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La democrazia non può prescindere dalla governabilità

21 Dicembre 2009

Non ho alcuna esitazione a dire che la prima Repubblica si è tutta miseramente sviluppata su di un equivoco costituzionale, rappresentato dal confronto tra l’art. 1 e l’art. 67 (“Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.”), messo in circolazione non dai padri costituenti, bensì da coloro che sulla democrazia ci hanno voluto e ci vogliono ancora oggi “marciare”.

L’ingordigia del potere, tanto politico che economico, infatti, ha fatto sì che, grazie a questo equivoco (si veda un mio approfondimento qui), i governi durassero pochi mesi (se non sbaglio, nessuno ha mai portato a termine la legislatura), mentre il debito pubblico saliva alle stelle.
Governabilità zero, dunque, e malaffare a gonfie vele, a scapito dei cittadini.

Oggi c’è chi ha nostalgia di quel passato e dà di gomito di qua e di là perché tutto torni come prima.
La scusa è la presenza sulla scena politica di Silvio Berlusconi. Si lascia intendere che se si vuole tornare alla prima Repubblica è solo per evitare che personalità forti prendano in mano le redini del Paese a scapito della democrazia.
Argomentazioni infide, in malafede.

La verità è che, riconoscendo che la sovranità appartiene al popolo, ossia che i risultati delle urne sono vincolanti anche per il Parlamento, che non può modificare le maggioranze scelte dal popolo, si restringe notevolmente il campo di manovra degli intrallazzi del potere.

Ditemi voi che senso ha avuto nella prima Repubblica l’articolo 1 della Costituzione, che recentemente Scalfaro nell’intervista rilasciata a Lilli Gruber, ha citato solo nel primo comma, quello che sancisce che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, mentre ha evitato di citare il secondo comma, che lui interpretò e interpreta pro domo sua, come dimostrarono le vicende esecrabili di cui fu protagonista con l’insediamento da lui voluto del governo Dini, sorretto da una maggioranza diversa da quella che aveva vinto le elezioni del 1994.

Il senso fu, e lo è ancora, questo: il Parlamento può fare tutto ciò che gli aggrada, anche in spregio alla volontà popolare.

Nel 1994, l’introduzione del sistema maggioritario con il quale le elezioni si erano tenute, costrinse, al momento delle caduta del primo governo Berlusconi, che quelle elezioni aveva vinto, uomini come Scalfaro ad uscire allo scoperto.
Come sa chi ha vissuto, come me, quei giorni, il Paese si spaccò in due e Scalfaro, a cui spettava la scelta, non ebbe alcuna esitazione a ribadire che il Parlamento è al di sopra della sovranità del popolo. Fece, cioè, carta straccia dell’art. 1 della Costituzione.

Il secondo comma di quell’articolo recita esplicitamente che “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.”
Ancora oggi Scalfaro e i suoi seguaci (tra cui ultimamente pare stia allineandosi anche Gianfranco Fini) interpretano che i limiti stanno nel fatto che il Parlamento può agguantare per le spalle la sovranità popolare e cacciarla a suon di pedate dall’aula del Parlamento. Nel Parlamento la sovranità popolare non ci deve ficcare il naso. Una volta che il Parlamento è stato eletto, pussa via, i cittadini si turino pure il naso e se ne tornino a casa. La sovranità se la sono giocata nel momento in cui con la matita hanno tracciato il segno sulla scheda.

Comodo, non è vero? Del resto, il popolo è ignorante. Noi, dicono i boiardi, siamo l’elite della società. Com’è possibile, si domandano, mettere in mano a quegli ignoranti e zoticoni del popolo un bene prezioso come la sovranità!

Ad interpretare la sovranità del popolo e a scippargliela di mano, ci pensiamo noi, l’elite. I virtuosi (sic!).

La lotta è appena cominciata. Lo scontro più duro avverrà proprio sul punto della sovranità popolare.
Ci saranno coloro che sosterranno, come accadeva nella prima Repubblica, che, una volta che gli elettori si sono espressi, nello stesso momento hanno consegnato la loro sovranità al Parlamento, il quale è libero e svincolato dai suoi elettori. Dall’altra parte ci saranno coloro che, in favore di una governabilità che regga un’intera legislatura, si batteranno perché la sovranità resti al popolo, e che, dunque, il risultato delle urne non possa essere modificato dal Parlamento.

Non si tratta di questione di poco conto, sulla quale occorrerà porre molta attenzione da parte di chi vuole cancellare per sempre i vizi della prima Repubblica.
Solo, infatti, impedendo al Parlamento di sostituirsi alla volontà del popolo uscita dalle urne, noi metteremo il limite ai vizi e alle ambiguità della politica e daremo al popolo ciò che gli spetta di diritto: vedere governato il Paese da coloro (tra cui il presidente del Consiglio) che esso ha democraticamente eletto, e vedere finalmente un governo, sottratto ai giochi del palazzo, condurre a termine la legislatura.

La governabilità è ciò che distingue, infatti, una vera democrazia.

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1 commento

  1. Commento by Ambra Biagioni — 21 Dicembre 2009 @ 19:43

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