La casa delle meraviglie: Lo sgabello di Mozart17 Febbraio 2014 di Bartolomeo Di Monaco Alzi la mano chi di voi non ha mai sentito fare il nome di Mozart. Nessuno l’ha alzata e sono felicissimo, giacché Wolfgang Amadeus Mozart è uno dei più grandi compositori della storia della musica, se non il più grande. A me  piacciono anche Beethoven, Smetana, Chopin, Litz, i due Strauss padre e figlio e qualche altro che non sto ad elencare per non tediarvi, ma sappiate che pressoché tutti gli intenditori si tolgono il cappello in segno di rispetto quando si fa il nome di Mozart. Una cattiva leggenda vuole che il suo maestro, l’italiano Antonio Salieri, a quel tempo considerato il migliore compositore presente alla corte di Vienna, ne fosse invidioso, giacché dalla bravura davvero precoce e straordinaria di questo bambino ne veniva ferito il suo orgoglio. Ma, stando a quanto scrive con risentimento il mio amico Stelvio Mestrovich, si tratta di una vera e propria calunnia messa in giro dai pettegoli di Corte. In realtà , Salieri stimava Mozart e ne comprendeva ed apprezzava il genio. Componeva come se la musica l’avesse già scritta dentro di sé e stupiva lo stesso imperatore, il quale, una volta descrittogli ciò che desiderava dal giovane (Mozart morì povero a 33 anni e le sue ossa furono gettate in una fossa comune!), questi si sedeva al pianoforte di Corte e magicamente scriveva proprio ciò che l’imperatore si aspettava! Aveva, Mozart, un carattere bizzarro. Come il lucchese Giacomo Puccini (un autore lirico che ancora è eseguito in tutto il mondo), non riusciva a contenere il suo linguaggio che spesso era poco castigato, ma la sua bravura, anzi il suo genio, gli facevano perdonare ogni difetto. Un giorno in cui mi ritrovo con mia moglie a casa di Pietrino e di Anna Lina per una visita di amicizia, lui mi confida che in quell’occasione ha una nuova novità da mostrarmi. Subito rizzo le orecchie, poiché Pietrino non mi ha mai deluso, né quando si mette a disegnare nella sua soffitta un quadro, né quando nel suo laboratorio riesce a ricavare da uno scassone di bicicletta una specie di scattante gazzella.    Quelle    sue    manone    sono    così grandi giacché sono nate per sapere fare di tutto e non consumarsi mai. Mi ci è voluto un po’ di tempo per capirlo. Le consideravo legate alla sua gigantesca persona, ed invece le avrebbe avute così grandi anche se fosse stato un nanerottolo. Le sue sono mani d’artista, non c’è altra spiegazione. Mani che devono saper lavorare in una officina meccanica ma anche in un laboratorio di oreficeria. “Che vedi qui?â€. Gli rispondo: “Un pianoforte e uno sgabelloâ€. “Eh no, devi guardare meglioâ€. Ma gli confesso che non riesco a vedere altro. “Allora, caro Bart, non hai gli occhi dell’anima, ma solo quelli miseri del corpo. Tu non puoi non notare questo sgabello messo proprio lì davanti al pianoforte!â€. “Ma davvero credi, Pietrino, che io non abbia visto quello sgabello?â€. “Certo che lo hai visto, mica ti considero scemo! Ma non lo hai visto con gli occhi dell’anima!â€. “Dunque io quegli occhi dell’anima non ce li ho!â€, rispondo fingendo di risentirmi. “In questo caso ti sono mancati del tutto. È un fatto inconfutabile!â€. “Non ti mettere ad usare parole difficili per scansare la parola imbecille: perché è proprio questo che volevi dirmi, non è vero?â€. “Ci mancherebbe altro! Anzi, scusami se ti ho dato questa impressione (cercò goffamente di rimediare), ma è che questo sgabello solo a vederlo si capisce che non è come gli altriâ€. “Dove l’hai trovato?â€. Allora Pietrino si distese, e cominciò a trasformare in soddisfazione quel suo sorriso sornione, e mi raccontò come erano andate le cose. “Questo sgabello l’ho trovato in riva all’Arno in una giornata autunnale, tutto diviso in pezzi. La prima sensazione che ho avuto nel vederlo così mal ridotto e sparpagliato sul terreno è stata di grande tristezza in quanto dopo una onesta vita piena di musica si trovava solo a marcire, e le uniche note che sentiva erano quelle della natura e il mormorio del fiumeâ€. “E allora, come è il tuo solito, ti sei commosso, l’hai preso e l’hai portato nel tuo laboratorio, ed ecco che lo hai rimesso in piedi, come, tanto io quanto tutti i tuoi visitatori, possono vedere. Bravo, è stata una buona azione ed hai restituito la   dignità   ad   un   oggetto   abbandonato   e dimenticato che si stava logorando nella solitudine e soprattutto hai restituito la dignità al suo costruttore, che chi sa quanto tempo ci mise per fabbricarlo, senza contare il suo entusiasmo e la sua passioneâ€. “Proprio così. Ma non è tuttoâ€. Fu a questo punto che detti finalmente una interpretazione autentica a quel suo sorriso sornione. Pietrino non mi aveva ancora detto tutto, e cioè: quell’oggetto non solo era ritornato alla vita, ma – come il ciocco di legno regalato da Mastro Ciliegia a Geppetto – gli aveva voluto mostrare per sempre, in risposta all’amore ricevuto, la sua riconoscenza. Ma in che modo?, cominciai a vaneggiare inebriato. Di Pinocchio sappiamo che divenne un bambino e anche un bambino buono, ma di questo sgabello che cosa dovevo pensare? “Il meglioâ€, mi disse subito Pietrino, leggendomi nel pensiero, e chiamò anche mia moglie Raffaella e la sua Anna Lina perché assistessero al prodigio, sicuro che mia moglie ed io saremmo rimasti increduli e storditi, non sapendo più al di là di quale confine superiore e magico fossimo stati catapultati. Fattosi serio, quando anche le donne giunsero davanti al pianoforte, mi disse perentorio: “Ed ora siediti sul mio sgabello.â€: e ci tenne a sottolineare quell’aggettivo possessivo. Lo sgabello infatti era suo e non di alcun altro. Era frutto del suo lavoro e del suo amore. Non c’era modo di rifiutare, anche perché la curiosità mi aveva ormai vinto. Così adattai lo sgabello alle mie necessità , poi, un po’ titubante, mi sedetti. Le musiche cessarono immediatamente ed io dissi a Pietrino che immaginavo che un qualche collegamento da lui reso abilmente invisibile consentisse al pianoforte di suonare non appena qualcuno si fosse seduto sullo sgabello. Si mise a ridere. “Se hai dei dubbi, allora fai così. Prenditi lo sgabello e portalo, lui solo, senza il pianoforte, in un’altra stanza e siediti su di esso di nuovoâ€. Non me lo feci dire due volte. Lo afferrai con due mani e lo portai nella stanza attigua, mi sedetti e questa volta mia moglie venne a riferirmi  che tanto la tastiera quanto la pedaliera si erano di nuovo messe a muoversi ed emanavano le note del “Così fan tutteâ€. “Riconosco che sei stato bravissimo, ma non mi fai fesso. Sono ancora convinto che ci hai messo il trucco. Non si vede, ma c’èâ€. “Facciamo una cosa†mi rispose, “prenditi lo sgabello e va’ in soffitta, anzi addirittura nel punto più alto della casa, sul terrazzo, e torna a sederti lassù sullo sgabelloâ€. Feci come mi disse, e di lì a poco, con il fiatone in gola, mia moglie venne a riferirmi, consumata dallo stupore e dalla gioia, che il pianoforte stava eseguendo la Sinfonia n. 7 in Re maggiore K 45. Feci altri spostamenti, tornai a rivoltare sottosopra lo sgabello, esaminai punto per punto il pianoforte in cerca di qualche traccia sospetta, feci sedere sullo gabello mia moglie, poi Anna Lina, ma l’effetto fu sempre lo stesso e il pianoforte esibiva con grande felicità composizioni mozartiane sempre diverse: nuove sonate, nuovi concerti, nuove messe, nuove sinfonie, vari  divertimenti, così che alla fine mi arresi e dovetti riconoscere il potere che quel restauro amoroso aveva ricevuto dallo sgabello, ossia uno dei doni più meravigliosi che potesse incontrarsi in tutta la storia dell’umanità . Letto 3336 volte.  Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||