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LETTERATURA: INCIPIT: Gabriele Marconi – Errico Passaro: “Il regno nascosto”, Flaccovio, 2008

12 Maggio 2008

1

Sogni, racconti e idromele dorato

Quando l’oste vide entrare i tre giovani, fradici di pioggia e sfiniti, si allontanò dal tavolo al centro della sala e tornò al bancone.
«Benvenuti alla Locanda del Melograno! », li salutò asciugandosi le mani sul grembiule. Non che si aspettasse di stringere mani, ma le usanze dei forestieri, bah!, chi le capiva, certe volte? E quei tre non li aveva mai visti in giro, poco ma sicuro. «Abbiamo stufato con i fagioli, se volete mangiare. Uova sode e patate cotte alla cenere. E la migliore birra del circondario ».
Il più massiccio dei tre gli sorrise, socchiudendo gli occhi a mandorla: «Accidenti! Addirittura la migliore. Visto, Faardil? Siamo capitati bene ».
«Garantito! Provate a confrontarla con quella dei miei rivali ».
«Per la verità è l’unica locanda che siamo riusciti a trovare qui a Cuterbor », disse quello chiamato Faardil.
L’oste allargò la bocca in un sorriso da canaglia: «Appunto, che vi avevo detto? Non ne troverete una migliore ».
«Quand’è così, vogliamo il servizio completo: stufato e tutto il resto e birra come si deve. Abbiamo cavalcato a lungo e questa pioggia fitta e continua è stata una brutta compagna ».
«Siete di passaggio o vi fermate per la notte? ».
«Dormiremo qua. C’è qualcuno che può occuparsi dei cavalli? ».
«Come no… Roddy! Ehi, Roddy! », gridò l’oste per sovrastare il chiasso degli avventori, che al centro della sala esplodevano in urla improvvise. «Sistema per la notte i cavalli di questi signori. E mi raccomando: la biada migliore! ».
«La migliore del circondario… », disse il primo giovane.
«Migliorissima! », rispose Roddy il garzone, piccolo e segaligno, che arrivò di corsa e di corsa uscì, coprendosi con uno straccio prelevato al volo da un gancio dietro la porta. Ridendo, i tre forestieri andarono a sedersi a un tavolo vicino alla finestra, dal quale avevano una buona visuale su tutta la sala.
Non erano lì per caso. La Locanda del Melograno, nonostante le fanfaronate del padrone, era una bettola fumosa, senza alcun pregio di rilievo, ma era là che, da tempo immemore, la gente della valle si sfidava nell’antica competizione del Braccio-di-ferro. Quella sera, come al solito, era affollata da un buon numero di avventori, tutti uomini tranne un vecchio nano e i suoi due nipoti, ultimi tre superstiti della comunità nanesca di Cuterbor, che rispondevano ai nomi di Althorf, Vitur e Tekkur. Il più vecchio, Althorf, portava una grande barba bianca, ben pettinata e lunga fino alla cintola; i nipoti si distinguevano dal ve ­gliardo solo per il riflesso corvino delle loro barbe, per le qu ­ali i due sembravano avere molte meno cure. Ma era per il vecchio che i tre giovani erano arrivati fino a Cuterbor.
Al centro della sala, dentro un cerchio di clienti vocianti, Tekkur umiliava uno dopo l’altro gli sfi ­danti a Braccio-di-ferro. Le scommesse fioccavano, su un sottofondo di impre ­cazioni, battimano, ululati di soddisfazione o rammarico se ­condo le alterne fortune di giocatori e scommettitori. Il nano sembrava non accorgersi della cornice di avventori, molti piuttosto alticci e malfermi sulle gambe: nella sua esaltazione, vedeva solo il braccio dell’avversario di turno e desiderava solo schiacciarlo sul tavolaccio con tutta la rabbia repressa che aveva accumulato negli ultimi mesi.
Dopo aver bevuto la birra portata dall’oste, uno dei tre stranieri, il più massiccio, si alzò dal tavolo e si fece largo nella folla fino a Tekkur.
«Buonasera a tutti voi! », esclamò. La sua voce e la sua presenza fisica gli garantirono l’attenzione di tutti, ubriachi e non. Persino l’ultimo sfidante di Tekkur si distrasse per un attimo fatale, an ­ticipando così l’inevitabile sconfitta.
«Mi hanno riferito che in questo villaggio c’è un prode dal braccio possente! », declamò lo straniero rivolto al nano, guardandolo con oc ­chi a mandorla che lo facevano somigliare a uno scorridore delle Lande Deserte. «Sarà, la sua forza, memorabile come le parole che ho sentito su di lui? ».
La sfida era formulata secondo le consuetudini. Tekkur non poteva tirarsi indie ­tro e, dopotutto, aveva sconfitto uomini ben più robusti e minacciosi del gio ­vane che adesso aveva di fronte.
«E sia! », esclamò. «Fatti avanti e fai del tuo meglio. Ma prima presentati, perché alla fine io, Tekkur, sappia chi avrò bat ­tuto! ».
«Il mio nome è Cardec », fu la pronta risposta del ragazzo, «e loro », aggiunse indicando i compagni che si erano avvicinati, «sono Faardil e Silving ».
La competizione iniziò senza ulteriori indugi. Quando Cardec gli si sedette da ­vanti, il nano puntellò il gomito su un rialzo del tavolaccio, per avere il braccio alla stessa altezza di quello dell’umano, e afferrò la mano dell’avversario in una stretta mozzafiato. Quello non cedette d’un palmo alla prima, vigorosa spinta di Tekkur, limitandosi a guardarlo fisso negli occhi e, da quel che si poté capire, contava di batterlo sulla resistenza: doveva venire davvero da molto lontano, per conoscere così poco l’inesauribile energia dei Nani…
La situazione di stallo durò per interi minuti, durante i quali una più sottile bat ­taglia di sguardi si consumava al di sopra del nodo di dita. Gocce di sudore im ­perlavano la fronte dei con ­tendenti, mentre intorno a loro celie e bestemmie ca ­larono di tono fino a spegnersi in un teso silenzio. A un certo punto della contesa, Cardec credette d’indovinare un momento di cedimento del nano. Sfruttò l’occasione appa ­rentemente propizia e si produsse nello sforzo finale, deciso a chiudere il conto. Mal gliene incolse! Tekkur, che non aspet ­tava altro, lo prese in controtempo e schiantò il braccio dell’av ­versario sul duro legno.
Fra gli spettatori qualcuno imprecò, qualcun altro esultò, men ­tre alcuni pezzi d’argento passavano di mano. Il giovane fore ­stiero si massaggiò la spalla con una smorfia sorridente, poi strinse l’avambraccio del vincitore senza astio e, come voleva l’usanza, pagò un giro di birre a tutti i presenti; quindi fu invitato insieme ai suoi compagni al tavolo dei nani. Vitur e Althorf si alzarono per salutare i nuovi venuti.
Passarono una mezz’ora a commentare la situazione del Manerim, la regione di Cuterbor, che si trovava in mezzo ai due regni in guerra, quello del Sud e il Regno delle Montagne Bianche. Quest’ultimo aveva infine scelto di sostenere il principe di Aelinbar, esiliato dal Governatore che aveva usurpato il trono del Sud. Per il momento si trattava ancora di piccole scaramucce e scontri di confine. Ma la guerra aperta sarebbe arrivata.
«Sarà a primavera », profetizzò il vecchio Althorf, «quando le nevi libereranno i passi sulle montagne. Oltretutto ci sono ancora da definire molte alleanze ». Allora il nano si appassionò nella descrizione dell’intricata rete di amicizie e ostilità che da secoli attraversava quelle terre, da nord a sud. Infine, sollecitato dai nipoti a raccontare una di quelle leggende per le quali era giustamente rinomato, non si fece pregare. Si lubrificò le corde vocali con un lungo sorso di birra e prese a raccontare dei vecchi tempi, dell’ascesa e del declino della loro stirpe, delle meraviglie del Nanosterro, nell’estremo Nord, perduto cuore del Regno dei Nani. I forestieri ascoltarono affascinati il racconto del vecchio, mentre i nipoti di lui sembravano perduti in gravi considerazioni. Ripensavano, i due, a quanto era accaduto nei mesi passati…
Pochi giorni prima era stato il Solstizio d’Inverno, e Vitur e Tekkur avevano celebrato la Creazione dei Nani. Era solo la seconda volta che partecipavano ai rituali degli adulti, eppure non era stata una festa felice come quella di sei mesi prima, quando, avendo raggiunto i cinquant’anni (età in cui un Nano diventa maggiorenne), Althorf li aveva portati nella miste ­riosa Sala Verde e, fra un boccale di sidro e una tirata di pipa, li aveva stregati raccontando dei tempi glo ­riosi in cui il passo serrato degli eserciti naneschi faceva tre ­mare valli e montagne del Grande Nord. Avevano ascoltato storie meravigliose di terribili battaglie e signori oscuri, di dra ­ghi spaventosi e laghi di luce, senza ca ­pacitarsi del perché gli Uomini – sempre pronti a dimenticare – le liquidassero come bizzarrie di vecchi storditi.
Alla vigilia del Solstizio d’Estate, Vitur e Tekkur avevano occupato la mattina a spaccar legna per la pira ce ­rimoniale, che avevano poi innalzato imponente sull’alta collina alle cui falde sor ­geva la loro casa. Avevano poi passato il pomeriggio nella Sala Verde, seguendo con il fiato sospeso le appassionanti narra ­zioni del loro tutore, osservando ogni angolo, ogni so ­prammobile di quella stanza alla quale per la prima volta erano ammessi. Sulle pareti di legno erano scolpite le gesta degli antichi re, dalla nascita dei Sette Padri dei Nani alla fondazione dei primi regni, dall’arrivo del grande drago Smaug sotto la Montagna al ritorno di Re Thorin Scudodiquercia, fino alle epiche gesta della Guerra dell’Anello. Risaltava, fra tutte, la figura regale del Sire delle Caverne Scintillanti, Gimli Amico-degli-Elfi: era raffigurato come un vegliardo assiso sul trono nell’atto di ascoltare un menestrello che faceva scaturire dalla propria arpa le immagini di una scena ulteriore, con Gimli giovane che, insieme agli altri componenti della Compagnia dei Nove Viandanti, rendeva omaggio a un’eterea regina degli Elfi. Tutto era magistralmente scolpito su pannelli di legno chiaro, su cui ri ­flessi come di bosco vergine erano proiettati da quattro finestroni di vetro verde che si aprivano sulla grande volta. «Qui », pensavano rapiti da quella luce d’in ­canto, «qui nostra madre incrociò per la prima volta gli occhi con nostro padre. Forse erano seduti proprio dove siamo noi ora… Qui parenti e amici piansero la loro prematura dipartita… Qui la comunità nanesca decise di partire per il Nord ». E annusavano avidamente quell’odore di cuoio vecchio che solleticava il naso, aprendo il cuore ai ricordi.
Sul finire del giorno, Vitur e Tekkur avevano scortato Althorf fin so ­pra la cima dell’al ­tura chiamata Tinlad-Pian di Scintilla e, a un segnale del vegliardo, avevano infine dato fuoco alla le ­gna. Le fiamme della pira si erano confuse con il fuoco del tramonto. Stagliati contro il rossore dell’incendio, i tre erano sagome scure dalle quali si levava la melodia di un antico canto nanesco. Il ritmo cadenzato del tamburo evocava il clangore dei martelli un tempo all’opera nelle miniere pro ­fonde, qu ­ando i filoni erano ancora vergini e le creature del sottosuolo contendevano a Uomini ed Elfi il dominio del mondo. La voce profonda di Althorf si era levata nel ­l’aria, riem ­piendo i cuori di Vitur e Tekkur. La mano del vecchio bat ­teva il tamburo ora lentamente, creando un’atmo ­sfera magica e arcana, ora violente ­mente, al passo di una mar ­cia ritmata da innumerevoli secoli, riportando agli occhi le immagini delle splendenti dimore dei Nani…

                                    Là nel lontano Nord, Re sotto la Montagna,
                                    Thorin Scudodiquercia vigila sopra il Tesoro.
                                    Sale lucenti e belle, d’oro, d’argento e gemme
                                    rallegrano la notte tetra pei Signori della pietra.
                                    Cotte di maglia ed elmi, asce taglienti e scudi:
                                    il silenzio è rotto dal clamore dei naneschi giochi rudi.

                                    Arpe d’oro suonano,
                                    voci roche cantano
                                    storie antiche e fiabe,
                                    sognano il lontano Nord!

                                    Cerca se vuoi trovare, parti se vuoi arrivare,
                                    solo rischiando avrai la speranza di vittoria.
                                    La strada è ancora lunga e stanche son le mie gambe
                                    ma solo lottando ancora con il cuore avrò vittoria.
                                    Rune di Vero Argento segnan le antiche porte
                                    brilleranno a luna piena, segneran la nostra sorte.

                                    Mura immense e splendide
                                    il Regno ancora guardano.
                                    Cantando i Nani marciano,
                                    sognano il lontano Nord!

Si era fatta notte. Le tenebre erano avanzate a circondare la pira del Solstizio, sebbene il rogo illuminasse d’uno splendore spet ­trale tutta la sommità della collina. Il canto era calato d’un ottava, ma il fuoco continuava a furoreggiare contro lo sfondo nero del cielo, eruttando sibilanti nuvole di scintille. Si sarebbe detto che le an ­tiche fucine fos ­sero state rimesse in funzione, e, nel ­l’atmosfera densa di auspici della Festa dei Popoli, si poteva anche giungere a cre ­derlo. Peccato che a quel ­l’appuntamento mancassero i rappresentanti delle altre genti della Terra, soffo ­cate dal loro scetticismo e dalla loro inarrestabile deca ­denza, scomparse a Ovest o chissà dove.
Infine, a Oriente, le tenebre avevano cominciato a indietreggiare, la ­sciando solo la Stella del Mattino come ultimo baluardo. Althorf aveva tirato fuori dalla giubba due medaglioni raffiguranti il sigillo di famiglia: un martello che colpisce un’ascia, spri ­gionando una cascata di scintille. Intrecciati i lacci con ramoscelli d’erica, la pianta sacra al Solstizio, li aveva assicurati al collo dei due gio ­vani, consacrando così il loro passaggio all’età adulta…

A questo pensavano Vitur e Tekkur mentre Althorf intratteneva i tre giovani uomini con i racconti del passato. Il loro animo era cupo e malinco ­nico, e a rallegrarli non bastava il profumo del ­l’idromele dorato. Spento l’entusia ­smo per aver partecipato fi ­nalmente ai rituali degli adulti, sentivano nel cuore tutto il peso della solitudine. Da che erano entrati per la prima volta nella Sala Verde, il tarlo della nostalgia per la grandezza passata del popolo di Durin scavava nelle loro teste come un tempo i loro antenati nelle miniere della Terra di Mezzo. Il loro pensiero andava incessantemente ai Nani partiti tanto tempo addietro verso il Nord per fondare un nuovo Regno. Il Regno! Riempiva i loro sogni notturni e quelli a occhi aperti: vedevano mura biancheggiare sui con ­trafforti di montagne mae ­stose… caverne luminose risuonare del lavoro di martelli ope ­rosi… la loro gente battere i calici ricolmi di birra e danzare al suono di viole, pifferi e tam ­buri. Vedevano davvero tutto questo, nel sogno e nel desiderio. E tra loro due, ormai, non parlavano d’altro.
All’ennesima citazione del Nanosterro, Vitur si riscosse dal suo torpore, solo apparentemente causato dal gran bere, e disse con tono speran ­zoso: «Pochi giorni or sono, abbiamo parlato con alcuni nomadi che giuravano di aver visto le mura, in una valle nebbiosa a nord delle Montagne Bianche ».
«Sciocchezze! », ribatté Althorf. «Il Nanosterro è caduto da così lungo tempo che al giorno d’oggi può essere solo un soffio di polvere nel vento ».
Vitur insistette: «Che motivo avrebbero avuto i nomadi per mentire… ».
«La gente parla per dar fiato alla gola, ecco perché. Ti dico che sono emerite sciocchezze! », ribatté Althorf, decisamente alte ­rato.
«Ma… ».
Il vecchio, conscio della presenza dei tre stranieri, si sforzò di addolcire il tono.
«Nipoti miei, non potete credere che il tempo sia passato in ­vano: è vero, il Regno non è leggenda, è storia. Ma è storia lontana, lontanissima, e da allora si sono succedute decine di generazioni. Tutto ciò che ne resta è il ri ­cordo di chi ha tramandato di padre in figlio la sua gloria… Racconti come i miei, fatti per accompagnare una serata davanti a una birra in buona compagnia ».
«Eppure quasi tutti i tuoi amici, e molti nostri parenti, partirono alla ricerca del Regno ».
«Certo, ma cosa ne è stato di loro? “Quando avremo rifondato il Nuovo Regno manderemo i messaggeri ai quattro angoli della Terra di Mezzo, così che anche quelli che oggi preferiscono restare, potranno infine raggiungerci”… Dissero proprio così. Ah! E cosa ne è stato, ditemi, ne avete visto qualcuno, forse? Se furono pazzi loro, dovrei esser pazzo anch’io? ».
Dalle espressioni, i tre stranieri sembravano parteggiare per i più giovani compa ­gni di bevuta, ma si astennero dai commenti.
«Non ci sono solo le testimonianze, zio Althorf », intervenne Vitur, «anche tu, come me e Tekkur, hai sognato la Montagna. E ti posso assicurare che il racconto dei nomadi corrispondeva qu ­asi alla perfezione con la visione del nostro sogno ».
«Bah! », l’interruppe spazientito il vecchio. «Nelle nebbie del sogno e tra le brume che regnano in quelle valli, si potrebbe scambiare per un rudere qualsiasi cosa… finanche un macigno, la car ­cassa di un troll pietrificata da uno stregone, un tronco d’albero abbattuto dal fulmine! Mi dispiace, ma non posso credere a ciò che non vedo con i miei occhi », s’irrigidì il vecchio nano.
«Allora, vieni a vederlo di persona! », fecero all’unisono i ni ­poti, meritando un’occhiata di rimprovero dal vegliardo.
«Andate voi, se credete. Per quel che mi riguarda, i miei giorni finiranno a Cuterbor ».
La risposta dei due giovani Nani lo lasciò impietrito non meno dei troll della vecchia leggenda.
«È proprio quello che abbiamo deciso di fare, zio. Partiremo domani stesso ».

SCHEDA DEL LIBRO
Autori: Gabriele Marconi – Errico Passaro
Titolo: Il Regno nascosto
Editore: Dario Flaccovio
Pagine: 361
Prezzo: 18,50 euro
Isbn: 978-88-7758-809-8CONTENUTO
Althorf e i suoi due nipoti, Vitur e Tekkur, sono gli unici Nani rimasti nel villaggio di Cuterbor. Dopo aver condiviso il mondo con gli Uomini abitando quartieri all’interno delle loro città, i Nani hanno deciso di tornare ai tempi antichi, lasciando le loro case per cercare un luogo adatto per ricostruire il loro regno, nel grande Nord. Solo in pochi sono rimasti: Althorf del Clan Mahûk è tra questi. E dei suoi fratelli, partiti tanto tempo prima, non ha mai più avuto notizie. Dopo aver ascoltato le storie sull’antico Regno dei Nani e sulla potenza della loro gente, Vitur e Tekkur si metteranno alla ricerca di questo luogo leggendario.

AUTORI
Errico Passaro è nato nel 1966 a Roma, dove lavora come consulente legale dell’Aeronautica Militare. Ha pubblicato oltre 1300 articoli, un saggio in volume, cinque romanzi (fra i quali “Le maschere del potere”, Nord), cento racconti. È titolare di rubriche di letteratura fantastica per Secolo d’Italia e Area. Ultime pubblicazioni su L’Indipendente, M-Rivista del Mistero, Il Falcone Maltese.

Gabriele Marconi è nato a Roma nel 1961. Giornalista professionista, è direttore responsabile del mensile “Area”. Ha iniziato scrivendo racconti ed è arrivato in finale al Premio Tolkien 1988 con il racconto Il Guardiano. Il suo primo romanzo è L’enigma di Giordano Bruno (Minotauro, 1996). Tra i fondatori della Società Tolkieniana Italiana, ha collaborato al Dizionario dell’universo di j.r.r Tolkien (Bompiani, 2003). Ha vinto il premio “Tolkien on line” con il racconto “L’ultima notte di luna piena”. Il suo secondo romanzo, Io non scordo (Settimo Sigillo, 1999), è stato riedito da Fazi nel 2004. Ha collaborato come autore alla trasmissione di Radio2 Rai La storia in giallo.


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Bart