Importante è essere narratori
20 Agosto 2009
Se andate qui trovate una discussione su di un aspetto della narrativa di oggi. Di discussioni di questo tipo se ne fanno molte. Sono utili? Sono fuorvianti?
Ebbene, sono discussioni che non portanto a niente, secondo me. La letteratura, se ha qualcosa di speciale, è proprio la sua imprevedibilità. Non ci sono regole per scrivere. Non ci sono confini. Quando meno te l’aspetti, nasce il capolavoro, nasce la novità, che nessuna analisi critica è riuscita a prevedere.
Tutto ciò che parla di categorie della letteratura, di caselle in cui confinare i romanzi, di definizioni dei generi, è capzioso e fuorviante.
La letteratura rifugge ogni classificazione, respinge ogni analisi, nessuno scrittore si assoggetta a schemi precostituiti, ma cerca sempre di inventarne di nuovi, secondo il suo estro. Si può sostenere addirittura che nessun romanzo soggiace alle intenzione del suo autore, né raggiunge mai lo scopo prefissato dall’autore, vivendo di vita propria, sempre imprevedibile e stupefacente.
Dilettarsi ad analizzare la letteratura è l’ozio di chi considera la letteratura al pari di un’operazione aritmetica. Così non è e così non potrà mai essere.
Leggo molti romanzi. L’unico requisito che si deve richiedere ad un romanzo è la capacità di raccontare e di sapersi confrontare con il lettore. Quanto più grande è il numero dei lettori che raggiunge, tanto più il suo autore può definirsi narratore. Non ci sono categorie entro le quali riuscire a incasellare un narratore autentico. Egli ha un solo scopo, essere se stesso nel momento in cui si affida alla letteratura. E ogni autore non è mai uguale ad un altro.
Letto 2259 volte.
Commento by giuliomozzi — 20 Agosto 2009 @ 10:13
E infatti, Bartolomeo, il mio articolo non propone “regole per scrivere” e tantomeno “schemi precostituiti”, non mette “confini”, rifiuta (fin dal titolo!) una definizione di “genere”, eccetera.
In questo intervento tu, invece, poni regole e schemi: “L’unico requisito che si deve richiedere ad un romanzo…”, eccetera, è infatti – fin nella sua forma grammaticale – una regola. E “Quanto più grande è il numero dei lettori che raggiunge, tanto più il suo autore può definirsi narratore” è uno schema.
Infine: se “dilettarsi ad analizzare la letteratura è l’ozio di chi considera la letteratura al pari di un’operazione aritmetica”, che cosa sono le tue innumerevoli (e sempre benvenute) recensioni?
Commento by Bartolomeo Di Monaco — 20 Agosto 2009 @ 11:22
Intanto, Giulio, grazie.
Forse, a riguardo della tua ultima annotazione, avrei fatto meglio a scrivere “classificare”, piuttosto che analizzare.
Quando si legge un romanzo lo si analizza sempre, anche se inconsapevolmente. Come mi fai notare, lo faccio anch’io con le mie letture.
Quello che invece richiedo (oviamente è il mio punto di vista) al romanzo è una sola regola (sì, una regola, ma quanto fondamentale, proprio perché imperniata sulla più completa libertà dalle regole: non sembri un paradosso!), quella che sappia raccontare e sappia raggiungere il maggior numero di lettori. Ciò avviene in modo naturale. In tal caso QUELLO scrittore ne è lo strumento privilegiato. Nessuno scrittore, secondo me, si rende conto di aver scritto un capolavoro, al massimo può provare la sensazione di aver scritto un buon romanzo.
Confesso che mi dà fastidio quando si cerca di tirare per la giacca il romanzo. Quante riviste si sono consumate e si consumano (mi ricordo Il Verri; Quindici, e così via) in discussioni sulla classificazione del romanzo. E invece, il romanzo nasce da sé in qualche parte sperduta del mondo, spesso opera di autori-strumento, a cui mai è interessata una discussione sul romanzo (esempio: che cosa è il romanzo? il romanzo è morto? che cosa è lo sperimentalismo? che cosa è il minimalismo? e cose di questo genere) Nessuna di queste discussioni è destinata ad influire sul romanzo di quello che io definisco il narratore autentico. Può influenzare invece coloro che sanno scrivere soltanto senza la grande emozione creativa che genera l’arte.
E’ un discorso difficile, almeno per me, e non so se con queste poche righe riesco a farmi capire, soprattutto da te, con il quale più di una volta non so entrare in sintonia.
P.S. Ti faccio i migliori auguri per l’uscita il 22 settembre della tua raccolta di racconti. Celiando con cletus dissi che gli cedevo il primato sulla recensione del tuo libro sulla Bottega, e tu rispondesti che non desideravi che si parlasse in casa tua dei tuoi libri. In questi giorni sfogliando la tua rivista sono incorso nell’articolo del 16 luglio di Francesco Sasso riguardante il tuo “Il culto dei morti nell’Italia contemporanea”, che tu hai prelevato da Retroguardia 2.0.
Hai cambiato idea? In ogni caso del tuo libro ne parlerò qui, sulla mia rivista, con molto piacere.
Commento by giuliomozzi — 21 Agosto 2009 @ 10:04
Quindi sia chiaro, che tu poni una regola. Io no: io ho descritta una tendenza. Quindi la tua critica a chi mette regole allo scrivere non mi riguarda, e non c’entra nulla col mio articolo.
Mettiamo che davvero “nessuna di queste discussioni sia destinata a influire sul romanzo”. Tuttavia, influiscono assai su che cosa si pubblica e che cosa no. Le persone che scrivevano nel “Verri”, in “Quindici” eccetera hanno influito assai su cosa si pubblicava in Italia in quegli anni.
Non ho cambiato idea sul fatto che non mi piace più che tanto che “in casa mia” si parli dei miei libri. La differenza è che l’articolo di Francesco parla di un mio libro che non è più in vendita: la sua recensione, per quanto laudativa, non può farmi guadagnare un soldo.
Peraltro, ciascuno faccia come vuole.
Commento by Bartolomeo Di Monaco — 21 Agosto 2009 @ 10:44
Il tuo articolo mi ha dato solo lo spunto per una mia osservazione su chi ancora discute di queste cose sulla narrativa. Sono discussioni capziose, legittime, per carità, ma capziose, perché hanno poco a che fare con le sorgenti imprevedibili dell’arte. Riconosco che mi è difficile spiegarmi sull’argomento e posso essere frainteso, poiché parto dal mio punto di vista e ho presenti gli scrittori che piacciono a me in modo particolare. Ma ci provo ancora: restiamo in Italia e restiamo nella narrativa.
Il Verri, Quindici, I Quaderni Piacentini, e così via non hanno influito e non influiscono, secondo me, su quelli che considero i migliori narratori di casa nostra: Sgorlon, Abate, Nigro, Cappelli, ad esempio. Nemmeno su di te, che sono sicuro, quando scrivi i tuoi splendidi racconti, lo fai per un movimento spontaneo della tua anima.
Né le discussioni del Novecento hanno influito su scrittori come Verga, Bacchelli, Tomasi di Lampedusa, Pavese, Berto, Calvino. Bada, sono solo alcuni esempi.
Voglio dire che il narratore autentico impronta di sé la letteratura con le sue opere, che egli scrive ascoltando il suo cuore e la sua mente, ossia la sua ispirazione. Nessuna discussione sul minimalismo o su quant’altro si voglia potrà mai impedire a Sgorlon di essere se stesso quando scrive.
Joyce si sarà interessato alle discussioni del suo tempo, ma quando si è messo a scrivere, lo ha fatto, secondo me, assecondando la sua vocazione. Se fosse vissuto in un’isola deserta (così D’Arrigo) avrebbe scritto allo stesso modo l’Ulisse e Finnegans Wake.
Commento by Felice Muolo — 21 Agosto 2009 @ 18:13
Piatto ricco mi ci ficco. Sono d’accordo con Bartolomeo ma le anlisi di Giulio non vanno mai disdegnate. Giulio, mi pare di avertelo già detto, sei l’unico scrittore che riesco a leggere con grande godimento. Comprerò anch’io la tua prossima pubblicazione. Auguri.
Commento by kalle — 22 Agosto 2009 @ 16:33
Bart, ho un problema quando dici che un “narratore autentico impronta di sé la letteratura con le sue opere, che egli scrive ascoltando il suo cuore e la sua mente, ossia la sua ispirazione”. In questo modo escludi il fatto che un narratore sia anche un lettore di testi altrui. Le opere di un autore spesso -sempre, vorrei dire- risentono di questo fatto. E’ il motivo per cui esistono tendenze, correnti, stili di letteratura. Forse non e’ importante per un autore (anche se io non lo credo), ma mi sembra che per comprendere davvero un testo sia necessario tenere conto di tutto cio’. In parte, cio’ significa classificare, creare generi. Tu parli di Joyce, ma proprio Joyce e’ prima di tutto un autore che legge altri testi. Basta pensare alla varieta’ dei riferimenti stilistici e linguistici dell’Ulisse. Non pensi che egli, come qualsiasi autore credo, avesse punti di riferimento in termini di lingua e stile? Se cio’ e’ vero, mi sembra inevitabile tornare a parlare di generi e schemi.
Commento by Bartolomeo Di Monaco — 22 Agosto 2009 @ 17:33
kalle, certo che un narratore ha dietro di sé (deve avere dietro di sé) un ricco bagaglio di letture! Esso è fondamentale quanto l’apprendere le lettere dell’alfabeto e il come metterle poi insieme per comporre la prima delle tante frasi che si scriveranno nella vita.
Anche ciò che si studia a scuola – sebbene spesso di malavoglia – entra in noi stessi e ci forma, arricchendoci. Ci arricchisce viaggiare, ci arricchisce guardarci intorno, ci arricchisce vedere e conoscere altre espressioni artistiche (musica, pittura, scultura, e così via). Tutto ciò diviene la fonte primaria della nostra ispirazione di artista (quando questa ispirazione l’abbiamo)
Ciò che voglio dire è però che quando un narratore autentico (con autentico intendo il narratore vocato alla narrazione: dico ogni tanto che si può avvertire in un rormanzo “il respiro del narratore”. Esso è difficilmente spiegabile, ma lo si sente, e trasferisce in noi tempi e misure della narrazione che ci trasmettono – a prescindere da ciò che si racconta – uno speciale piacere che si impossessa di noi), ecco, quando uno di questi narratori autentici si mette a scrivere egli fa i conti soltanto con il se stesso che è diventato. La sua spinta è il raccontare e ogni movimento, ogni categoria di scrittura, ogni classificazione che ha incontrato nelle sue letture, non ha più niente a che spartire con lui nell’atto in cui partorisce la sua scrittura, che è soltanto sua.
Se qualcuno scrivesse pensando a tutte le teorie lette sulla scrittura non potrebbe mai essere un narratore autentico, ma un narratore minore, che la storia dell’arte farebbe presto a dimenticare.
Una scrittura falsa (ossia che non ha amalgamato in modo naturale la sapienza incontrata) è proprio quella che intenzionalmente vuole inserirsi in una corrente letteraria. L’artista autentico non ha correnti letterarie, ma – come ho scritto – “impronta di sé la letteratura con le sue opere, che egli scrive ascoltando il suo cuore e la sua mente, ossia la sua ispirazione”. Egli non può soggiacervi. Quando gli altri leggeranno le sue opere, esse faranno parte della loro formazione e ispirazione in un’amalgama che nell’artista autentico (e non in quello che imita) si tradurrà in una scrittura propria.
Joyce quindi ha fatto diventare parte di sé tutto ciò che ha incontrato nella vita (come è per tutti, anche per me che scrivo poco e male. A questo proposito nella sezione Romanzi e Testi a puntate puoi trovare alcuni miei romanzi nella traduzione inglese di Helen Askham, ad esempio qui), ma quando si è messo a scrivere, il lettore può anche incontrare i segni della sua formazione, come la si può incontrare nelle cicatrici che segnano talvolta il nostro corpo, ma l’insieme che ne risulta è una cosa del tutto nuova, e in questo caso è Joyce.
Secondo me, inoltre, solo un narratore autentico può scrivere un capolavoro.
Spero, kalle, di avere fatto un altro passo avanti per chiarire il mio pensiero, visto che si tratta di un argomento difficile e complesso.
Commento by kalle — 24 Agosto 2009 @ 17:41
Bart, grazie dei chiarimenti, condivido varie cose di quanto scrivi.
Commento by Bartolomeo Di Monaco — 24 Agosto 2009 @ 17:48
Grazie a te, kalle. Per me è un onore dialogare con te.
Commento by giuliomozzi — 30 Agosto 2009 @ 19:04
Bartolomeo, scrivi – rivolgendoti a me -: “Sono sicuro che quando scrivi i tuoi splendidi racconti, lo fai per un movimento spontaneo della tua anima”.
Guarda: trovo davvero intollerabile che tu sia così sicuro a proposito dei movimenti – spontanei o no – della mia anima.
Commento by Bartolomeo Di Monaco — 30 Agosto 2009 @ 20:32
Qui ci posso fare ben poco, Giulio. Se credi di avere un’anima (è affar tuo, ovviamente) è sicuro che questa si muove (non con le gambe, certo).
Commento by giuliomozzi — 31 Agosto 2009 @ 09:30
Non menare il can per l’aia, Bartolomeo. Tu ti dichiari “sicuro” che quando io faccio una certa cosa, ciò avviene per un “movimento spontaneo” mia anima.
Se affermi qualcosa del genere, ne deduco che tu sia convinto di avere informazioni precise sui movimenti della mia anima.
E questo mi pare, come ho scritto, intollerabioe.
Commento by Bartolomeo Di Monaco — 31 Agosto 2009 @ 10:20
Mi sono domandato spesso, Giulio, che cosa ti induce ad interventi di questo tipo, tanto pignoli da rasentare l’assurdo.
L’assurdo: perché nemmeno tu sai niente della tua anima (ammesso che tu ne riconosca l’esistenza). Io mi sono limitato a definire “movimento spontaneo” ciò che avviene sicuramente in ogni anima, compresa la tua. La mia è una considerazione generale, dunque, anche se riferita a te.
E qui ora si va nel difficile, sia per me che per te.
Chiamo anima (naturalmente è una mia interpretazione, da cui discendono le cose che ho scritto e scrivo) quella parte dell’uomo che racchiude l’inspiegabile: quella serie ininterrotta di sensibilità, di sentimenti, di ispirazioni, che non sono riconducibili alla sensorialità.
E’, sempre secondo me, la parte che fa diversa una persona da un’altra.
L’artista avverte e vive in modo speciale questa parte misteriosa.
Quando tu ti metti a scrivere (non solo tu: il mio discorso si riferiva a te, ma, ripeto, è di carattere generale), lo fai per un movimento (chiamiamolo ispirazione, sussulto, emozione, e così via) dell’anima, che ad un certo punto ti spinge a scrivere.
Non è la mente (la ragione) che ti spinge a scrivere ma quella che convenzionalmente abbiamo chiamato anima. La mente si limita ad organizzare, a dare ordine al movimento spontaneo dell’anima. L’anima è sempre in movimento; le sue antenne non si spengono mai, indirizzate all’interno e all’esterno di noi, fino a che qualcosa non viene colto che ci spinge a scrivere (nel caso di uno scrittore, come sei tu)
Tu giudichi intollerabile una mia idea dell’uomo che hai voluto troppo frettolosamente applicare a te stesso, mentre riguarda tutti, e in modo speciale gli artisti.
Non sei tu, e non io, un tantino intollerante?
Commento by giuliomozzi — 31 Agosto 2009 @ 14:44
Bartolomeo, se chiami anima “quella parte dell’uomo che racchiude l’inspiegabile”, come fai a fare delle affermazioni sul conto dell’anima in generale, e della mia in particolare?
Che ne sai tu dei “movimenti dell’anima”? Su quali basi sostieni che “non è la mente (la ragione) che ti spinge a scrivere ma quella che convenzionalmente abbiamo chiamato anima”? Su quali basi sostieni che “la mente si limita ad organizzare, a dare ordine al movimento spontaneo dell’anima”? Su quali basi sostieni che “l’anima è sempre in movimento”? Come puoi metterti a descrivere il funzionamento di qualcosa che, poiché “racchiude l’inspiegabile”, è indescrivibile?
Dilettarsi ad analizzare l’anima, mi vien da dire, è l’ozio di chi considera l’anima al pari di un’operazione aritmetica.
Commento by Bartolomeo Di Monaco — 31 Agosto 2009 @ 15:07
Non c’è la risposta che cerchi, come non c’è nelle varie filosofie che hanno accompagnato la storia dell’uomo.
Io ho dato, a questo stadio della mia vita (ne ho il diritto), la mia intepretazione su cosa intendo per anima e che cosa intendo per ragione.
Per inspiegabile intendo ciò che si avverte e a cui non si può dare una spiegazione razionale. Come per Dio, che lo si può avvertire, ma non lo si può spiegare se non con le varie teologie che esistono da sempre, come esistono da sempre le varie filosofie.
Al contrario di quanto scrivi io non mi diletto a considerare l’anima “al pari di un’operazione aritmetica”. Anzi mi pare di fare il contrario, sostenendo che è la parte inspiegabile di noi. Puoi definire come nasce una ispirazione? o una sensazione? o una emozione? Puoi solo supporre. Sono cose che provengono dall’anima. Ne sono i movimenti. Portano in sé il suo mistero.
Vorrei aggiungere che se si potesse rispondere (come vorresti tu) su che cosa sia l’anima, saremmo in grado di arrivare a Dio.
Se l’anima è inspiegabile, non per questo non si può sostenere che essa è in continuo movimento. L’uomo anche quando dorme è in movimento, sempre. Perché non può esserlo la parte più rappresentativa della sua personalità, ossia l’anima? Senza la sua parte sconosciuta e incontrollabile l’uomo non sarebbe che una misera cosa. Da essa nasce la poesia, nascono i capolavori, in una parola nasce l’arte.
Puoi tentare di interpretare l’arte, ma non potrai mai spiegarla per ciò che realmente è. E lo sai perché? Perché nasce dall’anima; nasce dal mistero, dalla parte inspiegabile che è in noi.
Giulio, mi stai trascinando su di un terreno difficile, che non domino completamente, ma di cui avverto tutta l’importanza perché è così che io lo vivo.