LETTERATURA: I MAESTRI: Il giovane Hemingway
4 Dicembre 2007
di Edmund Wilson
(da “Saggi Letterari 1920-1950”, Garzanti, 1967)
II 21 ottobre 1923, nella rubrica A Bookman’s Daybook, che Burton Rascoe teneva nell’edizione domenicale della New York Tribune, di cui era redattore letterario, apparve la seguente nota:
Passato da Mary e Edmund Wilson nel tardo pomeriggio, Wilson ha richiamato la mia attenzione su certe piacevoli cose di Ernest Hemingway nell’ultimo fascicolo della Little Review.(1) [Lewis] Galantière mi ha fatto avere una copia di Three Stories and Ten Poems di Hemingway, pubblicato a Parigi, dicendomi che lo avrei trovato interessante, ma an Âcora non ho avuto modo di leggerlo. Wilson era raffreddato e si è lagnato che il guaio a New York è che è difficile sen Âtirsi bene, che la città dà sui nervi e chi sta a Manhattan si busca continuamente il raffreddore.
Io ricevetti quindi la seguente lettera di Hemingway, che allora lavorava in Canada per un giornale:
11 novembre 1923
1599 Bathurst Street
Toronto, Canada
Caro signor Wilson,
ho veduto nelle note mondano-letterarie di Burton Rascoe che lei ha richiamato la sua attenzione su certe mie cose pubblicate nella Little Review.
Le mando Three Stories and Ten Poems. A quanto mi risulta, negli Stati Uniti non è stato ancora recensito. Ger Âtrude Stein mi scrive d’aver preparato una recensione, ma non so se è ancora riuscita a pubblicarla.
Qui in Canada non si riesce a saper niente.
Vorrei mandare delle copie per recensione, ma non so se metterci la dedica, com’è d’obbligo in Francia, o che altro. Essendo il mio nome sconosciuto e i libri poco appariscenti, farebbero probabilmente la stessa fine che col signor Rascoe, il quale dopo tre mesi non ha ancora trovato il tempo di leggere la copia inviatagli da Galantière (e gli basterebbe, per leggerla, un’ora e mezza).
La Contact Publishing Co. è McAlmon. Ha stampato Wm. Carlos Williams, Mina Loy, Marsden Hartley e Mc Almon.
Spero che il libro le piaccia. Se lo trova interessante, mi può fare avere i nomi di quattro a cinque persone a cui mandarlo per farlo recensire? Mi farebbe un gran piacere.
Il mio indirizzo è valido fino a gennaio, poi ce ne torneremo a Parigi. La ringrazio molto, sia che abbia o non abbia il tempo di farlo.
Cordialmente
Ernest Hemingway
Accusai ricevuta del libro appena mi giunse, dicendo che lo avrei probabilmente segnalato sul Dial, ed ebbi da Hemingway la seguente risposta:
25 novembre
1599 Bathurst Street
Toronto
Caro Signor Wilson,
la ringrazio moltissimo della lettera. È stato veramente gentile.
Il libro è un formato minimo. Mc Alman voleva pubbli Âcare una collana di volumetti con Mina Loy, W.C. Williams, ecc., e voleva metterci anche me. Così gli ho dato i racconti e le poesie. Sono contento che sia uscito, perché dopo pub Âblicato uno se lo lascia alle spalle.
Sono  molto contento che un po’ le sia piaciuto. Che io sappia, in tutti gli Stati Uniti è lei il solo critico la cui opinione mi ispiri rispetto. Mary Colum va bene qualche volta. Rascoe l’ha azzeccata su Eliot. Forse esistono dei buoni critici che io non conosco.
No, non credo che My Old Man derivi da Anderson. Parla di un ragazzo e di suo padre e di corse di cavalli. Sherwood ha scritto anche lui di ragazzi e cavalli. Ma in modo molto diverso. Il mio racconto deriva da ragazzi e cavalli. Anderson deriva da ragazzi e cavalli. lo non credo che ci sia alcuna somiglianza. Io so comunque che non mi sono ispirato da lui.
Lo conosco bene ma non lo vedo da parecchi anni. Il suo lavoro sembra sia andato in malora, forse perché a New York la gente gli ha troppo ripetuto quanto era bravo. Fun Âzioni della critica. A me piace molto. Ha scritto dei buoni racconti.
Forse sarebbe meglio rimandare la segnalazione sul Dial fino al mese prossimo, finché non esce In Our Time, così glielo mando. Lei potrà vedere dove sto cercando di arri Âvare, e potrebbe fare una sola recensione per i due libri.
Sono davvero contento che i pezzi di In Our Time pub Âblicati nella Little Review le siano piaciuti. Lì mi sembra di avercela fatta.
È inutile cercare di spiegarlo senza il libro.
È molto generoso da parte sua offrirsi di raccomandare un mio libro presso qualche editore. lo non ne conosco nes Âsuno.
Edward O’Brien m’ha scritto l’altro giorno chiedendomi l’autorizzazione a includere My Old Man nella sua anto Âlogia dei migliori racconti del 1923 e m’ha chiesto se po Âteva dedicarmi il libro: dato che non è ancora uscito, que Âsto resti fra noi. Stampa schifezze e cose buone. Mi ha do Âmandato se avevo abbastanza racconti per un volume Boni and Liveright. Non sa se questa vuol dire che potrebbe farmela pubblicare da loro. Quando sarà il momento le scriverò e le chiederò il suo parere, se non la disturba troppo.
The Enormous Room di E.E. Gummings è, fra i libri dell’ultimo anno, il migliore che io abbia letto. Qualcuno mi diceva che è stato un fallimento. Allora guardi One o f Ours. Premiato, un sacco di copie vendute, e gente che lo prende sul serio. Lei la guerra l’ha fatta, no? La scena fi Ânale, quella del fronte, non era magnifica? Lei lo sa da dove l’ha presa? Dalla scena della battaglia di Birth ot a Nation. L’ho riconosciuta punto per punto, catherizzata. Poveretta, le sue esperienze di guerra doveva pur farsele da qualche parte.
Quella cosa nella L.R. era uno scherzo.(2) L’ho scritta nel vagone ristorante mentre me ne tornavo a Losanna, reduce da un ottimo pranzo a casa di Gertrude Stein, ed ero rima Âsto a chiacchierare tutto il pomeriggio e avevo letto un mucchio di sue cose nuove e poi scolato una gran bottiglia di Beaune tutto da salo nel vagone ristorante. Al mattino, mentre aspettavo che riaprisse l’ufficio telegrafico, cercai di fare un’analisi della conversazione.
Gertrude Stein è insuperabile per analizzare qualsiasi cosa e per fare osservazioni su una persona o su un posto. È una testa magnifica. Una volta o l’altra mi piacerebbe re Âcensire un suo vecchio libro. Lei riesce dove Mencken e Marv Colum cascano e si sbucciano il naso.
La prego di scusare questa lunghissima lettera e la ringraz Âio di nuovo tanto per la sua lettera e l’ottimo consiglio. Avrei proprio piacere di vederla quando passeremo da New York.
Cordialmente
Ernest Hemingway
Venne a trovarmi, passando da New York, e poi mi mandò il primo In Our Time (col titolo tutto in minuscolo, in our time) stampato a Parigi nella primavera del 1924 in un’edizione di centosessanta copie dalla Three Mountains Press. Il volume conteneva solo undici dei quindici rac Âconti poi pubblicati nell’edizione Bani and Liveright del 1925.
Di in our time e Three Stories and Ten Poems, scrissi una recensione che apparve nel Dial dell’ottobre 1924. Benché in sé non sia gran cosa, io ne vado fiero perché, a quan Âto mi consta, è la prima critica su Hemingway che sia mai stata pubblicata. (Ad ogni modo non è compresa nella Bibliography of the Works of Ernest Hemingway di Louis Henry Cohn. Il primo articolo segnalato è del novembre 1925: ed è una recensione di Burton Rascoe all’edizione accresciuta di In Our Time).
Le puntesecche di Hemingway
Three Stories and Ten Poems, di Ernest Hemingway. 12mo, pagg. 58. Contact Publishing Company. Paris. $ 1,50.
In Our Time, di Ernest Hemingway. 12mo, pagg. 30. The Three Mountains Press. Paris. $ 2.
Le poesie di Hemingway non sono particolarmente im Âportanti, ma la sua prosa è di prim’ordine. Egli dev’essere annoverato come il solo scrittore americano, oltre Sherwood Anderson, che abbia capito la genialità di Three Lives di Gertrude Stein e ne sia stato palesemente influenzato. Si può anzi dire che la Stein, Anderson e Hemingway formino una scuola a sé. La caratteristica di questa scuola è un candore di linguaggio, spesso trasfuso nella parlata del personaggio, ed efficace nell’esprimere emozioni profonde e stati d’animo com Âplessi. Si tratta di un fenomeno tipico della prosa americana, nettamente distinto dai risultati più a meno felici realizzati in America nel filone tradizionale della prosa inglese: nei suoi momenti migliori, esso si è imposto artisticamente con l’evidenza di una limpida lama di luce in acque profonde.
Non che Hemingwav sia un imitatore. Al contrario, la sua originalità è rimarchevole, e negli asciutti quadretti di In Our Time egli ha quasi inventato una sua propria forma:
«Fucilarono i sei ministri alle sei e mezzo del mattino contro il muro d’un ospedale. C’erano pozze d’acqua nel cortile. C’erano foglie morte sul selciato del cortile. Pioveva forte. Le imposte dell’ospedale erano sbarrate e inchiodate. Uno dei sei ministri era malato di tifo. Due soldati lo por Âtarono dabbasso e poi fuori nella pioggia. Cercarono di far Âlo stare in piedi contro il muro, ma si accasciò in una pozza d’acqua. Gli altri cinque se ne stavano quieti contro il muro. Finalmente l’ufficiale disse ai soldati che era inutile cercare di farlo stare in piedi. Quando spararono la prima raffica, lui stava accasciato nell’acqua con la testa sui ginocchi. »
Hemingway riesce a suggerire assai efficacemente dei va Âlori morali mediante una serie di semplici enunciazioni di questo genere. Il suo libro più importante s’intitola In Our Time, e malgrado il suo modo freddo e obiettivo, esso costi Âtuisce un crudo repertorio della barbarie del nostro tempo: vi trovano non solo esecuzioni politiche, ma anche impiccagioni di criminali, corride, assassinii di polizia e le crudeltà e gli orrori della guerra. Hemingway ci parla di queste cose con tono imperturbato: egli non fa propaganda nemmeno per l’umanità . Le sue descrizioni di corride hanno la sec Âchezza tagliente e l’eleganza delle litografie di corride di Goya. E al pari di Goya, egli si preoccupa innanzi tutto di fare un buon quadro. Artista troppo orgoglioso per fare con Âcessioni al gusto corrente, egli mostra la vita così com’è. Ed sono propenso a ritenere che questo libretto abbia maggior unità artistica di qualsiasi altro libro sulla guerra finora scritto da un americano.
Forse non è il libro più vivido, ma è il più serio. Hemingway, che fa partecipare al lettore l’amarezza del soldato italiano agonizzante mentre decide di «fare una pace separata », non nutre alcun partito preso antimilitarista che lo induca a eliminare dal quadro la gioia degli uomini che avevano «issato di traverso al ponte una barricata assolu Âtamente perfetta » e poi si sentirono «terribilmente scon Âvolti quando appresero che il fianco aveva ceduto e bisognava ripiegare ». È solo nella debolezza, nell’esiguità di taluni suoi effetti che Hemingway fallisce. Penso special Âmente al racconto intitolato Up in Michigan, che avrebbe potuto riuscire un capolavoro, ma ha invece il curioso di Âfetto di descrivere personaggi rudi e primitivi dandone un ritratto piuttosto incerto.
In Our Time ha una bella e assai divertente copertina, realizzata con un montaggio di ritagli di giornale. La mia sola obiezione alla veste grafica è che i titoli sono scritti tutti in minuscolo, così: «in our time di ernest hemingway. Pa Âris ». Questo espediente, che ebbe una certa efficacia allorché i modernisti la usarono per le prime volte per attirare l’at Âtenzione sulla novità di ciò che essi offrivano, adesso sta ve Ânendo a noia. I pubblicitari americani vi ricorrono ormai normalmente. Ed è così sgradevole a vedersi, che ci si augu Âra non debba diventare – come nel caso del libro di He Âmingway e della transatlantic review di Hueffer (3) – una specie di distintivo delle novità più fresche e interessanti della letteratura contemporanea.
Ottobre 1924
A proposito di questa recensione, Hemingway mi scrisse la seguente lettera:
18 ottobre 1924
113 Rue Notre Dame des Champs
Paris VII
Caro Wilson,
la ringrazio molto della recensione apparsa nel numero di ottobre del Dial. Mi è piaciuta molto. Ha perfettamente ragione per le minuscole – a me pareva una cosa molto stu Âpida e affettata – ma Bird aveva fatto così e dato che stam Âpava In Our Time a sue spese e questa era la sola soddisfa Âzione che potesse aspettarsene, pensai di lasciar correre e che facesse le stupidaggini che voleva, se gli piaceva così. Pur Âché non facesse scherzi con il testo.
Sono immensamente contento che le sia piaciuto.
Ad ogni modo, lei come sta? È riuscito ad avere Chaplin per il suo balletto?
Noi abbiamo fatto vita tranquilla, lavorando sodo, tran Âne un viaggio in Spagna, a Pamplona, dove ci siamo diver Âtiti parecchio e io ho imparato un sacco di cose sulle corride, sui retroscena dell’arena. Abbiamo avuto diverse piccole av Âventure.
Ho lavorato come un dannato quasi tutto il tempo e credo che le mie cose riescano meglio. Ho finito il volume di 14 racconti con un capitolo di In Our Time tra un racconto e l’altro – perché è così che pensavo di utilizzarli – in ma Âniera da dare il quadro generale e intanto esaminarne i par Âticolari. Come guardare qualcosa a occhio nudo, per esem Âpio una costa che ci passa davanti, e poi osservarla con un binocolo a 15 ingrandimenti. O meglio, forse, come andarci a vivere dopo averla guardata, e poi venirne via e tornare a guardarla.
Ho mandato il libro a Don Stewart (4) al Yale Club circa tre settimane fa. Mentre era qui s’era offerto di cercare di piazzarlo per me. Credo che a lei piacerebbe, è piuttosto unitario. Già in certi racconti di In Our Time credo d’aver reso molto bene sia i personaggi che l’ambiente: dà soddi Âsfazione quando ci si riesce. Adesso mi sento proprio di avercela fatta.
Pensa di venirsene qui, quest’inverno? Probabilmente resteremo a Parigi tutto l’inverno. Troppi pochi soldi per an Âdar via. Il piccolo cresce assai bene e robusto. Hadley si eser Âcita al piano.
Le mando da parte sua i migliori saluti per lei e la signora Wilson.
Spero che lei stia bene e passi un buon inverno. Sarei contento di avere sue notizie e ho molto apprezzato la recensione. ÂEra fredda e chiara e appropriata e impersonale e cordiale. Cristo come odio quelle orribili critiche soggetti Âve! Si ricorda quando le scrissi da Toronto che avevo bisogno di recensioni e di un po’ di pubblicità ? Be’, ne ho avute e m’hanno dato il voltastomaco.
Credo che non ci sia niente di più scoraggiante della lode senza intelligenza. Non proprio scoraggiante; come la sensazione di Âqualcosa che ci venga ricacciato dentro. Un bello spirito ha detto che In Our Time è una serie di brevi qua Âdretti che rivelano un buon talento, ma anche un’evidente influenza di Ring Lardner. Sì, d’accordo! È roba buona an Âche quella. Non è questo che mi secca. Ma certi bastardi parolai e sentimentali. Lei è il solo critico che io riesca a leggere anche quando parla di un libro che conosco o di cui so qualcosa. Riesco a leggere chicchessia, purché scriva di cose che non conosco. L’intelligenza è così maledettamente rara e quelli che la possiedono ne hanno spesso tali guai che s’incarogniscono o si buttano alla propaganda, e così si sprecano.
Coi migliori auguri a lei e a sua moglie.
Cordialmente suo
Ernest Hemingway
Questo What Price Glory? è proprio un buon dramma. Non voglio dire come spettacolo: è bello anche da qui.
Ho saputo poi in seguito che la mia recensione a In Our Time noni era stata la prima. Un’altra nota, a firma M.R., era già apparsa a Parigi nel numero di aprile del 1924 di the transatlantic review.1953.
(1) Si trattava di In Our TÃÂme, compresi sei dei brevi sketches che apparvero in seguito nei due volumì dallo stesso titolo, e una poesia satirica in prosa intitolata They Made Peace – What Is Peace?
(2) The Made Peace – What Is Peace?
(3) Ford Madox Ford, il cui nome di famiglia era appunto Hueffer.
(4) Donald Ogden Stewart.
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Commento by felice muolo — 9 Dicembre 2007 @ 09:39
Ti ringrazio per la grande emozione che mi hai dato, nel leggere le lettere di Hemingway giovane apprendista scrittore. I grandi della letteratura erano come noi, in perenne ricerca di appoggi e spazi per potersi esprimere. Nulla è cambiato sotto il sole. E ciò è confortante nonchè di incoraggiamento.
Commento by Bartolomeo Di Monaco — 9 Dicembre 2007 @ 09:40
La prossima volta, Felice, Wilson parlerà del giovane Fitzgerald. Anche in questo caso l’articolo sarà molto interessante, vedrai.
Commento by felice muolo — 9 Dicembre 2007 @ 09:58
Sono i due scrittori che ho amato di più da giovane e che porto tuttora nel cuore. Veri insuperati maestri dello stile letterario.
Commento by Bartolomeo Di Monaco — 9 Dicembre 2007 @ 10:21
Sono andato a controllare la programmazione. L’articolo di Wilson sarà pubblicato qui domani. Quando lo leggerai, tieni presente che Wilson e Fitzgerald divennero poi amici e fu Wilson a curare e far pubblicare Gli ultimi fuochi, rimasto incompiuto.
Commento by matteo — 12 Dicembre 2007 @ 18:17
Bartolomeo, anche per me la cosa è decisamente interessante. Di Hemingway ho letto ogni racconto breve che abbia scritto, per cercare di carpire qualcosa di utile. Il risultato non credo si veda, ma per lo meno mi sono divertito nella lettura.
Commento by Bartolomeo Di Monaco — 12 Dicembre 2007 @ 19:55
Tu sei bravo a scrivere, Matteo. I tuoi racconti sono belli.