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Il numero dei parlamentari

25 Maggio 2009

Ne stanno succedendo di tutti i colori. La campagna elettorale europea si sta dimostrando un salotto assai ciarliero in cui i partiti trascorrono la maggior parte del tempo a litigare senza che a nessuno di loro passi per la testa di dirci qualcosa dell’Europa.
Ci hanno intrattenuto, e ancora ci intrattengono, sul caso Veronica Lario, sul caso Noemi Letizia, sugli immigrati, sulla sentenza Mills, ed oggi sulla riduzione del numero dei parlamentari (badate, riduzione che non riguarda – come si potrebbe pensare – il parlamento europeo; no, riguarda il parlamento italiano). Ossia, si discute di tutto fuorché dei problemi legati alle elezioni europe, di cui non sappiamo letteralmente nulla a poca distanza dal 6 e 7 giugno, quando tutti noi andremo a votare.

In questi giorni in ballo c’è la provocazione di Berlusconi di voler procedere alla riduzione dei membri del parlamento attraverso una legge di iniziativa popolare.
Apriti cielo! È tornato subito il ritornello che Berlusconi vuole far fuori il parlamento ed ergersi così a dittatore del nostro Paese.
Voglio ricordare che il tema della riduzione del numero dei deputati e senatori non è nuovo. Berlusconi non ha portato nessuna novità. Sono convinto che, come accade sempre più di frequente, Berlusconi anche questa volta, abbia usato la sua ben nota strategia. Lancia il sasso, provoca la reazione e grazie ad essa mette il tema al centro dell’attenzione dei partiti e dei cittadini. La sinistra non l’ha ancora capito e fa da cassa di risonanza. Berlusconi lo sa, e ne approfitta.
Dico questo, perché sono convinto che non si ricorrerà a nessuna raccolta di firme dei cittadini, ma si procederà con un disegno di legge che consentirà a tutti i partiti di dire la loro.
Berlusconi il successo l’ha già incassato, però. Ha fatto tornare di attualità il tema e quando il disegno di legge (che i suoi fidi gli consiglierranno di preferire alla raccolta di firme) sarà presentato, i partiti dovranno uscire allo scoperto e dire se questa riduzione la vogliono o meno.
Mi pare di capire che ci si stia orientando per il sì, o quantomeno non ci siano nette opposizioni alla riduzione del numero dei parlamentari. È bastata dunque una semplice provocazione per avviarci a discutere un tema che era stato accantonato dai partiti e che invece interessa i cittadini.
Dunque, ancora una volta con la sua abilità Berlusconi si è fatto un solo boccone della opposizione, troppo nervosa ed impulsiva.
Ora la domanda: È necessaria questa riduzione? Ritengo di sì. Perché? Perché nonostante le modifiche apportate via via ai regolamenti, continuano ad essere lunghi i tempi delle approvazioni delle leggi. Solo la magistratura è più lenta del parlamento. Il male di cui ci lamentiamo riguardo al frequente ricorso ai decreti legge, trova le sue radici nella lunghezza dei tempi per approvare una legge dello Stato.
Provate a guardare una seduta del Parlamento (l’uno o l’altro ramo è indifferente). Vedrete deputati e senatori dello stesso partito prendere la parola per dire le stesse cose. Una esibizione, qualche volta, per mostrarsi attivi davanti al proprio seggio di elezione.
Giulio Mozzi qui intitola: “Più parlamentari per tutti”, nel senso, se non ho capito male, che più parlamentari seggono in parlamento, più ci saranno possibilità per i cittadini di portare all’attenzione della politica le proprie istanze.
Ritengo sbagliata questa convinzione, perché sul territorio a raccogliere le istanze dei cittadini ci sono i partiti. Se essi fanno bene o male il loro mestiere, è un altro discorso. Sta di fatto che sono i partiti che scelgono gli uomini che andranno a rappresentarci in parlamento. Ossia il partito non è una entità morta, ma è l’entità che lega (o dovrebbe legare) la politica al territorio.

Non so dire se il numero ipotizzato da Berlusconi (300 deputati e 150 senatori) sia idoneo a migliorare la funzionalità del parlamento. Credo che, se c’è in tutti la volontà di snellire questa macchina pesante e difettosa, si potrà anche individuare una consistenza diversa, fatto salvo che essa dovrà garantire un parlamento all’altezza dei temi che pone una società moderna e globalizzata.

La stessa snellezza dovrebbe richiedersi (con numeri rigidi e invalicabili) agli altri parlamentini locali.
Così pure ai governi, sia quello nazionale che quelli locali, spesso soggetti a pruriginose elasticità per assicurare posti a questo o a quest’altro alleato.


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5 Comments

  1. Commento by giuliomozzi — 26 Maggio 2009 @ 07:24

    “Nonostante le modifiche apportate via via ai regolamenti, continuano ad essere lunghi i tempi delle approvazioni delle leggi”. Il problema non è se i tempi sono “lunghi”, ma se sono “troppo lunghi”. Come si fa a stabilire quando un tempo è “troppo lungo”? Qual è il tempo ideale per l’approvazione di una legge? E’ sensato prevedere per qualsiasi tipo di legge un tempo ideale uguale? E’ sensato prevedere per diversi tipi di legge diversi tempi ideali?

    “Sul territorio a raccogliere le istanze dei cittadini ci sono i partiti. Se essi fanno bene o male il loro mestiere, è un altro discorso”. Il fatto che sia un “altro discorso”, comporta che sia un discorso del quale non bisogna tenere conto?
    Ad esempio. Tutti hanno diritto di accesso all’istruzione. Tuttavia ci sono famiglie che non hanno abbastanza quattrini per mandare i figli a scuola. Questo è un “altro discorso”? Ovvero: l’organizzazione della scuola deve o non deve tener conto del fatto che ci sono famiglie che non hanno abbastanza quattrini per mandarci i figli? Fine dell’esempio.

    Nel riassumere la mia opinione, Bartolomeo, hai dimenticata una cosa importante. Ossia che il mio ragionamento riguarda il “qui e ora”.
    Se in questo momento storico – e diversamente da quel che avveniva, ad esempio, negli anni Settanta e Ottanta – i partiti non sono in grado di “raccogliere le istanze dei cittadini”, allora forse in questo momento storico la riduzione del numero dei parlamentari è cosa di dubbia opportunità.

    “È tornato subito il ritornello che Berlusconi vuole far fuori il parlamento ed ergersi così a dittatore del nostro Paese”. Il fatto che si tratti di un “ritornello”, o di un “luogo comune”, non comporta che l’affermazione sia falsa.

  2. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 26 Maggio 2009 @ 10:00

    Grazie di essere venuto qui, dove posso rispondere “meglio”.

    Tutto il tuo ragionamento di cui sopra ha questo difetto, che io, forse malamente, ho cercato di anticipare con questa frase: “Sta di fatto che sono i partiti che scelgono gli uomini che andranno a rappresentarci in parlamento.”
    Il che significa che i parlamentari restano comunque espressione di un corpo malato. C’è un detto popolare che recita, mi pare: “Se tanto mi dà tanto…”
    Nessun parlamentare, inoltre, può coprire il territorio come lo può coprire un partito.
    Tu mi risponderai, presumo: “Ci sono parlamentari che si impegnano a mantenere legami con il territorio.”
    Io ti direi, allora: “Ci sono sezioni di partito che si impegnano a mantenere legami con il territorio”.
    Dobbiamo perciò restare al centro della questione: il partito è per elezione e vocazione il miglior tramite per tradurre politicamente le istanze del cittadino.

    Questa mia considerazione è valida sempre e resta perciò attuale e secondo me ineccepibile, anche ai giorni nostri.

    Detto questo, rispondo ad altre tue domande:

    1 – I tempi lunghi. Intendevo troppo lunghi (mi pareva implicito dal momento che formulavo una denuncia). Tuttavia, restano le tue domande circa la definizione di “lunghezza dei tempi”. Intanto, potresti indirizzarle a qualsiasi altra istituzione. Per esempio: alla magistratura: Come si fa a stabilire quando un tempo è “troppo lungoâ€? Qual è il tempo ideale per l’emanazione di una sentenza? E’ sensato prevedere per qualsiasi tipo di sentenza un tempo ideale uguale? E’ sensato prevedere per diversi tipi di sentenze diversi tempi ideali?
    Potresti rivolgerle, queste domande, alla burocrazia e ai parlamenti e ai governi dei Comuni, delle Provincie, delle Regioni. E poi ad alcuni Istituti del parastato: INPS, ad esempio).

    I tempi sono troppo lunghi quando la loro lunghezza va a cozzare con le esigenze dei cittadini o del Paese. Per esempio: se la maggioranza eletta dai cittadini ritiene importanti alcune riforme (della Costituzione, della magistratura, dell’apparato pubblico: sono solo esempi che faccio al fine di farmi capire), e queste riforme stentano a partire significa che nel parlamento qualcosa non va. Ho fatto l’esempio di parlamentari di uno stesso schieramento che si alzano per dire le stesse cose dette dai colleghi, oppure dei regolamenti che non riescono a sciogliere nodi di inefficienza. Non se ne viene fuori: il parlamento italiano ha tempi “troppo” lunghi per varare una legge (eppure quando si devono aumentare lo stipendio fanno in fretta e in silenzio), e talune riforme considerate dalla maggioranza dei cittadini utili al Paese non riescono a decollare, impedendone o ritardandone, dunque, i presunti effetti benefici.
    La riduzione del numero dei parlamentari può essere, secondo me, una strada da percorrere e da sperimentare.
    Nella mia esperienza di dirigente sindacale, e di membro di altri consigli direttivi, ho potuto rendermi conto che quando l’organismo è snello (ossia non ci sono troppe teste, ognuna con le proprie idee) si riesce a decidere in tempi rapidi e, soprattutto, si riesce a decidere meglio nell’interesse dei rappresentati. Credo che ciò possa valere anche per gli organismi delle istituzioni politiche. Ossia: un numero più ridotto non significa automaticamente che si incrina la democrazia nel Paese, e che le decisioni che si assumono siano difettose o non aderenti alle necessità del Paese.

    2 – I partiti e: “un altro discorso”. “Un altro discorso” significa che questo aspetto avrebbe bisogno di una trattazione a parte, più approfondita. Bisognerebbe analizzare perché si è andato allargando il distacco dei partiti dai cittadini; perché i cittadini non avvertono più, per la maggior parte, il bisogno di consegnare le loro istanze ai partiti, ma piuttosto ad altri (movimenti, associazioni, e così via); perché si sono fatti una pessima opinione della politica, e via discorrendo.

    3 – La dittatura. C’è un altro articolo che ho scritto intitolato “L’imperatore e la campagna elettorale”, dove condivido quanto dichiarato da Veronica Lario sul punto della dittatura. Dice la Lario: “Mio marito insegue lo spirito di Napoleone, non di un dittatore. Il vero pericolo è che in questo Paese la dittatura arrivi dopo di lui, se muore la politica come temo stia succedendo.”. La morte della politica non dipende da Berlusconi, ma dai partiti. Anch’io esamino il problema della dittatura “qui e ora”, e al momento sul punto della dittatura sono d’accordo con Veronica Lario.

  3. Commento by Felice Muolo — 26 Maggio 2009 @ 10:46

    Battuta?
    Non bisogna avere paura della dittatura. Quando non funziona, come la storia insegna, segue subito la restaurazione.

  4. Commento by giuliomozzi — 26 Maggio 2009 @ 10:57

    “Sta di fatto che sono i partiti che scelgono gli uomini che andranno a rappresentarci in parlamento”.
    Già abbiamo la sciagura delle liste bloccate e dei candidati “catapultati”: dobbiamo aggiungerci anche la diminuzione del numero dei parlamentari?

    Dalle mie parti le sezioni di partito sono morte e defunte. Resta qualcosa del Pd: una sopravvivenza.

    Invece, è abbastanza facile raggiungere i parlamentari (ad esempio via FaceBook; e non sto scherzando).

    Scrivi: “Nella mia esperienza di dirigente sindacale, e di membro di altri consigli direttivi, ho potuto rendermi conto che quando l’organismo è snello (ossia non ci sono troppe teste, ognuna con le proprie idee) si riesce a decidere in tempi rapidi”. Sono d’accordo. Un organismo direttivo deve essere “snello”. Un organismo rappresentativo non ha questa esigenza. L’assemblea dei soci e il consiglio d’amministrazione sono due cose ben diverse. Nell’assemblea dei soci va garantita la rappresentatività di tutti i soci. Nel consiglio d’amministrazione no. Eccetera.
    Bartolomeo, non confondere rappresentanza e direzione. Ti ricordi la famosa dottrina della separazione dei poteri? Pensi che sia da rottamare?

    Scrivi: “Bisognerebbe analizzare… perché i cittadini non avvertono più, per la maggior parte, il bisogno di consegnare le loro istanze ai partiti, ma piuttosto ad altri (movimenti, associazioni, e così via)”. A me risulta che anche movimenti e associazioni siano agonizzanti. Le istanze non vengono più consegnate a nessuno. Addirittura: quanti sono quelli ai quali non viene più nemmeno in mente di poter avere delle istanze?

    Scrivi: “La morte della politica non dipende da Berlusconi, ma dai partiti”. Quindi anche dal partito di Berlusconi, giusto?

  5. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 26 Maggio 2009 @ 12:13

    Guarda, Giulio, se mi dici che la politica e i partiti fanno schifo o sono entrambi agonizzanti, sfondi una porta aperta, con me andresti a nozze. Ci ho scritto un libro: “Cencio Ognissanti e la rivoluzione impossibile” (del quale più si allontanano gli anni da quel periodo preso in esame – 1995/1996 -, più avverto l’efficacia, anche profetica, della denuncia), libro che potresti scaricare gratis qui:

    https://www.bartolomeodimonaco.it/?page_id=56

    Visto che ti interessi di queste cose, il libro, sebbene voluminoso, è ricco di documentazione, che ancora conservo in scatoloni tenuti in soffitta. Dovrebbe darti un’idea di ciò che penso della politica, del parlamento e dei partiti.

    Sta di fatto che i partiti hanno (avrebbero) il compito di raccogliere le istanze dei cittadini. Tutto il vuoto nasce da una malattia della politica che viene da lontano. Pensa all’origine del debito pubblico, diventato abnorme e difficilmente sanabile. Nemmeno l’operazione Mani pulite (che ha avuto meriti e demeriti) è servita a qualcosa.

    E’ vero che sono agonizzanti anche le altre istituzioni, forse si salva il volontariato (salvo i casi denunciati dal libro “A casadidio” di Giorgio Morale).

    Facebook e internet in genere (i parlamentari e i politici coi loro siti) non hanno attinenza diretta con il numero dei parlamentari che devono fare le leggi. Sono i moderni strumenti di comunicazione, che possono adoperare tutti, dal singolo parlamentare, al singolo uomo politico, anche se non parlamentare, ai singoli partiti. Questa è la fase che può essere definita della raccolta delle istanze.

    Noi stiamo parlando invece della Istituzione Parlamento, un organo dello Stato, che deve funzionare bene nel momento che attende al varo di una legge. Se tu, come sembra, legassi il numero dei parlamentari all’efficienza del parlamento e in generale all’efficienza della politica (ossia: più parlamentari migliore politica), si darebbe il paradosso che invece di ridurli i parlamentari li si dovrebbe raddoppiare.

    La raccolta delle istanze coi nuovi strumenti di internet, non ha niente a che vedere con l’efficienza del parlamento.

    La morte della politica dipende certamente da tutti i partiti (si pensi a quelli piccoli che durante il governo Prodi facevano a gara a litigare) e dipende anche dal partito di Berlusconi. Berlusconi è il prodotto anomalo (un imperatore che regge una repubblica) di una democrazia malata (e corrotta) da molti anni. Il consenso ampio a Berlusconi è il risultato della stanchezza che i cittadini nutrono nei confronti di questa inefficiente, rumorosa e fannullona politica (Tasse, solo tasse. Per il resto molte facili e accattivanti promesse e pochi fatti).

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