Frammenti di lettere scritte fra i margini del tempo18 Dicembre 2012 Il Natale umano attende l’uomo da bambino. Caro Bartolomeo, caro Gian Gabriele, è già passato un anno dal momento in cui vi inviai quella missiva in coincidenza del trascorso periodo natalizio che riportava gli auguri per voi, per i lettori, per gli autori di rivista Parliamone e per tutti gli italiani in patria e non, scritta nell’intento di infondere in ognuno di noi quei proponimenti positivi a darci una veduta più aperta e comprensiva della difficile situazione nella quale gravita il mondo nella sua globalità e in special modo il nostro bellissimo ed amatissimo “Paese Italia.” Risentirci, anche se in momenti non particolarmente felici, per quanto ci coinvolge direttamente o indirettamente nelle vicissitudini della vita, ci da l’opportunità di pensare ad azioni dirette che diano forza e motivazione agli strumenti comunicativi e culturali odierni per portare l’intera collettività in una dimensione di maggiore consapevolezza, scuotendo e risvegliando, nell’aspetto positivo, la nostra coscienza e quella di quanti vorrebbero vivere su un Pianeta basato su un equilibrio di forze, talvolta contrastanti, ma che convergono nel rispetto personale e al di la di vedute o di posizioni politiche, religiose o economiche strettamente personali o di sola scelta di parte. Credo che sia opportuno da parte degli intellettuali italiani, in patria e non, di ogni appartenenza sociale e di qualsiasi indirizzo culturale, manifestare apertamente, in modo chiaro e nella prospettiva dei migliori intenti, una corretta informazione, formazione e presa di posizione su quanto sta accadendo nel mondo, dando così applicazione ad una cultura “non fine a stessa, e quindi non finita in se stessa,” ma come strumento di conoscenza delle molte problematiche moderne e come mezzo utile a traghettare l’uomo nella direzione di una nuova coscienza, nell’intento di ricercare soluzioni preventive e di non solo arginamento ai molti problemi che ci coglieranno, assieme ad altre specie viventi, in un futuro in rapida definizione. “la cultura umana forma l’uomo che della conoscenza ne fa lo strumento di studio del buon senso”. Il risveglio umano addormenta l’uomo che vive nel sogno della vita. Mi ripresento ancora davanti a tutti, cari lettori, un anno dopo rispetto alle aspettative del passato per rinnovarvi, forse in modo poco simpatico per quanto scriverò in questa lettera, ma con onestà e modi chiari e forti, i miei migliori auguri di Buon Natale e di serene festività per voi e per le vostre famiglie, conscio che fra noi italiani ci sia chi ha passato questo periodo della sua vita accompagnato da nuove, improvvise e difficili problematiche da affrontare e da stati d’animo non sempre felici, o belli da gradire. Dirò cose in questo saggio che vi potranno anche creare dispiacere, ma che hanno nella loro formula di verità l’intento di scuotere la nostra coscienza da un torpore intellettivo ed intellettuale che non confà con la nostra intelligenza di esser umani e in special modo di noi italiani. “la coscienza umana rende comprensivo l’uomo che sa guardare se stesso con gli occhi degli altri”. L’uomo che trova la verità ha conosciuto prima la bugia. Come dicevo sopra, fra quelle poche righe che lì ho scritto per introdurre questo nuovo documento, in questo breve trascorso di tempo, passato per alcuni individui senza novità di rilievo, ma purtroppo per altri nella necessità di riorganizzare in fretta e furia la propria esistenza, ci sono anche persone che l’hanno vista sconvolta da una persistente crisi economica che sta lacerando il tessuto sociale del nostro popolo e sia pur che questo non riguardi solo noi italiani, ora quel che mi preme dire è attinente a quanto ho notato viaggiando o osservando sul territorio nella nostra “Bella Italia” e in mezzo alla nostra brava gente. Lo vedo giornalmente, camminando per strada o girando col bus col lavoro che faccio e trovo che c’è uno stato psicologico depressivo che regna nell’umore di questo Paese e a verifica di questa brutta constatazione c’è un aumento di persone che chiedono l’elemosina per strada o che devono ricorrere alle più disparate soluzioni per fronteggiare le loro difficili giornate; atteggiamenti che non a caso non sono accompagnati da un modo positivo di vedere e di vivere queste nuove ed improvvise condizioni esistenziali che ci trasportano, sia pur senza volerlo, verso un improvviso, difficile e incerto futuro. Quello che ha sempre contraddistinto noi italiani è la solarità, la capacità di improvvisazione, la semplicità nella sdrammatizzazione di fronte ad eventi talvolta catastrofici, la sensibilità verso chi prova disagio e un modo positivo ed ampio di vedere e di reinterpretare con umanità quei brutti avvenimenti che ci hanno coinvolto nella sfera personale o sociale nella quale ci troviamo inseriti, attivandoci, con azioni volontarie, per aiutare chi se ne trova coinvolto con le peggiori difficoltà. Ora sembra che questa “ricchezza d’autore” sia appannata, repressa e oscurata da una cappa fumosa di sensazioni negative distanti dal nostro credo, dalle nostre abitudini, dal nostro istinto, dal nostro volere, ma che ci “toglie dal viso il sole migliore,” dandoci di riflesso una brutta cera e un pessimo umore. C’è un ricordo che porto da bambino e che spero colga almeno qualcuno fra di voi che l’ha vissuto o che ne ha sentito anche solo parlare, ed è quando le nostre campagne gremite di uliveti, erano anche molto popolate di persone, intente al duro lavoro per coltivare la parsimoniosa e dura terra Ligure. Sovente era poco quello che avevano giornalmente da mangiare, non c’erano per loro distrazioni oltre l’orario di lavoro, vestiti a malapena con indumenti rattoppati e rammendati più volte, curati poco nella loro salute personale! Sentirli poi cantare o fischiettare canzoni o motivi in voga per quell’epoca, mentre eseguivano il loro dovere nel lavoro ha riempito il cuore di tante persone, così che si era felici con poco, ma contenti nel profondo dell’animo che ad essere rimasti dentro un po’ bambini ci si motiva alla vita in modo semplice e condiviso.“come se tutto quel che accade, in fondo, fosse sempre da vivere solo come un gioco”. La libertà umana vive nell’uomo che non la trascina come se fosse un peso! La sensazione di vivere la propria libertà, solo per quanto la si conosceva, ha infuso nella loro interiorità il bisogno di accettare la vita così come l’avevano trovata, lontani da quello che ora appare come un desiderio di fuga o un richiamo indirizzato verso una libertà individuale senza limiti e senza freni… lì dove in tanti ci si vuole orientare. Pare altresì che la ricerca spasmodica della felicità individuale, così come l’uomo moderno l’ha concepita e cresciuta nella matrice del consumismo, sia il derivato di una forma di oppressione che vorrebbe staccare da se stesso per sfuggire dalla realtà, collocandosi e vivere nell’illusione di un sogno. Sono passati millenni da quando nell’uomo si è accesa la “fiamma della fede” tanto che a pensarci bene, talvolta, appare che viva e che cresca solo nel nostro dilemma personale e cioè lì dove non è chiaro se sia stato Dio a sedersi fra gli umani, o se la sua presenza sia legata al nostro bisogno di vederlo in mezzo a noi in un’immagine che ci appartiene, anteponendolo, per il nostro volere personale, davanti alla specie umana e talvolta nel senso contrario del bene comune, alimentando la diseguaglianza fra gli uomini e quindi andando controcorrente rispetto a quello che egli ha sempre predicato. La matrice religiosa è stata la prima fonte illuminata per la ricerca dell’uomo. Ma ritorniamo ora sul nostro discorso iniziale: Il senso compiuto e reale della solidarietà fra gli esseri umani è sempre stato un elemento determinante per affermare e per consolidare l’esistenza e la continuità di queste piccole comunità contadine, dove al bisogno di una famiglia, colpita nei suoi componenti da gravi problemi di salute, non la si lasciava abbandonata al suo destino o alla disgrazia che malauguratamente le era capitata, ma veniva donato, da parte dei molti componenti della comunità stessa, quel conforto necessario per portarla in salvo dalle proprie difficoltà organizzative e psicologiche. Ora che l’uomo si è in parte allontanato da se stesso, sembra anche aver perso parte della sua sensibilità, annullando la convergenza e il confronto fra la realtà e il mondo l’immaginario che vive in lui, offuscando il contrasto luminoso che va di riflesso sulla coscienza, relegandola nella formula sorda e chiusa dell’egoismo umano. “l’egoismo umano è pensare l’umanità in se stessi”. La famiglia umana motiva l’uomo a dare un senso alla vita. “Ora, fra famiglie distrutte da problemi economici, disgregazione sociale e perdita dei valori di riferimento, sfociati nei casi più estremi in suicidi derivanti da situazioni di grande depressione o di tensione personale, negli ultimi tempi abbiamo assistito ad un “quadro morale” dipinto di nero, dove all’incanto di isole felici che portano nomi famosi, o di ambienti studiati con scrupolo per vivere tutti da bravi fratelli, non è mancata neanche la danza, che spinta da un ritmo musicale alterato come un violento coro da stadio, ci ha mostrato che l’uomo moderno vive plagiato nell’incantesimo di un sogno, ma avvolto in una profonda solitudine. Nella realtà più cruda ed essenziale sono altre le verità che dobbiamo notare, come ad esempio il disagio sociale dei giovani che non trovano lavoro, degli anziani che s’arrancano per non morire prima del tempo perché poco assistiti e di uomini e donne in età matura licenziati adducendone i più svariati motivi. Parlo di persone normali che svolgevano la loro vita con dignità, impegnati nel lavoro, nelle amicizie, nelle loro passioni, così come tanti di noi sanno fare e che mancandogli una via alternativa di sostentamento si sono trovati all’improvviso senza casa, senza denaro e nella crescente difficoltà di riproporsi, una volta che sia passata la crisi, come individui produttivi che possano maturare il diritto alla loro pensione. D’altra parte è sia pur comprensibile che accadano in maniera incontrastata certi fatti che investono in modo ampio la sfera sociale del nostro paese, trovandoci noi stessi e sovente senza più meraviglia, fra una massa di persone assenti che non sanno fronteggiare in modo illuminato così tanto e invadente potere disinformativo. Fra di noi ci sono molti individui che vedono o che ascoltano proclami televisivi che non hanno nulla di culturale, ma ai quali si abbandonano per soddisfare la propria noia e le proprie illusioni, supportando numericamente e spero inconsciamente con la loro presenza su quel canale, quei “contenuti assuefativi” che non possono formare con realismo il nostro miglior tessuto sociale. Sia pur nella loro volontà di dare molte notizie, certi programmi che dovrebbero dare la giusta informazione, talvolta ce la fanno solo strisciare, fino a consumarne in parte i contenuti migliori, anziché consegnarcela in originale, così come occorrerebbe fare per una loro completa visione. Questi programmi, nel mio modo personale di vedere, hanno un carattere demenziale, ma sono supportati e rafforzati da percentuali di ascolto di tutto rilievo, spinti dalla precisa volontà di produrre una “coltura formativa” che possa dare il buon servito con parole che quasi si possono mangiare. l’incanto umano lascia l’uomo compiaciuto ad osservare la sua immaginazione.” La responsabilità umana investe l’uomo che cerca sicurezza per gli altri. Neanche in questo modo però va bene!Con questa verità non do colpa a chi per ultimo, al timone di questa zattera, fra le rapide di un fiume impervio s’è messo a timonare, perché quel che è trascorso, sia pur facendo tutti finta di nulla, ci trasporta ora ed anche senza il nostro volere, col flusso prepotente del denaro, ma non vorrei dimenticare che le banche sono ciò che ti prestano e che ti danno per quel che hai e finire sotto il loro volere, senza prospettive di difesa, ci rende schiavi inermi a qualsiasi desiderio che vogliano formulare. Questa è la logica di mercato che fa da guida all’uomo moderno e nessuno, a meno che non si presti al loro gioco, è in grado di controbatterne l’erosione e la prepotenza con la quale consumano la nostra corruttibile moralità, fino ad irrompere nel fiume dei nostri valori demolendone gli argini e spingendoci a dimenticare noi stessi nel flusso dell’oblio delle migliori intenzioni. E’ più facile a dirsi che a farsi, ma al giorno d’oggi rimanere fuori dai mercati di scambio significa l’isolamento dall’economia globale e quindi l’esclusione dalla filiera di produzione del valore commerciale. La conclusione finale ed inevitabile per questa scelta o per questo atteggiamento da parte di un popolo o anche solo di un singolo individuo che non voglia adeguarsi a tale sfida, significa l’arretramento e l’esclusione dallo sviluppo tecnologico, l’emarginazione dalla ricerca evolutiva in senso ampio e generale e non ultimo l’avviamento e il consolidamento della miseria che andrà ad investire i cittadini del paese oggetto d’esclusione. Pensate Signori quale uomo posto in gara fra tante persone, dove il premio da consegnare è legato al risultato conseguito, vorrà farsi da parte prima che tutto sia concluso, lasciando consapevolmente la vittoria ad un altro concorrente? Così, se non sarà il mondo intero a fermarsi nello stesso istante di questa competizione, essa non sarà destinata a finire, o comunque sarà obbligata a finire portando tutti nella stessa conclusione. “la soddisfazione umana prova all’uomo che per essere infinita ha bisogno d’esser condivisa”. La cecità umana guarda l’uomo bendato dai suoi desideri. Vorrei affrontare con voi questo argomento in modo più ampio e in relazione all’evoluzione umana, così da darne un significato più vero e credibile rispetto a quanto ci viene da pensare nell’immediato o con superficialità ed anche oltre le apparenze del momento, per proiettarlo con la nostra mente e con le nostre possibilità ad una azione verso il futuro, dove non occorre guardare al passato per dire:” io non c’ero,” ma dove ognuno di noi che abbia voglia o bisogno di ascoltare quel che succede, si senta una piccola parte di una grande responsabilità. Rinvangare il passato per il solo gusto di addossare colpe, sottraendoci dal guardare responsabilmente al futuro, non è certo il modo per tentare di arginare una diga che frana costantemente sotto al peso della bugia, dell’omertà, dell’illusione e dell’egoismo umano. Ora che tutto “corre veloce” spinto dall’uomo a “terminare prima del tempo,” occorre riportare l’umanità su riferimenti stabili, reali, non soggettivi e non di sola convenienza personale. Credo che nella nuova formula del pensiero umano occorra ricominciare a calcolare la vita in senso generale con le quattro operazioni matematiche basilari: se divido me stesso con gli altri moltiplico il nostro volere, sottraendodall’egoismo la somma delle nostre intenzioni. La ripresa umana comincia da se stessi e continua con gli altri. Io stesso, in un documento pubblicato ad agosto scorso su questa rivista, mi sbilanciai definendo possibile una inversione di tendenza del nostro P.I.L, con piccoli segnali di ottimismo da interpretare con cautela verso i primi mesi o metà del 2013, ed ora sia pur non sottraendomi alle mie responsabilità per quanto vi ho detto, vorrei però mettere a confronto altre considerazioni che sono ancora più reali rispetto alla mia empirica teoria e a qualsiasi altra previsione, a causa della difficile definizione dei mercati e per il complesso meccanismo che li mantiene in equilibrio tutti assieme “Il mercato umano ha il valore che acquista”. Sia pur che nel futuro, per noi italiani, ed anche per l’Europa occidentale possa nascere una ripresa economica, essa avverrà ripartendo da un potere di acquisto più basso rispetto all’attuale, per effetto di una inarrestabile erosione dei salari e per la mancata rivalutazione delle pensioni, dove anche per chi svolge attività professionali ci dovrà essere un ridimensionamento e una contrazione dei guadagni, allineandosi a quelle dei paesi della zona euro orientale come Romania, Bulgaria, Polonia etc. E’ così concreta la possibilità di rispolverare antichi mestieri che ora sono in disuso come ad esempio il calzolaio! Poco conta se a grandi pagine e con titoli cubitali, si scriverà un giorno sui giornali che la crisi sta sciamando, per propaganda elettorale o per chissà quale altro “nobile” intento, in quanto credo basti guardarsi intorno per capire quel che di vero accade! Passando per l’Italia, da nord a sud del “Bel Paese” ho visto molti terreni incolti, appezzamenti di terra molto grandi ora inutilizzati, nei quali una volta vivevano famiglie numerose, ora essi sono abbandonati al loro destino e così anche i bellissimi casolari dove per generazioni l’uomo ha cresciuto i suoi figli, vissuto e difeso il territorio, tanto che non venisse dissestato in modo prevedibile dagli agenti atmosferici e per riflesso non diventasse improduttivo. Fra i ricordi interessanti che ho conservato nella mia mente e che mi hanno molto colpito, c’è il racconto di una nostra cara amica di famiglia dal nome di Annina; ella vive ancor oggi nel nostro paese di Bellissimi, località collocata sui 200 metri s.l.m e in ottima posizione con vista verso il mare sopra le alture di Dolcedo. Mi raccontò, per quanto il padre le aveva trasmesso della sua esperienza di vita, di un periodo antecedente a quello che noi viviamo, e cioè verso gli inizi del 1900, quando molti contadini della zona migrarono nella vicina Francia per trovare lavoro, anche se solo in maniera stagionale, per la raccolta dell’uva, delle olive e di quant’altro gli potesse dare un reddito che qui da noi allora mancava a causa di un lungo periodo di siccità durato sette anni, perché non piovve acqua in questa piccola parte della Liguria occidentale. Sembra che per effetto di un rapido e intenso abbattimento, da parte dell’uomo, di enormi piante di castagno, querce e faggi secolari, collocati nell’ampia zona boschiva che comprende anche il comune di Dolcedo, il tutto per ricavarne il legname necessario per la costruzione dell’attuale linea ferroviaria, non si siano poi e in conseguenza di ciò, più ricreate per quel periodo corrispondente, le condizioni ideali per favorire le necessarie e consuete piogge nei giusti periodi stagionali. Questo forse vi sembrerà un po’ strano, ma per me che vivo da queste parti solo da cinquant’anni, mi è già capitato di vedere periodi di tempo lunghi quasi due anni senza piogge di importanza rilevante, tanto che questo racconto non mi stupisce più di tanto. Quello che vorrei però farvi notare in modo forte è come una piccola alterazione e sia pur temporanea, del mondo circostante nel quale viviamo, possa provocare importanti cambiamenti nell’ambiente e di riflesso nelle abitudini dei suoi abitanti, incidendo sul modo di vivere la loro vita. Sentire Annina che con la sua voce descriveva un evento così importante e vero accaduto in un passato piuttosto recente, ha scosso la mia coscienza, motivandomi a dover dire, soprattutto a voi giovani, di non leggere solo frasi scritte sui giornali o impresse sui grandi mezzi di comunicazione di moda in questo momento, così come se fosse tutto solo virtuale, chiudendovi altresì in voi stessi e fra le vostre teoriche conoscenze, ma ascoltate la testimonianza diretta delle persone, che in modo incisivo, vissuto e d’effetto vi raccontano le vere storie della nostra esistenza. Ragazzi fatevi una cultura basata su quel che accade per davvero, oltrepassando la virtualità e la teoricità degli scambi informativi, portandovi ad un livello conoscitivo ed emozionale frutto di riflessioni e di esperienze reali, dove la memoria storica non sia solo quella espressa nei byte di un computer, che pare sapere tutto, ma che nulla ha mai vissuto. Fra i racconti particolari c’è anche quello di un uomo ora molto anziano, dove cita d’aver visto, quand’egli era solo uno spensierato ragazzino, un manifesto di quella epoca che riportava in dettaglio quanto al mercato rionale si proponeva fra i tipi di carne disponibili per la vendita al pubblico e il relativo prezzo che occorreva pagare per portarli a tavola fra i propri commensali: “ Cane, gatto, serpi ed altro ancora, questo era parte dell’elenco per quelle squisitezze da mangiare.” Ancora oggi ci sono posti nel mondo dove tutto questo accade e per i “viaggiatori dello stupore” come siamo diventati tutti noi moderni, vedere queste novità ci fa incuriosire al punto di credere che non possano essere vere. “non pensate che questo vecchio tempo non possa ritornare, in fondo l’uomo è l’unico a passare”. La compiacenza umana guarda l’uomo col desiderio di vederlo come lo vorrebbe. L’utopia umana di vivere tutti in grandi agglomerati urbani, abbandonando la terra, dando significato e valore al nostro tentativo di ribellione nei suoi confronti per la durezza con quale si è fatta conquistare, coltivare e modificare con fatica da parte dell’uomo nei millenni e nel proseguo delle generazioni, ci ha motivati ad allontanarci dal suo irremovibile potere, dalla sua incorruttibilità e asprezza, spingendoci a mostrarle che si può vivere anche senza sporcarsi con essa le nostre mani, ora però tutto questo ci sta portando ad una nuova e amara constatazione. La scelta politica ed economica mal sana e di scarsa veduta che ha contribuito ad allontanare l’uomo dalle nostre terre, ci porta ora in un dissesto idrogeologico e ambientale di grandi proporzioni, dove alluvioni e incendi la fanno da padroni. Adesso che molte fabbriche italiane chiudono i loro battenti per fallimento o per trasferirsi in paradisi fiscali più consoni all’interesse economico strettamente personale, rimane solo da vedere un immenso vuoto che è stato lasciato fra quelle campagne e che non ci consentirà, in tempi brevi, di impiegare al meglio il nostro tempo, la nostra forza e in definitiva che non ci aiuterà a colmare il bisogno che verrà di mangiare! Negli ultimi decenni sono molti lavori che noi italiani abbiamo rifiutato di fare, perché troppo faticosi, umilianti, poco gratificanti, lasciandoli a qualsiasi malcapitato che dai paesi più poveri, con la fame in corpo e il bisogno di riscatto, si è proposto qui da noi per fare, anche se sovente senza paga sindacale! Gli extracomunitari contribuiscono, col loro lavoro, ad una fetta consistente del nostro P.I.L, e i molti e onesti cittadini che si sono dati da fare nel nostro paese meritano un plauso, oltre che per il costante impegno, anche per aver sopportato le umiliazioni derivanti dall’ignoranza e dai preconcetti umani che serpeggiano sempre fra una morale gretta e scaduta nel suo scarso valore di umiltà; espressione della nostra volontà di mantenere ben salda la nostra posizione privilegiata riguardo ad un modo di pensare che ci allontana da una verità più profonda. Considero tuttavia la scelta dei molti cittadini extraeuropei che si trovano attualmente in Italia, o che verranno qui in futuro per cercare quella speranza che manca nel loro Paese d’origine, una pessima scelta dove investire le loro energie e la loro volontà di sviluppare attività commerciali, in quanto qui da noi vi saranno poche prospettive di sviluppo e non bisogna dimenticare che anch’essi si assumono la responsabilità di un debito pubblico nazionale di notevole rilevanza che non hanno contratto direttamente, ma che peserà sullo stato sociale di questa Nazione, peggiorandone l’attuale livello di qualità della vita. Negli ultimi venti anni in Europa si sono persi milioni di posti di lavoro e questa “nuova economia” mi sembra già vecchia e che per questo che non sappia più decollare, impedita o superata, come voi volete, da tecnologie talmente avanzate dove l’unica cosa che sembra non avanzare è il lavoro per l’uomo, così da creare nei giovani una prospettiva di fiducia per guardare concretamente al futuro e per un avvicendamento generazionale, fra l’ingresso e l’uscita dalla catena produttiva da parte di chi è stanco di lavorare. Mi viene così difficile immaginare una ripresa che non sia solo virtuale, dettata da regole di mercato manipolate da forze che si pongono in gioco per contrapposizione, mosse dalla politica o da ogni altro genere di potere, dove l’uomo occupa il posto di una lampadina da illuminare, perché seduto su una sedia dove si ferma quell’energia che invece andrebbe impiegata per lavorare. “l‘energia umana fornisce l’uomo che a dare se stesso ne scarica la tensione”. La corsa umana prende l’uomo nella condizione di volere. Per noi italiani, nel contesto europeo, la situazione è ancor più complessa rispetto ad altri paesi che sono geograficamente più a nord di noi, per un debito pubblico immenso che ci opprime e che ci impedisce di impostare il ritmo giusto in una corsa che si svolge con una competizione, dove gli ostacoli sorgono improvvisi e dove la ricerca scientifica è uno strumento essenziale per creare nuove opportunità di lavoro. La fuga dei nostri “cervelli” migliori, verso i paesi esteri, di certo non ci aiuterà a risolvere i pesanti problemi che ci coglieranno in futuro per creare innovazione nel mondo del lavoro e per una occupazione che non sia solo di basso livello tecnologico e qualitativo. A parer mio vedo quindi inevitabile, negli anni a venire, un arretramento del nostro paese dall’attuale settima posizione per importanza relativa allo sviluppo industriale, retrocedendoci nella graduatoria mondiale di molte posizioni, perché sorpassati non solo dai paesi europei, ma soprattutto da quelli emergenti che hanno grandi bacini di risorse naturali e immense forze nei grandi numeri dei loro abitanti, intenzionati come sono ad acquisire, con le buone o con le cattive, un diritto e un posto di rilevo per un benessere personale che, per ora, hanno visto solo sui canali televisivi, lì dove si proiettano grandi illusioni. Come ben sapete questa nuova “grande forza economica” giungerà da enormi paesi emergenti come Cina, India, Brasile, Tailandia etc ed una delle conseguenze inevitabili sarà per noi la riduzione del reddito pro capite, la riformulazione dello stato sociale e quindi di tutti i relativi servizi rispetto a come li abbiamo conosciuti e vissuti in questi ultimi 40 anni e diventeremo, credo, terra di conquista per capitalisti che giungeranno con prepotenza dall’estero, ma che non verranno qui solo per investire i loro averi, ma per comprarci, ponendo in chiaro le loro regole di mercato. “L’Itala è fatta, ora bisogna fare gli italiani, rimarrà un imperativo senza un terreno sul quale poter autonomamente agire.” Il nostro popolo ha già venduto parte della sua autonomia e della sua sovranità, il resto lo regaleremo! A riprova di quanto vi scritto nella riga lì sopra, c’è la testimonianza di quello che è accaduto nei confronti del nostro paese in questi ultimi giorni sullo scenario politico internazionale, e al di là di valutazioni di schieramento, di destra, di sinistra o sia pur di centro, passando per il sud o per il nord del paese: tanto è tutto uguale, sappiate chec’è poco da gioire. Dai mezzi di informazione canalizzati, quali televisioni, giornali, rete informatica e quant’altro vi possa essere per attingere le migliori notizie, pare che chi ha alzato la voce contro di noi, anche questa volta, sia stato il sistema dei mercati di scambio internazionali, muovendo con azioni intimidatorie ed indicandoci l’adeguatezza o meno di un candidato alle elezioni rispetto ad un altro, dimostrandoci altresì, se ancora ve ne fosse il bisogno, in modo diretto e inconfutabile, la nostra inutilità e incapacità di cittadini che non sanno affrontare autonomamente le problematiche economiche globali, ponendoci al di fuori di una decisionalità che è l’espressione della nostra mancata indipendenza. L’indipendenza è la prima condizione necessaria per giungere autonomamente alla formula della libertà individuale e un popolo o una persona che dimostra di non essere in grado di mettere sul tavolo della trattativa il peso delle proprie decisioni, conferma in modo pratico d’aver perso la propria autonomia e il proprio orgoglio personale, divenendo subalterno e sottomesso alle decisioni altrui. “L’orgoglio di un popolo è la forza invisibile del volere comune”. Abbiamo ipotecato il futuro dei nostri figli e anche quello delle generazioni che ci seguiranno. Non dico un’ idiozia con questa affermazione e vi spiego perché: con un debito procapite per noi cittadini italiani di circa 33000 euro, che gravano in egual maniera su un individuo anziano e non meno su un bambino appena nato, abbiamo sulla nostra groppa un bel fardello da portare in ogni istante della nostra giornata, così che, e per un certo aspetto, assomigliamo a tanta gente comune dei paese poveri di questo mondo. In quei luoghi di miseria ci sono padri che per dare la dote alla figlia che si deve maritare, si ipotecano o addirittura si vendono, ancor prima di morire, parte de loro corpo e sia pur le ossa dello scheletro se necessario, il tutto per poco denaro. Nei casi ancora peggiori e più estremi, cedono i loro figli ad aguzzini e a gente senza scrupoli che ne possano fare l’uso che ne ritengono migliore: che cos’ è l’amore per l’uomo? L’origine dell’orgoglio umano è un principio che non lede nessuno. Non vi racconto fantasie e voi già lo sapete, ma basta prendere l’aereo e spostarsi in volo con poche ore di viaggio e si possono vedere realtà ben diverse anche rispetto a quello che di peggio sappiamo immaginare e sia pur nascondendoci nella nostra indifferenza rimarremmo allibiti di dronte alle storie che da quei luoghi se ne possono raccontare. Pensate Signori se tutti quei paesi che ci sono stati creditori di denaro in questi anni, dovessero richiedere all’improvviso i loro averi da noi abbondantemente spesi… forse l’unica cosa che potremmo dare per garantire la nostra “semilibertà” sarebbe ipotecare parte delle nostre abitazioni, e con esse tutto il sangue che abbiamo versato per poterle pagare. Al di là di questo luogo dove ci troviamo e sia pur di tutto quel che conosciamo con la nostra esperienza, ciò che vive nel mondo intero non è fatto solo di distrazioni, di piacere, di fratellanza e talvolta di un ingiustificato malcontento che portiamo con la nostra distratta opulenza. Poco distante da noi ci sono guerre, fame, violenza inaudita, malattie ancora da debellare che colpiscono la gente più povera e sia pur la più provata dalle molte angherie e cattiverie umane che derivano da una miseria stagnante e devastante che fa da presenza e da dominio costante a questi Popoli incastrati dal destino. L’istinto di procreare è ciò che tiene in vita le specie viventi, così come lo è per l’uomo, ma è anche quella componente irrazionale che condanna molti esseri umani al supplizio della fame, dell’aids e alla “pulizia raziale” da parte di chi vive quell’odio in corpo per quel che ha ricevuto di cattivo già da bambino. L’uomo percorre da millenni la stessa via di comunicazione, ma sembra, presentandosi d’innanzi a lui una nuova situazione, dare prova di non aver mai dato saggia applicazione dell’esperienza maturata e interiorizzata nella sua memoria storica, rendendosi disponibile a nuove barbarie per una soluzione che vorrebbe forse come definitiva. Pare che la nostra autenticità e unicità intesa come stato fisico, psicologico e irrazionale che ci pone di fronte a questa vita, sia la condizione determinante per cancellare l’esperienza maturata dagli altri e per evidenziare le nostre necessità personali come prerogative essenziali per la nostra felicità, ponendoci nell’arbitrio della scelta del bene o del male. In sostanza quel che vedo sarà un disagio crescente per chi popolerà il nostro paese e in senso generale per tutti i paesi della “Zona Euro.” D’altra parte immaginare che la “Vecchia Europa” possa cambiare l’orientamento sociale, economico, culturale, ideologico, religioso e consuetudinario del resto del mondo è una utopia, visto che gli abitanti di questa modesta “Regione del Globo Terrestre” superano di poco i trecento milioni di unità, contro i quattro miliardi, e fra non molto saranno cinque, di esseri umani che vivono in condizioni economiche e in realtà sociali e politiche ben diverse rispetto alle nostre. In quei luoghi ci sono persone che sono spinte a lavorare consecutivamente sei o sette giorni alla settimana e almeno per dodici ore al giorno, utilizzando per il fabbisogno famigliare anche l’innocenza dei bambini, retribuiti con uno stipendio medio di due dollari per giornata lavorativa, senza diritti e senza tante discussioni da portare avanti in senso generale; tutto questo ci rende l’idea di quale forza e di quale proporzione sia il loro potere… tutti insieme sono un colosso di una dimensione e di una forza che noi non sapremo contenere, è pur vero che il costo della vita, lì da loro vale poco, ma coerentemente come la loro vita stessa! Sarà la nostra povertà a cambiare il volto del mondo, saranno i più poveri di noi a cambiare noi, le nostre abitudini e le nostre regole e vorrei invitare a riflettere quanti si sentono forti del loro silenzio. l’Europa perderà le sue regole e il suo benessere”! Quello che vuole farci credere l’evoluzione di questo mondo è da legare al nostro desiderio personale di indipendenza e di ricerca della nostra libertà individuale, in contrapposizione ad ogni relazione umana che vorrebbe portare l’uomo a frenare e a fermare i suoi istinti per consolidare la base stabile dei sentimenti umani. Non è solo propaganda quel che accade, ma l’orientamento reale è quello di riportarci all’era degli schiavi, dove per un pezzo di pane o per un tratto di felicità, venderemo la nostra anima al desiderio della libertà. Non sono parole, ne si tratta di filosofia, ma quel che avvertiremo passare sulla nostra pelle o che udremo fra quegli indiscutibili ordini di uomini pagati per comandare, arriverà dalla bacchetta d’un mago che nell’illusione del nostro volere ha posto in essere il suo potere. La migrazione umana sposta nell’uomo l’intento di sopravvivere. Un pianeta Terra in continua espansione demografica, ecco dove ci troviamo a stare, dove per effetto di un clima che cambia i connotati del territorio e relativamente della sua capacità, forza e diversità produttiva, corrisponde in simultanea anche un ampliamento della zone desertificate e non ultimo e non trascurabile lo scioglimento dei ghiacciai dai rispettivi poli. Grandi problemi che l’uomo non sa come affrontare, ma che contribuisce ad accelerare con le sue invadenti azioni quotidiane e che comunque avanzano verso di noi a forte velocità, non dandoci il tempo sufficiente per organizzare le giuste soluzioni di difesa. Di Terre e di uomini che le abitavano ne abbiamo sfruttate e distrutte tante, per il petrolio, per i minerali, per i metalli preziosi, o con qualsiasi altra buona motivazione che ci venisse in mente, per impossessarci di quel che di più allettante ci potesse appartenere- “Il furto umano ruba nell’uomo l’onestà del suo bisogno”. L’uomo terminerà di litigare con i suoi simili quando sarà la Terra a riprendersi i suoi terreni. Dai bambini c’è sempre qualche cosa da imparare e l’altro giorno leggendo un libricino di mio figlio Lorenzo, lui ora ha 9 anni, sul quale sono annotate varie curiosità per stimolare il suo apprendimento, una in particolare mi ha molto colpito. Sapete quanti fiori necessitano alle api per consentire all’uomo di riempire un vasetto di miele dal modesto peso di cinque cento grammi? Io non lo sapevo, ed ora l’ho imparato, ne servono 4 milioni di quei piccoli esseri nati dal terreno e dal sole colorati! Se penso ora a quanti pesticidi si usano in agricoltura, compreso il diserbante e ad ogni altra forma di disturbo che interagisce nei confronti di questa immensa, straordinaria, delicata e articolata catena alimentare naturale, che vive nel cielo, nel mare, nella terra, nel sole e lontano dalla vista dell’uomo, mi viene un brivido freddo che percorre tutto il mio corpo, fino a ricordare quel che disse uno scienziato, forse il più grande per alcuni, ma per me e per il mio modo di pensare, sempre secondo rispetto al nostro immenso e illuminato Leonardo da Vinci. Il suo nome è Einstein e rieccheggia ancora oggi per una teoria sul tempo relativo, ma in un enunciato più semplice e alla portata intellettiva di ogni essere umano, disse che con la scomparsa delle api dal Pianeta Terra, anche l’uomo, in meno di un secolo sarebbe sparito da quello stesso luogo da entrambi popolato. “quel che fai pensando solo a te stesso è d’aver ricordato gli altri senza pensare”. L’uomo influenzando in modo importante, ed ora anche rapido, l’inevitabile cambiamento delle condizioni climatiche e quindi anche ambientali, rispetto ad una situazione che per millenni non ha visto mutazioni di rilievo, dando alla nostra specie il modo e il tempo per costruire e per consolidare le nostre civiltà, dovrà ora modificare, in tempi brevi anche la tipologia delle colture, ridisegnando altresì una mappa delle abitudini alimentari, dei mercati di scambio e degli equilibri economici e sociali dei tanti abitanti di questo pianeta. E’ così probabile che intere e vaste zone del pianeta vengano riconvertite ad altre tipologie di coltivazioni, perché quelle attuali moriranno a conseguenza di un clima modificato o a loro poco favorevole o non frutteranno più a sufficienza perché l’uomo si senta motivato a mantenerle in vita. Scusate il mio sfogo voi lettori, ma non voglio immaginare il territorio dove ho sempre vissuto e dove molti uomini prima di me hanno lavorato privo d’alberi d’ulivo, cancellandoli altresì dalla mia memoria; proprio loro che con le loro fronde sempre verdi hanno dato pane, colore e vivacità a queste colline, ma che forse un giorno saranno sostituiti con piante tropicali o con controfigure virtuali. Con quale forza o con quale coraggio posso portare la mia mente ad immaginare che un giorno mi dovrò recare, ad esempio, nella vicina Germania per acquistare quell’olio speciale che in queste zone e fino ad ora, ho sempre potuto produrre e consumare? Certo, voi mi direte, se è tutto lì ciò che può accadere, rispetto a quello che per il futuro tu vuoi farci intravvedere, è veramente di poco rilievo.. non ti lamentare! “Cinque mila anni di storia, questa è la frase che introduce alla visione del bellissimo e curatissimo Museo dell’Olivo dei Fratelli Carli in Oneglia e dal 1911 per la precisione”! In quell’ambiente ben preparato e allestito con gli attrezzi da lavoro usati nel tempo addietro, informazioni e curiosità sulla civiltà contadina della zona per quell’epoca, potrete anche ricevere dettagliati ragguagli storici che segnarono il lungo percorso di questa comunità locale; scoprirete altresì notizie inedite e interessanti sulla presenza millenaria della nostra gente e capirete in modo indelebile perché i Liguri sono parsimoniosi e non sono taccagni, come per superficialità o per scarsa conoscenza di fatti da certe persone si sente dire. Con la loro forza e con la loro determinazione bonificarono un territorio impervio e difficile da conquistare, che dal mare si erge d’improvviso sui monti addietro, fino a quote di rilievo, sfiorando i tremila metri e in una vasta zona che va dalla provincia di Imperia fino alla vicina Francia, ad Antibes, per esser completi nell’informazione. Per contenere i piccoli appezzamenti di terra necessari per creare spazio e dove piantare le loro colture costruirono con le loro mani migliaia di chilometri di muri a secco, che se messi tutti assieme fanno il giro della Terra per dieci volte almeno: 400.000 mila chilometri lineari o forse anche di più!!! Milioni di piante d’ulivo, radicate in un terreno e in un clima dalle caratteristiche uniche e particolari, dove la biodiversità, per la fauna e per la flora, trovano da sempre un habitat favorevole e non facilmente ripetibile in altri luoghi del Pianeta e non meno bello da vedere per gli occhi umani per il suo ricco scenario ambientale. Se mi posso permettere: Vorrei ora citarvi un modo di dire che è nato e che ha preso corpo e sostanza, per la sua profonda verità, fra la nostra gente vissuta qui nel secolo passato e che ora sembra molto appropriato e attinente al momento che viviamo, ascoltate questa è la frase in questione: “Se potessero si venderebbero anche il sole.” Il mondo diventerà una grande pattumiera!Non è un modo per denigrare nessuno, oltretutto non sono certo io a potervi dare la giusta soluzione a così tanti e importanti problemi e non mi permetto di giudicare male chi fa del suo meglio in questo grande disordine che nasce come una fibrillazione !! E’ vero, questa scelta è appropriata per una soluzione che salvi l’ambiente dai molti veleni rilasciati dagli idrocarburi, oltretutto essi dovranno anche finire in tempi brevi le loro scorte, ma non a caso queste coperture sembrano aver trovato collocazione proprio su quei terreni che anche ora si potrebbero utilizzare per piantare colture, visto che in futuro, temo, saranno pochi quelli che avranno il denaro per comprare quell’energia che fino ad oggi abbiamo saputo soprattutto sprecare. Certo tutto cambia e se sei mila anni fa questo popolo antichissimo esistito, con pochi altri sul territorio italiano, rappresentava una realtà nata ancor prima dei Romani, gradualmente ha poi modificato parte della sua identità, adattandosi alla nuova realtà del momento. “La parsimonia e non lo spreco, è quello che dovrebbe far cultura fra certa gente della nostra Italia, perché non c’è ricchezza che non debba finire, se non opportunamente spesa… impariamo da chi ci ha lasciato così tanta ricchezza!” Temo però, in cuor mio, che questa importante “storia millenaria” debba terminare un’altra fase della sua evoluzione e forse in un arco di tempo lungo meno di cinquanta anni, riportando gli esseri umani che rimarranno su questo luogo a dover ricostruire o se preferite, a dover riscrivere una nuova pagina del percorso dell’umanità. “la fine dell’umanità riscrive la storia dell’uomo”. Un libro si scrive iniziando a pensare alla sua fine. Credo infatti che nel contesto di questa analisi di pensiero occorra non tralasciare gli inevitabili e grandi flussi migratori di interi popoli, che dai territori divenuti invivibili o impraticabili a causa di un clima fortemente modificato, dovranno spostarsi e convergere uomini e bestie e in massa, nelle fasce delle medie latitudini, sia del nord che del sud della Terra e per maggior dettaglio in corrispondenza delle zone tropicali. La ridistribuzione delle terre incolte diverrà un argomento inevitabile e impossibile da non essere affrontato dalle nuove amministrazioni locali, per consentire ad una massa enorme di persone di poter coltivare, in un senso ancor più ampio del termine che ho sottoposto alla vostra attenzione, questi “spazi di speranza,” creando le condizioni minime e indispensabili per sfamare miliardi di esseri umani e viventi in senso generale. L’acqua potabile è l’unica fonte che consente il proseguo della vita di una infinità di esseri viventi che popolano il nostro Pianeta, compreso l’uomo e credo che anche questo sarà un imprescindibile problema da affrontare, ma che forse l’essere umano, con le sue brillanti idee con i suoi mezzi tecnologici, riuscirà a superare fino a produrne nella quantità che gli possa maggiormente necessitare. Quello che mi preme farvi notare è legato al potere scientifico sul quale l’uomo ha riversato tante speranze di trovare le giuste soluzioni ai molti problemi che incontra sulla sua strada evolutiva, ma anche alla possibilità della manipolazione di questo “nuova matrice comunicativa ” utilizzata da parte di chi porta avanti questa mutazione nel suo reale valore e significato di cambiamento, investendo in essa immensi capitali di denaro e credo che questa “entità sovrana” non vorrà subire da parte di nessuno il mancato raggiungimento dei propri obiettivi, evitando che vadano addirittura sprecati. Credo che proprio sull’argomento della sopravvivenza degli esseri viventi si giocheranno parte delle guerre del futuro, dove i poveri saranno sempre in prima fila per chiedere un piatto con dentro un po’ di cose da mangiare. Pensate ora se a possedere le vaste terre che rimarranno gradualmente desertificate, e sia pur parte di quelle densamente abitate, non fossero i contadini o gli esser umani in senso generale, ma un domani le multinazionali. “lo schiavo umano porta la gloria di chi l’ha conquistato”. L’uomo che guarda verso il futuro nel presente mette l’imperativo costruire. Una soluzione bella, rapida e che ci consenta di continuare in modo spensierato, così come abbiamo vissuto in Italia negli ultimi decenni, credo non possa arrivare da parte di nessun essere vivente, oltretutto la mia idea è che negli ultimi anni abbiamo organizzato la nostra libertà e il nostro tenore di vita al di sopra delle nostre reali potenzialità economiche, utilizzando, sfruttando e polverizzando parte di quella eredità economica e morale che la generazione precedente ha costruito e messo da parte con un costante impegno nel mondo del lavoro, con rinunce e con grandi sacrifici personali. Un risanamento dello Stato e di noi Cittadini, è il primo fondamento di una libertà auspicata. Penso che non saranno ne la politica, ne l’economia globalizzata, ne la religione a sottrarci da un “destino organizzato dal nostro stesso volere” e sono convinto che non basti un prestigiatore, o un illusionista per trovare le giuste e desiderate soluzioni che possano risolvere i problemi reali di un mondo in rapida mutazione. “il prestigiatore umano esce i desideri dal cilindro delle nostre illusioni”! L’uomo fa la storia se le cammina avanti con la mente. Quello che ritengo un vero e autentico regalo da porre sotto l’albero delle nostre aspettative è legato imprescindibilmente al realismo delle nostre intenzioni per guardare con un po’ di ottimismo ad un futuro difficile da affrontare per tutti, dove l’insorgere di nuove e impellenti problematiche acuiranno il bisogno di approfondire con efficacia e con contenuto di conoscenza la cultura in senso vasto e generale, che nel suo valore di globalizzazione porrà l’intento di aprire nell’essere umano una nuova sfera di coscienza, imperniata non sulla contrapposizione culturale, ma bensì sullo scambio della conoscenza, dove sarà il buon senso a fare scuola per tutti, ancor più di qualsiasi mezzo di informazione, per portare l’umanità verso un nuovo traguardo. “la storia la riscrive l’uomoche rilegge il suo significato”. Alla gente comune, così come me, come voi e come tanti altri ve ne sono in questo mondo, vorrei direche posti di fronte all’opportunità di scegliere se operare il bene comune o diversamente se dare forza al distruttivo male, di dare proseguo alla prima soluzione, dando per primi l’esempio pratico nei confronti di chi attende da parte nostra un segnale distensivo, che in un primo cenno cerca l’inizio di un colloquio che sia reale fra le persone. Sembra un paradosso quel che accade, eppur è vero e se il ruolo dei mezzi di comunicazione è finalizzato ad aprire la mente dell’uomo ad una maggiore conoscenza utilizzando al meglio l’informazione, in contrapposizione a tale effetto c’è l’azione indiretta di farlo chiudere maggiormente in se stesso, allontanandolo dalla condivisone fisica degli eventi nei confronti degli altri esseri umani. In una versione logica che sembra non appartenere alla specie umana, è proprio dal sapere che dovrebbe nascere il desiderio di condividerlo, di scambiarlo e di discuterlo con gli altri esseri umani, creando una ragnatela di informazioni, di conoscenza e di esperienza che possano elevare l’uomo oltre le proprie sperimentate e comuni vedute. Per l’uomo comune la conoscenza assume valore se egli la può sperimentare nella vita quotidiana, consapevole che tutto ciò che rimane solo come una teoria non serve a cambiare la vita individuale della persone. Con la nascita degli “elementi virtuali,” quali comportamenti attivi della nostra vita, l’uomo ha trovato l’occasione e il modo per porre in essere il suo desiderio di nascondere la propria solitudine planetaria fra il volto curioso della conoscenza, tanto che sembra volerla scambiare con l’indifferenza verso il mondo esterno, creando un vuoto nel confronto umano e nel bisogno di rapportarsi con le altre specie viventi. Usciamo da noi stessi, dal nostro credo personale e allontaniamoci dal rimanere chiusi fra le quattro mura di una casa, lì dove la sola luce di un televisore appare come l’unico e imprescindibile punto di riferimento e di confronto per muoverci nella realtà della vita, escludendoci ed isolandoci in automatico dal mondo della presenza reale e fino a disintegrarne la fantasia che vive in noi. Ai giovani d’oggi vorrei dire di non usare i grandi mezzi di comunicazione oltre quel che serve per il lavoro o per intrattenere brevi ed essenziali comunicazioni e di preferire sempre, rispetto ad un colloquio virtuale, uno scambio umano e culturale fatto di emozioni, di parole e di occhiate rivolte al nostro interlocutore. Noi tutti, come cittadini di questa grande comunità internazionale, abbiamo l’opportunità di agire direttamente in difesa della nostra libertà di pensiero e di azione, ponendo la realtà come condizione essenziale per costruire i rapporti umani e come centro formativo del valore individuale. E’ un tan – tan quello di cui vi parlo e se ognuno di noi in questo messaggio riuscisse a far capire ad un altro individuo l’importanza di rimanere noi stessi, sia pur utilizzando le più raffinate tecnologie, e anche di fronte al forte desiderio umano di prevalicare la nostra immagine, allora non avremmo più nulla da temere per alcuna mala interazione che giunga dal mondo esterno. “la libertà umana è fatta per immaginare”.
Gli intellettuali in questo senso hanno ed avranno un grande “ruolo ammortizzatore” da proporre, attraverso i grandi e moderni mezzi di comunicazione e in modo diretto e indipendente da ogni potere ideologico o di ordine economico, alle grandi masse di popolazione interessate, dove occorre portare avanti con sollecitudine ed energia una massiccia e importante informazione per quello che di vero accade, dovendo rapidamente creare e costruire una “Struttura Culturale.” La formazione culturale non sarà un elemento sufficiente a sollevare l’uomo dal proprio limite e dal proprio credo personale, portandosi volontariamente o passivamente ad annullare le sue consuetudini e le sue abitudini, perché radicate da secoli nella sua esperienza millenaria da porre in relazione all’ambiente dove egli ha cresciuto la sua identità, un cambiamento epocale è quel che serve per iniziare un nuovo percorso della nostra evoluzione. In un mondo che diviene espressione di un potere sempre più virtuale, risulta così assai difficile pensare ad una nuova rivoluzione che possa ricambiare le sorti umane, perché a differenza del passato, nel quale l’oppressione aveva un volto, un nome, ed un luogo da quale proveniva, ora tutto appare così evanescente, incontrollabile, inafferrabile e in continua mutazione, rendendo l’essere umano disorientato dal poter prendere le proprie difese e allontanandosi di riflesso da una sicurezza personale. L’unica rivoluzione alla quale l’uomo può pensare è quella culturale, ricominciando dal “Punto Zero” di tutto il suo percorso, rispolverando, rivalutando e attingendo dalla semplicità e dall’essenzialità delle cose le condizioni fondamentali che nella vita hanno il valore generale della sopravvivenza; non occorrono così grandi paroloni per riempire la nostra testa di confusioni e di inutili teorie, ma solo riportando la specie umana al centro di un gioco che fa parte della nostra dimensione potremo vivere ancora un’esistenza di grande emozione. Ma forse anche questo capitolo dell’umanità si sta chiudendo, in funzione di aprirne un altro ben diverso, dettato e impostato da una intelligenza che talvolta appare artificiale, tanto è il poco buon senso che pone nelle sue decisioni, probabilmente stimolata e motivata dal dover trovare la matrice del significato della nostra vita, dove nessun ostacolo non è sormontabile dall’istinto di ricongiungerci con la fonte primaria ed assoluta della nostra dimensione. “siamo fra ciò che cerchiamo”! C’è un obbligo per tutti: I “Capi religiosi” di tutte le religioni umane porteranno l’obbligo e la fede di un sacro impegno per una nuova, grande e grave responsabilità che sappia evitare l’insorgere di una catastrofica “Guerra Santa” che coinvolgerebbe molti milioni di persone, riproponendo al percorso dell’umanità un ricorso storico che appare come una sorta di riscatto derivante dal passato e dove, per salvare l’uomo da uno sfacelo di grandi proporzioni, ci dovrà essere in ognuno di noi la volontà e il desiderio di rinunciare all’affermazione singola dell’esistenza del proprio Dio personale. “Dio aspetta l’uomo nella ricerca della sua verità”. L’onestà di un uomo è il coraggio della sua sincerità. Poniamo quindi ai piedi di questo “Albero Emotivo” la speranza di un Natale sobrio, addobbandolo con la consapevolezza umana dei nostri coercitivi limiti e desideri, richiamati dallo scintillio di una nuova coscienza che non brilli solo nell’etere delle nostre illusioni, ma che possa illuminare con la sua intensa spiritualità e forza vitale l’essere umano nel suo profondo buon senso. Noi tutti, indirizzandoci verso una luce di conoscenza che punta dritto nella costellazione della comprensione umana e nel valore insostituibile di una entità sovrana, ritroviamo nell’uguaglianza fra gli esseri viventi la consapevolezza che le uniche diversità che l’uomo prova sono da attribuire ad un diverso modo di interpretare il bisogno personale del piacere, puntando altresì, per contrapposizione, alla convergenza fra il rispetto e il bene comune come valore imprescindibile di riferimento alla vita e al ritrovamento della dimensione smarrita dell’eternità. Il regalo più grande che possiamo fare a chi amiamo, a chi riteniamo un amico, a noi stessi e al mondo intero, è un albero colorato e addobbato con le speranze e i desideri di tutti gli esseri umani, dove la nascita della vita ha una sola matrice. “quel che nasce dall’uomo è la speranza di non morire con essa”. AUGURO a TUTTI e a TUTTO il MONDO l’inizio cosciente di una nuova ERA dove: quel che sarà è legato a quello che sappiamo essere.
Bellissimi (di Dolcedo)……………………………. 14/12/12 Letto 2038 volte. | ![]() | ||||||||||
Commento by Fabio Strafforello — 18 Dicembre 2012 @ 00:30
Pubblico il commento al mio articolo che ha voluto rilasciarmi Gian Gabriele Benedetti.
Come sempre, quello di Fabio non è un augurio natalizio semplicemente formale, bensì complesso, articolato, speculativo itinerario, che si fa profondo scavo meditativo sull’esistere e sulle grandi problematiche attinenti ai tempi attuali. L’ampia disanima spazia attentamente e minuziosamente lungo tutto il percorso dell’umanità, che vede l’uomo e la società assai disorientati e non poco travagliati. La tensione narrativa si scontra con una verità che non offre sprazzi di luce, ma anzi si fa gioco pesante di lunghe, ingombranti ombre. Ed ecco allora levarsi il grido della ragione e del cuore a spingere ciascuno di noi, a qualsiasi livello, a ricercare ed a ritrovare l’assunzione di responsabilità, onde evitare una catastrofe annunciata. Quindi, esortazione convinta e decisa a riproporci un modo di vivere secondo i sani principi di una vera e consapevole coscienza, per almeno arrivare ad intravedere chiarori di azzardi possibili. Nessuno può derogare alle proprie incombenze e ai propri obblighi civili, sociali, morali e religiosi in ogni aspetto della vita ed in ogni settore umano, pena il raggiungimento di un drammatico capolinea.
Accogliamo, dunque, questo pressante messaggio-invito di Fabio e meditiamo a fondo, vedendo, attraverso un comportamento adeguato, di superare quell’area di pessimismo che scorre, a ragione, tra le righe di questo scritto, denso di pensiero e di denuncia. Ricordando, a consolazione, che, anche se il mondo, ogni giorno più distratto, confuso e indifferente, sembra voler svuotare il vero senso del Natale e dimenticare l’uomo, la luce del Dio che nasce sarà immancabilmente palpito vitale, con l’apporto delle persone di buona volontà, a vincere qualsiasi buio. Ed è con questa speranza che esce anche dal mio animo l’augurio più vivo e più forte per Fabio, per i suoi cari e per tutti.
Gian Gabriele Benedetti
Grazie Gian Gabriele, come sempre il tuo commento è preciso, puntuale, motivato e vorrebbe stimolare, fra i lettori e gli autori della rivista di Bartolomeo, chi voglia creare o aprire un confronto e un dibattito costruttivo, condivisibile o meno, sui contenuti del testo, in maniera da poter dare corpo ai nostri migliori umani proponimenti, non lasciandoli solo come fragili teorie e mettendoci volontariamente altresì fuori gioco da un ruolo fondamentale per portare avanti un tentativo di cambiamento culturale, che, sia pur da espletare nell’ambito ristretto del nostro piccolo mondo, ci porti a sperare in un futuro di maggior realismo.
Considero Gian Gabriele un “Padre Spirituale,” anche senza averlo mai direttamente conosciuto, colui che in diverse occasioni e anche rilasciando commenti ai miei lavori letterari, mi ha spinto e motivato con ragione a non abbandonarne questo filone, ma a continuare, sia pur senza troppo affanno, su questa lunga strada maestra.
A lui sono molto grato e anche in questa occasione lo ringrazio.
Fabio Strafforello 16/12/12