provvedimenti). Le tanto lodate riforme del lavoro che fece a suo tempo il governo Schröder in Germania sarebbero impossibili in Italia (come si è visto nella vicenda della riforma del lavoro targata Fornero). Due Camere con uguali poteri erano, e sono, una garanzia di governi sempre in balia di qualunque frazione, o sottofrazione, parlamentare, e di massima lentezza e inefficienza dei processi decisionali. Più in generale, la debolezza istituzionale dell’esecutivo era, ed è, una assicurazione contro gli eventuali pruriti riformatori di questo o quel governo.

E naturalmente i regolamenti parlamentari vennero costruiti in modo coerente con il disegno costituzionale di cui sopra: fortunate, ad esempio, sono quelle democrazie (parlamentari o semi-presidenziali) in cui quasi nessuno ricorda i nomi dei presidenti delle Camere in carica, talmente irrilevanti, istituzionalmente e politicamente, sono le loro funzioni.
Basterebbero pochi mesi per dare alle istituzioni quella forza e quella efficienza la cui mancanza, alla fine, ha pesantemente e pericolosamente logorato la Repubblica. Non ha senso rassegnarsi a quel logoramento solo per fedeltà alle scelte contingenti (e, all’epoca, giustificate) di uomini – i costituenti – che uscivano da venti anni di dittatura.


Sessanta milioni di costituzionalisti
di Vittorio Feltri
(da “il Giornale”, 6 marzo 2013)

Giorgio Napolitano non sa che pesci pigliare. Pier Luigi Bersani, attonito, ha gli occhi da pesce lesso. Silvio Berlusconi è un pesce fuor d’acqua. E Beppe Grillo prende tutti a pesci in faccia.

Rendiamocene conto: stavolta siamo finiti al mercato del pesce, dove tutti urlano cercando di vendere e dove nessuno compra, perché la mercanzia non è fresca e comincia a puzzare. Le elezioni, con i loro risultati strani, mai visti in quasi settant’anni di Repubblica, sono state archiviate da dieci giorni e non si è ancora capito che succederà.
I cosiddetti cronisti politici ogni dì inventano ipotesi, anche le più bizzarre, lasciando intendere di essere bene informati; in realtà sono sprovveduti e sprovvisti di notizie quanto deputati e senatori, cioè gli addetti ai lavori. Chi parla di governissimo, chi di inciucio, chi di grande ammucchiata, chi di governo di minoranza, chi di governo del presidente. La situazione è inedita e consente di proporre soluzioni al problema della governabilità anche a gente che ignora il funzionamento di una piccola amministrazione comunale.
L’esecutivo tecnico non gode di buona popolarità. Ovvio, dopo l’esperienza Mario Monti, appena disastrosamente conclusasi, basta pronunciare il nome di un professore quale probabile premier perché i cittadini facciano gli scongiuri. Non puoi entrare in un bar per un caffè: c’è subito un avventore o due o tre che ti guastano il piacere di berlo chiedendoti un’opinione sulle attuali incertezze nel Palazzo. Rispondi per educazione, ma non riesci a dire nemmeno mezza frase che già ti hanno interrotto. Se ne fregano del tuo parere: vogliono solo significarti il loro.

Durante lo svolgimento dei mondiali di calcio, è noto, qualunque bischero usa improvvisarsi commissario tecnico della Nazionale e discetta di moduli (4-4-2 e 4-3-1-2 eccetera). Nella presente congiuntura politica, gli stessi estemporanei esperti di pedate si sono trasformati d’incanto in politologi e addirittura in costituzionalisti. Ciascuno di essi, se attacca bottone, ti fa una testa così sviscerando idee pazze e ti prega di girarle a chi di dovere: «Mi raccomando, lo dica lei al Berlusca di non mollare ». Mollare cosa? «Il torrone ».
Hai appena guadagnato l’uscita dal locale, e un Tizio, che ti aveva intravisto con la tazzina in mano, ti blocca sul marciapiede per confidarti che, secondo lui, la questione si può appianare offrendo a Grillo la poltrona di capo dello Stato: «Se togli dai piedi quel matto lì, il suo gregge si sparpaglia, non fa più danni; e il Cavaliere e Bersani si accordano in cinque minuti per spartirsi la torta ».
Concetti che sembrano estrapolati da una commedia dell’assurdo di Eugène Ionesco, eppure non molto diversi da quelli circolanti nei talk show televisivi del mattino, del pomeriggio e della sera. La ciacola politica domina in famiglia e negli uffici. L’interrogativo ricorrente è questo: i grillini ci sono o ci fanno? Curzio Maltese, ieri sulla Repubblica, in un lungo articolo descrive i novizi e le novizie del M5S, radunati per prepararsi a entrare a Montecitorio e a Palazzo Madama, come ragazzi dalle facce rassicuranti, pulite, provvisti di lauree autentiche. Saranno anche capaci, costoro? Il giornalista confessa di non conoscerne uno che sia uno: nonostante ciò ha fiducia.

L’esatto contrario di altri colleghi giornalisti, che pur non conoscendo, al pari di Maltese, le reclute grilline, ne dicono peste e corna: sono brutte, sporche, cattive. Chissà da quale tugurio di estremisti provengono? Sono No Tav. Odiano gli assorbenti femminili. Ma che «bestie » sono? Conformismo e razzismo alimentano i peggiori pregiudizi. Pretendiamo di adottare i principi della fisiognomica per esaminare chiunque ci si pari davanti: riceviamo da un fugace incontro una generica impressione e la spacciamo per sentenza infallibile. Nel cogliere il bene e il male siamo tanto rapidi quanto superficiali: abbiamo fretta di dividere il grano dalla pula e procediamo nella selezione senza avere alcuna dimestichezza con i cereali. Figuriamoci con le persone, ognuna delle quali è un mondo a sé.
La verità è che non ci rassegniamo alla confusione determinata dall’esito del voto. Siamo di fronte all’ignoto, disturbati dal fatto che non abbiamo i soliti punti di riferimento su cui basarci per fare previsioni e valutazioni. L’attesa di sviluppi (improbabili) ci snerva e ci fa perdere la trebisonda. C’è un altro aspetto da non trascurare: chi avrebbe mai immaginato che il futuro dell’Italia sarebbe dipeso dagli umori e dai malumori di un attore istrionico, un capopopolo che fino a ieri era un capocomico? Se almeno egli ci confidasse cosa medita di fare. Ma Grillo è uno che medita?
Volevamo il nuovo e ora che ce l’abbiamo ne abbiamo quasi paura.


Bersani il miglior alleato di Grillo
di Arturo Diaconale
(da “L’Opinione”, 6 marzo 2013)

Beppe Grillo gioca con Pierluigi Bersani come il gatto con il topo. Ed è chiaro fin da ora che alla fine della partita mangerà in un solo boccone il povero segretario del Partito Democratico. Come? La risposta è semplice. Andando il più rapidamente possibile a nuove elezioni anticipate. Per cui appare addirittura patetico Bersani quando intima a Grillo di uscire dalle ambiguità e di scegliere in maniera chiara se appoggia un governo Pd-M5S o se vuole tornare al voto. Perché è fin troppo evidente che il leader dell’antipolitica non ha alcuna intenzione di contaminare il proprio movimento con una operazione destinata ad assumere agli occhi dei propri elettori l’aspetto di una manovra di Palazzo e punta ad ritornare il più presto possibile alle elezioni. Grillo, o forse sarebbe meglio dire la premiata ditta Grillo-Casaleggio, sa fin troppo bene che il risultato elettorale del Movimenti Cinque Stelle è il frutto di una singolare ed occasionale congiuntura astrale. Che, come tutte le congiunture di quel tipo, non dura in eterno ma va sfruttata al massimo per il breve tempo della sua durata.

Tra un anno, come insegna il caso Parma , sarà difficile intercettare la rabbia e la protesta sociale, le campagne in favore dell’antipolitica e dell’antiparlamentarismo dei grandi media, l’antieuropeismo delle partite-Iva, la richiesta di assistenza delle fasce meno abbienti e la passione per il ritorno alla società pre-industriale e non capitalistica dei giovani imbevuti di vulgata ecologista di basso conio. Nel frattempo la rabbia e la protesta saranno sicuramente aumentate ma i grandi media, come già hanno incominciato a fare dall’indomani del voto, si impegneranno in campagne di macchiettizzazione e di delegittimazione dei “grillini”. Ed il prezzo dell’inesperienza che questi ultimi dovranno necessariamente pagare in Parlamento farà fatalmente svanire l’aura di successo che al momento aleggia sulla testa di Beppe Grillo e dei suoi compagni d’avventura. Insomma, la premiata ditta sa bene che se vuole sopravvivere senza fare la fine di tutti i movimenti di pura protesta occasionale che si sono più volte presentati sulla scena politica, debbono cogliere l’onda che passa in questo momento e che potrebbe scemare d’intensità nel giro di un anno.

Per cui ogni intimazione di Bersani è una spinta in favore della realizzazione del proprio piano. Se Grillo e Casaleggio potessero andrebbero al voto nel giro di un paio di mesi. Nella convinzione di riuscire a salire dal 25 al 40 e passa dei votanti e nella certezza di finire a ruoli scambiati con il Pd costretto ad accettare di sostenere, magari dall’esterno e senza pretese di sorta, un governo formato solo da “grillini”. Nell’incaponirsi a favorire di fatto la strategia di Grillo e di Casaleggio, quindi, Bersani e la sua banda di “giovani turchi” arroganti ed inesperti hanno compiuto un clamoroso errore. Che in parte è giustificato dal timore di vedere scappare verso l’estremismo grillesco parte del proprio elettorato visceralmente antiberlusconiano in caso di governissimo con il Pdl. Ma che non tiene in alcun conto che a rincorrere il Movimento Cinque Stelle e la sua totale inconsistenza di idee si ottiene un risultato identico se non maggiore. Perché mai la base protestataria ed estremista del Pd dovrebbe continuare a votare Bersani se quest’ultimo si ostina a comunicare che senza Grillo non è in grado di mettere in piedi alcun governo? Alle prossime eleioni, sempre che si tengano al più presto, questa base si regolerà secondo lo schema del voto utile e sosterrà chi esprime la sua stessa rabbia ed è in grado di formare il governo piuttosto che chi rincorre disperatamente Grillo sostenendo che senza di lui non ha la forza necessaria a governare. Bersani, dunque, sta assumendo una pesante responsabilità. E nei prossimi mesi ne pagherà il conto al suo partito ed all’intero paese.


Fo sul blog di Grillo: “Nessun inciucio con questi manovratori centro-sinistri”
di Redazione
(da “La Stampa”, 6 marzo 2013)

La prima reazione del Movimento 5 Stelle agli otto punti di Pierluigi Bersani esposti oggi nella direzione del Pd è un no che arriva per bocca di Dario Fo dal blog di Beppe Grillo: «Questi manovratori centro-sinistri insistono a muoversi fuori dalla storia e non se ne rendono conto », afferma il premio Nobel. «Mettetevi bene in testa – prosegue Fo – che questa, amici miei, non è la solita solfa da sala giochi di lobby del potere e dell’intrallazzo, dove un bell’inciucio con tangente premia la società dei furbacchioni. Questo che sta esplodendo davanti ai vostri occhi è l’inizio di una rivoluzione! ».

Fo confessa di essere «rimasto completamente sconvolto dal risultato finale” delle elezioni nonostante l’abbia «vissuto da dentro il MoVimento ». «Un evento di questa portata – sottolinea Fo -non si era mai verificato in tutta Europa. Non comprenderlo ieri e oggi vuol dire essere completamente ottusi. Purtroppo in politica abbiamo una massa di imbesuiti pieni di sé che credono di risolvere la loro dabbenaggine con i trucchetti e le strizzatine d’occhi. In questo momento stiamo assistendo ad una specie di danza dei tarlocchi storditi. Dopo aver creato il caos ora non sanno che pesci pigliare e fingono certezza e chiarezza di idee e di programma ».

«Fa bene Grillo – osserva – a denunciare immediatamente come ha fatto in questi giorni, le manovre giustamente definite il mercato delle vacche, orchestrate da parte di alcuni esponenti del PD, che cercavano di coinvolgere persone del MoVimento 5 Stelle con l’intento di offrire loro cariche in un ipotetico prossimo governo. Tentativo giustamente denunciato come il solito modo puttanesco di fare politica. Per attuarlo però bisogna avere a disposizione persone disposte a vendersi e il MoVimento a 5 Stelle, i suoi eletti, i suoi attivisti, i suoi elettori, ahimè non sono in vendita ».

«I nostri gattopardi indelebili – prosegue Fo – cercano di inventarsi un’altra pantomima, nuova di zecca, così vanno piagnucolando: “Come possiamo risolvere? Noi, è vero abbiamo usato qualche trucco per anni, rimanendo inattivi e silenti e tenendo nascosto nel cassetto le proposte fondamentali tipo il conflitto di interessi, la riduzione dei parlamentari, il problema degli aerei da bombardamento e strage che oltretutto ci costano miliardi, pur di difendere fino alla morte i nostri privilegi prebende e le paghe da nababbi”. Ma ora, lacrimando, i pentiti ci dicono: “Oggi stiamo dimostrando di aver capito il nostro errore e siamo qui proni e inginocchiati disposti a fornire una alleanza attraverso la quale portare a termine finalmente i programmi che voi stessi sceglierete come essenziali” ». «Fermi lì! », avverte Dario Fo. «Attenti – prosegue – che la manfrina del gatto e la volpe la conosciamo già da tempo. Non vorremmo che come noi abbocchiamo alla proposta ecco che voi cominciate le omelie del “Purtroppo ci sono le regole da rispettare, la democrazia si sa è insidiosa, ci vuole tempo, bisogna accettare modifiche, rimandare”… danzare offrendo le natiche comode al capo danza di governo. Il tempo passa e naturalmente ci troveremo da capo beffati e cornuti. Mi dispiace per voi cari maestri dello sberleffo ma stavolta la danza è un’altra, è cambiata l’orchestra, i musici e anche i ballerini e non è più il tango col casquè ma un Rock. Col lancio in aria di chi fa il furbo e ci allunga troppo le mani sul culo ».


L’intervista a Dario Fo anche su “la Repubblica”, qui.


Criticare la pm costa più di un omicidio
di Mario Cervi
(da “il Giornale”, 6 marzo 2013)

Niente da dire, c’è voluto un bel po’ di tempo perché la terza sezione civile della Cassazione si pronunciasse su una causa intentata al Giornale da Ilda Boccassini, procuratore aggiunto a Milano. Ma finalmente, implacabile, la mannaia della legge, una volta tanto aliena da smemoratezze, si è abbattuta su questa nostra testata e su noi giorna ­listi diffamatori. Nella vicenda, che risa ­le al secolo scorso – 1999 – sono coinvol ­to personalmente perché allora ero di ­rettore responsabile del Giornale e dunque punibile per non avere censu ­rato un articolo di Salvatore Scarpino dal titolo «Colpevole a tutti i costi ». Il colpevole a tutti i costi era Silvio Berlu ­sconi: oggetto secondo Scarpino, ma anche secondo innumerevoli osserva ­tori – compresi alcuni che al centrode ­stra erano estranei o addirittura ostili – d’un accanimento giudiziario senza precedenti. Accanimento definito da Scarpino una vera e propria guerra. La signora Boccassini, nota per il marmo ­reo riserbo su quanto atteneva e attie ­ne alle sue preferenze politiche, s’è sen ­tita offesa dal sospetto d’una affiliazio ­ne alla sinistra – dai più ritenuta eviden ­te – ed è ricorsa alle vie legali. Così è ac ­caduto che il Giornale, io e Scarpino fos ­simo condannati in primo grado a 50mila euro di risarcimento, diventati lOOmila in appello e adesso conferma ­ti definitivamente dalla Suprema Cor ­te. È una cifra doppia rispetto alla me ­dia dei risarcimenti che la giustizia ita ­liana assegna alle vittime di incidenti stradali colposi, assimilabili agli omici ­di colposi. Abbiamo negato – spiegano gli ermellini in una elaborata motiva ­zione – il ruolo istituzionale dei magi ­strati, abbiamo «leso il cuore della fun ­zione giurisdizionale, della sua impar ­zialità, della sua indipendenza ».

A costo d’attirarmi altri fulmini polemici, o piuttosto notifiche in carta bollata, dico che questa storia, con il suo inizio e con il suo epilogo, riassume i peggiori aspetti della giustizia italiana, a co ­minciare dalla scandalosa lentezza. Ma co ­loro che della giustizia sono i gestori non si riconoscono colpevoli di neghittosità o di faziosità, rivendicano un ruolo sublime al quale ogni cittadino e ogni altro potere del ­lo Stato deve inchinarsi rispettoso. Io sono responsabile di quanto parecchio tempo fa ha affermato, da eccellente giornalista, Sal ­vatore Scarpino, ma le toghe non sono responsabili per il panorama di macerie offerto dalla giustizia italiana. Sono macerie or ­ganizzative e produttive che riguardano la collettività nazionale. Sono macerie dovu ­te al crollo dell’equità e della doverosa terzietà che ogni cittadino esige dai magistra ­ti. Anche quando abbia tutte le apparenze d’una persecuzione mirata ciò che i magi ­strati fanno è «doverosa attività dell’ufficio ». Su queste pagine avremmo arrecato «pregiudizio, 14 anni or sono, all’interesse costituito dall’esercizio della funzione di magistrato ». Scarpino sarebbe imperdonabile per avere attribuito a Ilda Boccassini la pretesa «di rivoltare il Paese e di guidarlo ».

Scarpino ha peccato d’omissione. La spavalderia salvifica, il proposito presuntuoso di rivoltare questa imperfetta Italia come un calzino non appartiene in esclusiva a Ilda. Un settore minoritario ma molto in ­fluente e arrogante della magistratura ha pensato e pensa a quel modo. La Boccassi ­ni e il collega Ingroia – devo confessare che, nonostante tutto, tra i due preferisco la signora rossa – hanno avuto di recente qualcosa da rinfacciarsi. Ma il loro imprinting politico è simile. Ingroia ha avuto la presunzio ­ne di fondare un partito – nato morto – che si chiamava, pensate un po’, Rivoluzione civi ­le. Questo signore dovrebbe rientrare nei ranghi della magistratura e nelle profittevoli sinecure guatemalteche. Lo scandalo sta nell’affermare che vi sono magistrati osten ­tanti sempre e dovunque la loro collocazio ­ne ideologica, o sta nel fatto che questi magistrati non siano estromessi dalle aule dei palazzacci? Fossero multati anche loro, per inadeguatezza e sfrontatezza, potremmo anche pagare senza recriminazioni quei 1OOmila euro. In effetti il linguaggio di Scar ­pino era accalorato. Ma in confronto a tipi che poi sono trasmigrati in politica, vedi De Magistris e Di Pietro, o a tipi che in politica ci stanno da togati, la sua era acqua fresca.


Sul caso Durnwalder-Napolitano, qui, qui, qui, qui.


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Bart