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LETTERATURA: I MAESTRI: Il Polonio dei letterati: sulle riviste e chi le fa

29 Novembre 2007

di Edmund Wilson
(da “Saggi Letterari 1920-1950”, Garzanti, 1967)

Consigli ai collaboratori e ai direttori

Bisogna tener presente anzitutto che il direttore di una rivista è non già un’entità autonoma, bensì una parte di quell’organismo più vasto che si chiama rivista.

Le rivi ­ste, come altri organismi viventi, si sviluppano secondo certe leggi e sono soggette a regolari cicli di esistenza. Questi cicli possono variare nella durata, da alcuni anni sol ­tanta a molti anni; ma tutti seguono la stessa parabola (a meno che non vengano interrotti da una fine prematura): c’è una giovinezza, una maturità e una vecchiaia. Nei suoi primi anni di vita una rivista può apparire spontanea, origi ­nale e coraggiosa; ma una volta raggiunta la maturità la ri ­vista ha ormai, come si dice, «presa la sua piega » e soc ­combe ad una forza di inerzia contro la quale anche il più giovane e più fresco direttore è assolutamente impotente al pari del più vecchio e più stanco. Così la rivista invecchia, decade e muore.
Le riviste traggono la loro ragion d’essere dal rapporto che si stabilisce tra il modo di pensare di chi le dirige e il modo di pensare di chi le legge. È raro però che esse rap ­presentino completamente il loro direttore o ne rappresen ­tino la parte migliore; e di solito esse non danno ai lettori tutto ciò che i lettori vorrebbero. Ma il rapporto, una volta stabilito, non può evidentemente essere mutato. Sia al di ­rettore che al lettore la rivista può venire a noia; ma a que ­sto punto sarà impossibile rinnovarla o ripartire da zero. Ai suoi lettori, come pure ai suoi collaboratori, il direttore può apparire timido, pedante, privo di fantasia, ossessionato da schemi fissi. Ma chiunque abbia avuto a che fare con la reda ­zione di una rivista sa che c’è sempre un potere superiore che decide di tutte le questioni importanti: è la rivista stessa, co ­me entità a se stante. E questa entità finisce per assumere un carattere assolutamente metafisico che non ha nulla a che vedere con considerazioni di natura commerciale. Si potrà spesso dimostrare che un radicale cambiamento di in ­dirizzo aumenterebbe la diffusione della rivista; ma un si ­mile cambiamento è altrettanto inattuabile della trasfor ­mazione di un animale in altro di altra specie mediante trapianti di ali o artigli.
Le riviste non possono nascere due volte. A una rivista si può, al massimo, rifare la faccia, come a una signora: il suo aspetto potrà, visto un po’ da lontano, risultare mi ­gliore, ma rivelerà ad un più attento esame una ancor più miserevole condizione di senilità. Oppure, come nel caso del vecchio Dial, una rivista può essere deliberatamente fat ­ta morire e la sua testata ripresa per una nuova rivista. Ma, altrimenti, il massimo che si possa sperare è che una rivista trascorra la sua vecchiaia in confortevole tranquillità senza scadere dal suo livello originario: troppo spesso invece deve trascinarsi in una condizione di rimbambimento o di deca ­denza che disgusta gli antichi lettori.

Doveri del direttore verso il collaboratore

Come si vede, è assai limitato l’ambito in cui il direttore può esercitare una volontà indipendente: esso si limita in ­fatti unicamente agli aspetti pratici dei rapporti con i col ­laboratori. La scelta del materiale è determinata dalla su ­periore volontà della rivista; ma il direttore può essere più o meno pronto nel registrare e nel trasmettere al collabora ­tore le decisioni che da tale superiore volontà gli pervengo ­no: e la pronta comunicazione delle decisioni è uno dei fon ­damentali doveri del direttore verso i collaboratori. II diret ­tore ha un impiego regolare; lo scrittore invece molto spesso non l’ha e può darsi che per vivere abbia bisogno di ven ­dere ciò che scrive. Di solito vuole quindi una risposta im ­mediata, ancorché negativa; ciò gli consentirà almeno di in ­viare ad altri il suo manoscritto.
Alcuni direttori sono bravissimi nello svolgere questo com ­pito: Mencken e Nathan, per esempio, sapevano dare rispo ­ste immediate e definitive; molti direttori invece o sono vittime della cattiva organizzazione redazionale ovvero non hanno alcun riguardo per gli scrittori e con la loro negligen ­za o perplessità causano loro amarezza, esasperazione e tal ­volta anche privazioni vere e proprie.
Una volta accettato, un testo dovrebbe essere pagato se ­duta stante (se la situazione finanziaria della pubblicazione lo consente); e, una volta accettato, dovrebbe essere pubblí­icato. Quanto al pagamento, il metodo migliore è quello di un settimanale di New York che acclude direttamente l’as ­segno alla lettera di accettazione. Quanta alla pubblicazione, va detto che vi sono talvolta delle circostanze attenuanti che lo scrittore dovrebbe comprendere e scusare. Può darsi che uno dei redattori abbia sollecitato l’accettazione di un mano ­scritto, che un altro o altri redattori poi boicottano consape ­volmente o inconsapevolmente; ovvero può darsi che un di ­rettore boicotti un manoscritto da lui stesso accettato. Tenuto conto, tuttavia, di un certo piccalo margine di dubbio o di divergenza da parte dei direttori, bisogna dire in linea gene ­rale che lo scrittore ha giusto motivo di lamentarsi quando un direttore accetta il suo manoscritto e poi lo rifiuta di fatto tenendolo nel cassetto.
Nei rapporti tra direttore e collaboratore esterno c’è poi un altro e ben più grave motivo di incomprensione e risen ­timento, che spesso danneggia seriamente il collaboratore e talvolta lo stesso direttore della rivista; ed è quello di non mettere bene in chiaro le cose sin dall’inizio: fare delle pro ­poste chiare e poi mantenerle in seguito tocca evidentemente al direttore e talvolta ciò non rappresenta un compito facile: lo scrittore, infatti, desideroso com’è di collaborare, farà a volte di tutto per scambiare un vago segno di interesse per un vero e proprio impegno del direttore ad acquistare il suo ar ­ticolo. Ma ogni direttore che sia minimamente consapevole dei doveri richiesti dalla sua posizione imparerà a precisare senza equivoci se un articolo è commissionato o meno e, una volta assunto l’impegno, a mantenervi fede. Se il ma ­noscritto presentato non va, egli non è assolutamente tenuto a pubblicarlo; ma certamente è tenuto a pagarlo e a resti ­tuirlo all’autore, in modo da lasciare a quest’ultimo la pos ­sibilità di collocarlo altrove.

Doveri del collaboratore esterno verso il direttore

D’altro canto il collaboratore esterno dovrà lasciare al di ­rettore il tempo necessario perché possa prendere una deci ­sione e non dovrà assillarlo per lettera o per telefono prima di almeno due settimane.
La scrittore dovrà presentare il suo articolo sempre in dat ­tiloscritto e non dovrà mai inviarlo alla rivista con una lun ­ga lettera di accompagnamento; anzi, a meno che non sia amico di uno dei redattori, non dovrà inviare nessuna let ­tera. In primo luogo, queste lettere vengono raramente let ­te; e, in secondo luogo, esse finiscono di solito con l’indisporre il destinatario anziché stimolarne l’interesse per l’articolo. Il direttore maldisposto può anche diventare ingiusto, soprat ­tutto se lo scrittore è un novellino e ha creduto di far cosa normale rivolgersi direttamente a lui (dal momento che è di solito quest’ultimo a rispondergli a nome della rivista) in termini amichevoli e talvolta molto familiari. Ma a questi scrittori dobbiamo dire che la lettura dei dattiloscritti è una delle più faticose incombenze di un direttore, il quale rifiu ­terà spazientito di sobbarcarsi anche a quella di leggere lun ­ghe lettere. I testi devono parlare da sé: le lettere non po ­tranno mai migliorarli. Se lo scrittore conosce uno dei di ­rettori, e crede che sia ben disposto verso di lui, può indi ­rizzargli personalmente il suo scritto (benché certe riviste siano contrarie a questo sistema): può darsi che la risposta gli arrivi prima. Ma in nessun caso dovrà scrivere più di una riga.

Delle diverse specie di autori

I rapporti fra autori e critici costituiscono per i primi un continuo motivo d’angoscia: per capire il perché, dobbiamo anzitutto vedere chi sono gli autori.
Gli autori sono per lo più degli individui preoccupati di costruire e di popolare dei mondi intellettuali personali; essi possono dividersi all’incirca in tre categorie:
1) Narratori. I romanzieri e gli autori di racconti sono scrittori che elaborano fantasie su personaggi immaginari. Può anche darsi che questi scrittori siano in buoni rapporti tra loro, ma i loro mondi immaginari tendono comunque ad escludersi. Dall’atteggiamento reciproco, poca generoso, che ne consegue, si è quindi indotti talvolta a concludere super ­ficialmente che siano individui eccezionalmente vanitosi e invidiosi. Ma non è sempre così. II narratore-tipo che si li ­mita a reagire alle sollecitazioni della vita senza avere nes ­sun vasto interesse filosofico o storico riterrà del tutto natu ­ralmente che l’opera di un altro scrittore dello stesso genere, specialmente se lavora su un materiale analogo, sia un’inter ­pretazione mostruosa o un deliberato travisamento.
2) Poeti. I poeti sono oggi scrittori che usano la tecnica del verso. Questa tecnica, benché usata dagli antichi quasi per ogni forma di espressione e di documento, dalla lirica al teatro e all’epica, dai testi giuridici ai trattati di medici ­na, è stata confinata oggigiorno a funzioni di tipo spe ­cialistico. Mentre il romanziere si occupa di personaggi, av ­venture e situazioni, il poeta si limita di solito ad espri ­mere emozioni e stati d’animo o a descrivere semplicemente persone ed oggetti. Di conseguenza il mestiere di poeta comporta ben raramente un lavoro ad orario pieno, e il poeta ha dunque vasti spazi della sua vita che non sono riempiti dall’attività letteraria vera e propria e nei quali egli si dedica assai spesso ad una specie di politica letteraria. I poeti si costituiscono in gruppi che, nelle loro diverse combinazioni, scissioni e riunificazioni, nelle discussioni, nelle pre ­se in giro, nelle accese polemiche, tendono a mantenerli in uno stato di eccitazione. In questo loro istinto di gruppo i poeti assomigliano in qualche modo ai pittori, benché questi, per il semplice fatto di svolgere un’attività ma ­nuale vera e propria anziché un’attività puramente intellet ­tuale, debbano eseguire una certa quantità di lavora fisico che li stanca e non siano quindi così litigiosi come i poeti. I rapporti tra i vari gruppi di poeti corrispondono più o meno ai rapporti che intercorrono fra i singoli romanzieri.
3) Critici e autori di scritti scientifici e filosofici. Questa categoria comprende tutti quegli scrittori che si propongono di esporre o interpretare eventi noti o di indagare la natura della realtà. Essi sono a volte capaci di un tipo di collabora ­zione pressoché sconosciuto ai romanzieri e ai poeti, e questo perché, essendo i fatti stessi oggetto dello scrivere, per accer ­tarli e coordinarli non basta di solito una sola persona; quan ­do poi si entra nel campo della matematica o della metafisi ­ca, può succedere che lo sviluppo dei vari aspetti di una stesso argomento impegni anche un gruppo di parecchie persone. Ma, se non di rado numerosi esperti riescono a lavorare in ­sieme su un argomento specifico, spesso il gruppo stesso o persone autorevoli di un qualche settore tentano di instaura ­re situazioni di monopolio: questo può provocare grandiosi conflitti simili a scontri di mostri immani e leggendari. C’è poi da dire che i critici letterari possono sviluppare le ca ­ratteristiche peggiori di tutte le altre categorie di scrittori. (Si potrebbe parlare anche di una quarta categoria, costi ­tuita dagli autori di storia e di biografie romanzate, da col ­locarsi fra la prima e la seconda delle categorie elencate; la verità è che i produttori di questo genere di libri non sono da considerarsi veri e propri scrittori, bensì una specie di chi ­mera in cui gli editori sembrano credere nei periodi di favo ­revole congiuntura.)

Gli autori appartenenti a tutte queste categorie sono incli ­ni a pensare che i mondi da loro creati abbiano una qual ­che validità generale: tanto è vero che restano assai male quando altri mettono in dubbio o contestano la loro tesi.
In questo senso l’autore resta turbato il più delle volte da coloro che recensiscono i suoi libri. Per un autore la lettura delle recensioni, favorevoli o no, costituisce una delle più sconcertanti esperienze di vita. Per mesi o per anni egli ha lavorato per mettere a fuoco una qualche teoria o per for ­mulare una tesi valevole e poi vede il suo libro discusso da persone che non solo non lo capiscono, ma che in taluni casi sembrano addirittura non averlo letto. In ventidue recensio ­ni su ventiquattro si verifica o che il recensore si limita alla semplice descrizione, talvolta nemmeno esatta, del contenuto del libro (e queste recensioni risultano spesso copiate parola per parola l’una dall’altra) o che i suoi giudizi, positivi o ne ­gativi, hanno agli occhi dell’autore scarsa o nessuna atti ­nenza al libro che egli crede di aver scritto. Dopo la gioia e la soddisfazione di aver portato a termine il libro, la let ­tura delle recensioni può dunque procurare all’autore tanta amarezza che si capisce come certi scrittori, appena lette le ultime bozze, partono alla volta delle più remote con ­trade del mondo.
Per capire come mai il recensore deluda a tal punto l’auto ­re, dobbiamo vedere un po’ chi sono questi recensori e in quali condizioni svolgono il loro lavoro.

Sui recensori

I recensori possono dividersi in cinque categorie:

1) Quelli che vogliono lavorare. Ogni redazione di rivista è il centro di smistamento di gente che ha bisogno di denaro o di impieghi: le anticamere sono sempre piene di giovani laureati, di radicali squattrinati, di ragazze e massaie scap ­pate di casa, di giovani autostoppisti appena giunti dalla costa del Pacifico e di molte altre persone desiderose di scrivere o di frequentare gli scrittori, nonché di amici per ­sonali dei redattori, in difficoltà. Tutte queste persone, bi ­sognerebbe ascoltarle can qualche attenzione, se non altro perché può succedere che ci sia in mezzo a loro un autentico scrittore; ecco perché le riviste con una sezione letteraria usano mettere alla prova questi aspiranti affidando ­loro delle recensioni di libri. Queste recensioni sono spesso di pessima qualità e non molto diverse da compitini di scuola. Ma può succedere che il direttore decida di pagarle sapendo che il loro autore ha bisogno di denaro; e, dal momento che le ha pagate, si sentirà in dovere di pubblicarle appena che si possano rendere un po’ presentabili. La mi ­gliore soluzione di questa problema è probabilmente quella adottata da un settimanale di New York: l’amministrazione di questa rivista usa vendere le eccedenze di libri ricevuti per recensione e dispone così di un fondo permanente per l’assistenza agli scrittori bisognosi. La rivista può così fare a meno di pagarli per recensioni che risultino impubblicabili o pubblicabili soltanto con un ingrato lavoro di «cucina » redazionale.
Ai tipi di persone di cui sopra bisognerebbe aggiungere quello del romanziere o poeta ridotto in miseria che, pur dotato di talento ed esperienza nel suo genere, può benissi ­mo non saper scrivere recensioni.
2) Cronisti letterari. Il responsabile della rubrica letteraria di un quotidiano deve leggere e recensire una media di uno o più libri al giorno per cinque o sei giorni della settimana. Leggere coscienziosamente tutti questi libri e offrirne un me ­ditato commento è un compito superiore alle capacità uma ­ne; di conseguenza non si può pretendere da questi recen ­sori un lavoro critico di alto livello. Inoltre non tutti costoro nutrono un vero interesse per i libri: alcuni sono cronisti letterari per puro caso; altri possono essere anche persone ben preparate, ma devono scrivere tanto e tanto in fretta che non riescono a dimostrare quanto valgono. In ogni caso tali recensori non devono essere giudicati alla stregua di saggi ­sti o luminari della critica, ma come semplici cronisti degli avvenimenti letterari che, con una scelta di citazioni o col rapido riassunto di un libro, cercano di fornire, con più o meno sensibilità e in modo più o meno divertente, un qual ­che resoconto di ciò che si pubblica.
Il recensore di quotidiano corre il maggior rischio quando parla del significato e dell’importanza di un libro. Un testo letterario breve e conciso, come per esempio un racconto di Hemingway, si può leggere molto in fretta (questi recensori sono naturalmente felici quando si imbattono in un romanzo che si legge d’un fiato): ma in questi casi è facile che al re ­censore sfuggano molte cose che l’autore ha cercato con dura fatica di rendere implicitamente nel suo testo e succede così che il recensore stesso prende un abbaglio. Nel caso poi di un lungo libro, egli è facilmente indotto a saltare le pagine, non solo travisando l’intenzione dell’autore, ma equivocando an ­che sul contenuto. Quando La condition humaine di Mal ­raux uscì nella traduzione inglese, quel che dicevano i gior ­nali a proposito dei personaggi e della trama mi sembrava co ­sì diverso da quanto ricordavo io della mia lettura dell’edi ­zione francese che subito volli andare a controllare la tra ­duzione. Ma la traduzione era in genere abbastanza accura ­ta: la confusione era stata fatta dai recensori che avevano dovuto leggere affrettatamente un’opera così densa e com ­plessa. Ma anche quando uscì Heaven’s My Destination di Thornton Wilder il recensore di un quotidiano fece confu ­sione tra i personaggi. Si potrà forse chiedere al recensore di quotidiano di evitare almeno questo tipo di errori: ma anche questo è già chiedere parecchio ed è forse il massimo che si possa pretendere.
3) Quelli che vogliono scrivere di qualcos’altro. Spesso, e in modo particolare dai giovani, la recensione viene consi ­derata come un pretesto per scrivere un saggio personale sull’argomento di cui tratta il libro, oppure, a prescindere completamente dal libro, un saggio su qualche altro argomento. Recensioni siffatte costituiscono spesso motivo di grave risentimento sia per gli autori che per i critici seri; ma chiun ­que abbia un’esperienza redazionale deve considerarle, se presentano un loro specifico interesse, con una certa dose di indulgenza: è abbastanza raro per il direttore di una rivista leggere degli articoli veramente interessanti ed egli non può permettersi di respingerli anche se usurpano il posto a recensioni in piena regola. L’autore potrà consolarsi pensando che la recensione che avrebbe altrimenti avuta sarebbe stata probabilmente mediocre come quasi tutte le recensioni.
In questo paragrafo possiamo anche parlare del problema dei giovani in generale. Si può permettere a un giovane bril ­lante, ma inesperto, di trattare slealmente uno scrittore matu ­ro con una recensione brillante ma che non tenga conto abba ­stanza del testo? Bisogna offrire delle occasioni ai giovani, e il loro giudizio è a volte importante, anche quando dicono cose sbagliate. Gli scrittori anziani debbono qualche volta rassegnarsi ad essere maltrattati dai giovani. E ci sono poi, natu ­ralmente, anche i vecchi incarogniti, che non hanno più voglia di scrivere recensioni e che se la cavano facendole scrivere ai giovani e colpendo alle spalle i loro coetanei più fortunati.
4) I recensori specialisti. Le recensioni di libri di poesia fatte da persone che non hanno mai scritto versi o quelle di opere filosofiche fatte da persone che non hanno una prepara ­zione filosofica, e così via, molto spesso non soddisfano: perciò i direttori di riviste sono stati indotti ad affidare ai poeti le recensioni dei poeti, ai filosofi quelle dei filosofi. Ma l’inconveniente è che il filosofo o il poeta che recensisce appartiene per lo più o alla stessa scuola o a una scuola diversa ­del recensito: sicché nell’un caso e nell’altro la recensio ­ne risente ed offre al lettore un’impressione errata del libro.
5) I recensori-critici. Sono estremamente rari. Quasi tutti coloro che sono in grado di svolgere una critica di alto li ­vello non intendono distogliersi dal proprio lavoro per scri ­vere recensioni di libri che sono oltretutto assai poco remu ­nerative. Van Wyck Brooks e H.L. Mencken sono delle ec ­cezioni: ma il primo era un recensore piuttosto specializza ­to, mentre Mencken ha sempre cercato di usare la recen ­sione come un’occasione per esprimere la propria persona ­lità e le proprie opinioni su ogni sorta di argomenti. Il solo scrittore americano che abbia recentemente cercato di scri ­vere recensioni vere e proprie è stato un personaggio di se ­condo piano come Stuart P. Sherman. Il recensore di questo tipo dovrebbe più o meno avere familiarità o essere pronto ad acquistarla, con le precedenti opere di ogni im ­portante autore di cui si occupi ed essere in grado dunque di recensire il nuovo libro di un autore alla luce degli svi ­luppi e del senso generale di tutta la sua opera. Dovrebbe essere pure in grado di inquadrare l’autore stesso nel conte ­sto della letteratura nazionale e di inquadrare quest’ultima nel contesto delle altre letterature. Ma ciò comporta un gros ­so lavoro e presuppone una certa preparazione: Sainte-Beu ­ve doveva lavorare tutta la settimana, senza aver quasi il tempo di fare colazione, per ognuna delle sue Causeries du lundi. Ma Sainte-Beuve è stato un caso forse unico. Si è avuto mai altro esempio di un uomo della statura di Sainte- ­Beuve che abbia dedicato tanta parte della sua vita a scri ­vere articoli settimanali sui più svariati argomenti?
Vorrei dire comunque che sarebbe una buona cosa se il direttore di una rivista trovasse uno scrittore di cose let ­terarie veramente capace e lo mettesse in condizioni di scri ­vere un articolo alla settimana. Per trovare un uomo che ad una solida preparazione unisca intelligenza ed abilità let ­teraria, bisognerà andarlo a cercare nell’ambiente universi ­tario, dove l’Herald Tribune ha preso Stuart Sherman e New Masses Granville Hicks. Prenda, per esempio, un Newton Arvin o un Haakon Chevalier, gli eviti compiti che possano distrarlo dai suoi articoli settimanali (gli arti ­coli di Burton Rascoe, quando dirigeva la sezione letteraria dell’Herald Tribune, risentivano evidentemente delle troppe cose che aveva da fare) e lo paghi quanta gli basta per vi ­vere: naturalmente non dovrebbe occuparsi di tutto quel che si pubblica, ma dedicare ogni settimana un articolo ad un autore o a un libro. A mio parere sarebbe questa una solu ­zione assai vantaggiosa per la rivista che l’adottasse ed un’ot ­tima cosa, per il mondo letterario in genere.

Atteggiamento dell’autore nei confronti del recensore

Come si vede, l’autore non ha nessun giustificato motivo di aspettarsi dai recensori una critica seria e, quando si esalta o si indigna per quel che scrivono dei suoi libri, egli spreca semplicemente le sue energie nervose.
Le recensioni possono presentare per l’autore un certo in ­teresse, se egli sa come leggerle; ma non potrà certo ricavar ­e molti lumi sul valore della sua opera. Per questo dovrà puntare su altre fonti, come certe osservazioni casual ­mente formulate nel corso di una conversazione e i segni della sua influenza su altri scrittori, ma sempre tenendo bene in mente che la vera qualità della sua opera potrà anche non essere mai realmente compresa lui vivente: un rischio, que ­sto, a cui dobbiamo tutti essere preparati. E intanto lo scritt ­ore leggerà le sue recensioni, non come se fossero sentenze di una corte suprema di critici, ma come una serie di giu ­dizi formulati da persone di varia intelligenza a cui sia capitato di avere un qualche contatto col suo libro. In questo senso si può qualche volta imparare qualcosa dalle recensioni.

Psicologia del recensore

Come altre categorie di scrittori, anche il recensore ha suo «io »; e poiché egli è sempre alle prese con i libri degli altri, è in certo qual modo singolarmente difficile ma ­nifestarlo. Uno dei modi che dà al recensore l’impressione di fare opera creativa è quella di incoraggiare e presentare scrittori nuovi e sconosciuti; quando invece lo scrittore è già noto, il recensore può acquistare un senso di potere attraverso la stroncatura. Di questa particolare psicologia bisogna sem ­pre tenere conto. Nella cronaca letteraria degli ultimi anni, abbiamo visto parecchi scrittori portati alle stelle dai più au ­torevoli critici quando erano ancora ignoti e poi, da quegli stessi critici, stroncati. Questo è accaduto, per esempio, a Eu ­gene O’Neill, Edna St. Vincent Millay, Ernest Hemingway e Thornton Wilder: trovare oggi una parola di critica intelli ­gente su una di questi importanti scrittori è la cosa più rara del mondo. E il povero Saroyan ha attraversato l’intero ciclo a tempo di primato: scoperto dapprima dai redattori di Sto ­ry, egli si guadagnò una fama fra i lettori di quella rivista e, quando il suo libro venne pubblicato, ebbe subito delle entusiastiche recensioni. Ma ormai era stato portato in trion ­fo e così ai recensori dei suoi libri successivi non restava altro che cercare di farlo vergognare di se stesso.

Doveri del recensore verso l’autore

D’altro canto il recensore ha nei confronti dell’autore de ­terminati doveri.
Ho già raccomandato indulgenza verso i recensori che si servono dei libri che dovrebbero recensire come pretesti per scrivere d’altro; ma solo nei casi in cui i loro articoli – fatto relativamente raro – siano interessanti di per sé. Nes ­suna scusa può valere invece per una recensione senza inte ­resse che non dica niente del libro, perché il recensore do ­vrebbe fornire almeno qualche informazione. Esporre la tra ­ma di un romanzo, o il sommario di un’opera storica o filo ­sofica, o tentare una scelta dei versi più salienti o la definizione e la qualità di un poeta, costituisce la parte più in ­grata del lavoro di un recensore, ma ne è al tempo stesso la parte essenziale. Bisogna dare modo al lettore di farsi una sua opinione personale del libro, indipendentemente da quel ­lo che può pensarne il recensore stesso; per ogni recensore e per ogni critico è una questione di fondamentale discipli ­na riassumere con parole sue il succo del libro. Quando si mette al lavoro, il recensore scoprirà quasi sempre che nel libro c’è qualcosa di più o di meno o di diverso da quel che immaginava inizialmente. Se l’opera è sconnessa o nebu ­losa, il critico saprà accorgersene; ma se il recensore è in ­competente, la sua incompetenza apparirà palese ai lettori più attenti quando questi si accorgeranno che egli non sa dire loro quel che c’è nel libro.
Alla mancata osservanza di queste norme si debbono que ­gli opachi e pretenziosi saggi letterari o filosofici, che special ­mente nelle riviste più intellettuali si trovano talvolta appiccic ­ati sotto i titoli dei libri. Il lettore non ha modo di sape ­re, a meno che non abbia letto anche lui i libri in questio ­ne, se il giudizio del critico sia o no fondato: i titoli sono come gettoni ai quali, dal punto di vista del lettore, non sia stato attribuito valore alcuno. È importante che il critico caratte ­rizzi i libri di cui parla nei suoi articoli quanto è importante che il romanziere caratterizzi in modo preciso i personaggi della sua vicenda.

Atteggiamento dell’autore verso il pubblico

Un’altra categoria di persone verso le quali un autore assennato manterrà un equilibrato atteggiamento è costituita dalle persone che gli scrivono. Quasi tutte rientrano nei se ­guenti gruppi:
1) Pazzi e maniaci. L’autore dovrà essere in grado di in ­dividuarli e di ricordarsi che basta un nulla a far perdere le staffe alle persane dementi.
2) Donne sole e isolate di provincia. Per quanta le perso ­ne di questa categoria possono essere sane di mente, anche per esse varrà in gran parte quanto detto più sopra: il fatto che scrivano lettere agli autori denota semplicemente il loro bisogno di comunicare con qualcuno e non comporta di necessità un interesse specifico per i libri dell’autore.
3) Giovani che vogliono offrire in lettura all’autore i loro scritti.
4) Cacciatori di autografi. Costoro, per la maggior parte, o vogliono l’autografo per farne collezione e non hanno alcun interesse per i libri dell’autore, oppure lo vogliono allo scopo di venderlo.
Insieme alle lettere di queste persone, l’autore riceverà alcune ­lettere da persone che sono interessate ai suoi scritti e che hanno qualcosa da dirgli a tale riguardo. Ma, in genere, può esser dato per certo che le lettere inviate agli autori non significano nulla. Nessuno scrittore che abbia avuto esperienza di redazione potrà mai prendere tali lettere così sul serio come spesso le prendono certi scrittori che non han ­no avuta tale esperienza. Chiunque abbia lavorato in una rivista ha avuto un’incredibile quantità di prove che è im ­possibile pubblicare un articolo talmente brutto che un qualche lettore non scriva per dire che gli ha cambiato la vita o talmente bello che nessuno disdica l’abbonamento.

Doveri del pubblico verso l’autore

Non bisogna mai mandare agli autori manoscritti da leg ­gere: hanno abbastanza da fare a scrivere i loro libri. Se leg ­gono i manoscritti loro inviati, non possono evidentemente fare nient’altro. Chi abbia scritto qualcosa e desideri un pa ­rere dovrà rivolgersi a un editore o al direttore di una rivi ­sta, che hanno delle persone appositamente stipendiate per questo genere d’incombenze.

Doveri degli autori verso le altre persone

L’autore non prenda per vizio di inviare ai suoi amici o a persone che ammira ma non conosce tutti i libri che scrive, con la dedica. Anzitutto, se supererà il numero di copie- ­omaggio fissato dall’editore, ci rimetterà di sua tasca; in secondo luogo i libri con dedica dell’autore possono dare fastidio: la persona a cui il libro è stato mandato si sente più o meno in dovere di leggerlo e ciò può anche non esserle possibile sul momento, per cui si trascinerà dietro lo scrupo ­lo di non aver ringraziato ancora l’autore. E quando si ac ­cingerà a leggerlo, la stessa persona si sentirà magari in do ­vere, gli piaccia o non gli piaccia il libro, di darne un giu ­dizio favorevole, proprio per quella dedica lusinghiera ed af ­fettuosa. Un omaggio siffatto è in realtà un’esca corruttrice tale da impedire al lettore quella serenità e franchezza di giudizio che l’autore gli attribuisce.

Doveri del romanziere verso il pubblico e verso la sua professione

Il romanziere non concluda mai il suo romanzo con una data tipo

Boulogne-sur-Mer-Haboken
dicembre 1934 – gennaio 1935

È un sistema venuto di moda da quando Joyce scrisse in calce al suo Ulysses:

Trieste-Zurigo-Parigi 1914 – 1921

ma che di rado è giustificato. Nel caso di Joyce, la stesura del libro occupò sette anni e la data ha un suo speciale si ­gnificato: nel precedente libro di Joyce, Stephen Dedalus dice nel 1904 ai dublinesi che entro dieci anni produrrà qualcosa di importante. Ma gli altri scrittori di solito sba ­gliano a imitare questo sistema: anzitutto perché è perico ­loso suggerire un confronto con Joyce; e, in secondo luogo, perché certe date non hanno alcun significato. Quando si tratta di una poesia, il luogo e la data possono in certi casi andar bene se aggiungono qualcosa che faciliti la compren ­sione del testo e che non possa esservi convenientemente in ­serito. Ma un romanziere ormai affermato avrà già desta ­to il nostro interesse per personaggi e avvenimenti che pre ­sumibilmente non hanno niente a che vedere con lui; ci avrà indotti ad accettarne la realtà: ed è dunque da parte sua irriguardoso verso la sua stessa creazione ricordarci la sua persona e il luogo dove ha lavorato. Nel caso di un roman ­ziere oscuro, a libro ultimato, il lettore farà benissimo a meno di ricordarsi dell’autore e del suo soggiorno a Boulogne-sur-Mer.

Giugno 1935


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Bart