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La Politica

25 Gennaio 2008

Ieri sera è caduto il governo Prodi. Per riandare ad un governo  incapace come questo, occorre risalire fino al governo Dini, degli anni 1995-1996. In quell’occasione scrissi un romanzo (con tinte gialle) intitolato Cencio Ognissanti e la rivoluzione impossibile, che si può scaricare tra i libri gratis:   un libro molto voluminoso, giacché seguii tutte le fasi più importanti  di quel governo, inserendole come documentazione nella storia che andavo raccontando del giovane e sfortunato protagonista.  

Nel 2001 scrissi alcune scarne riflessioni che desidero riprendere con qualche correzione, giacché le considero ancora attuali.

È scontato dire che la politica nasce con l’uomo, nel momento in cui si è organizzato in società. Ed è scontato anche dire che su quella prima esigenza, richiesta sempre  quando siamo in presenza di  un’organizzazione, si è innestato un processo che è subito diventato degenerativo. Qualcuno potrebbe anche scovare nei tempi andati l’esercizio corretto della politica con la P maiuscola, ma essi saranno così ridotti e da contare sulle dita di una mano che forse non azzarderà di contraddire la suddetta affermazione. Del resto, i molti libri che sull’argomento sono stati scritti nei secoli dimostrano che si è sempre avvertito il bisogno di dare una sterzata per correggere tale processo involutivo. Oggi a quale risultato siamo giunti? Guardarsi in giro nel mondo è deprimente. Quella che chiamiamo democrazia è esercitata solo in una piccola parte del globo; altrove regnano dittature e governi che, comunque mascherati, si reggono sul sopruso e la violenza. E laddove vige la cosiddetta democrazia? Desolazione e squallore anche qui. Ma poiché non posso parlare degli altri Paesi, che non conosco altrettanto bene quanto l’Italia, dirò cosa ne penso della democrazia del mio Paese. Il mio giudizio è pessimo, e forse, in chi mi legge, è un giudizio scontato anche questo. La nostra è la finta democrazia che chiama al voto i cittadini, ed elegge rappresentanti che si ritengono, immediatamente dopo la loro elezione,  sciolti da ogni legame col proprio elettorato. Si dice che questa è la regola della democrazia parlamentare,  per la quale il parlamento è il vero sovrano, anche rispetto al popolo,  cui si dà solo l’occasione di votare; poi deve passare la mano ad altri, che diventano i padroni assoluti del destino di un Paese. È accettabile, questa, come democrazia? Credo proprio di no. E se questa è la democrazia che si pratica in Italia, chi sono i nostri politici? Salvo rare eccezioni, sono persone che non riescono altrove, in altri campi voglio dire, e professano la politica come mestiere che li mette nella condizione di condurre furbescamente un tenore di vita elevato, alle spalle dei cittadini. Il lauto guadagno e il rango sociale privilegiato – anzichè lo spirito di servizio per il bene di tutti – sono le molle che li spingono a questa scelta. Quasi sempre i migliori, invece,  rifiutano la politica, di cui si sono fatti ormai una cattiva opinione, e questo loro rifiuto non fa altro che accrescere lo spazio a disposizione dei furbi e degli incapaci. In tal modo il cittadino delega agli altri, da principio con qualche speranza, poi sempre più svogliatamente, fino a che rinuncia perfino ad andare a votare. Una tale rinuncia – insieme a quella esercitata dagli uomini migliori – non fa che accelerare quel circolo vizioso che offre spazio al furbo e all’incapace, il quale si trova, così,  nella facile condizione di non avere concorrenti che possano mettere a rischio la propria elezione. Dunque: gli incapaci e i profittatori ingrossano per la maggior parte le file di coloro che si dànno alla politica. E allora? Che fare? È possibile, ad esempio, che attraverso una scuola più severa, con insegnanti migliori, si possa cominciare ad invertire la rotta, inculcando ai giovani l’amore per valori quali: la giustizia, la solidarietà, il rispetto per gli altri, carità e attenzione per chi soffre, ed altro ancora? Se educati in questo modo, i giovani di oggi potrebbero diventare i politici seri ed impegnati nel servizio per gli altri che da tempo attendiamo?  È la scuola, ossia, il punto centrale e determinante per una inversione di rotta? E se no, quali altre soluzioni sono possibili?


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Bart