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Rivista d'arte Parliamone
La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

Lagorio, Gina

7 Novembre 2007

La spiaggia del lupo

“La spiaggia del lupo” (1977)

La spiaggia del lupo prende il nome da uno scoglio “scavato in alto, come una testa su un corpo di bestia accovacciata ma pronta a scattare”. In realtà, contrariamente a quanto si può pensare, nei sogni della piccola Angela il lupo sta lì a difenderla dagli assalti del “mostro marino”, che la rapisce e la conduce prigioniera nel suo palazzo, dal quale il lupo cerca di liberarla. Angela è una bambina non bella, ma piacente, che attira inconsapevolmente l’attenzione di ragazzi e adulti. La sua testolina è colma di fantasie e di sogni, che cerca di condividere con le amiche, che però temono il lupo e il mostro marino.

La seguiamo, così, nella sua crescita, e l’autrice avvolge nella poesia quel fermento, quel brulichio di sensazioni che vanno formandosi intorno a lei e dentro di lei: “Angela capì che c’era qualcosa in lei che ignorava […] Gli altri scorgevano in lei cose che lei non sapeva”. Il mondo della favola si allontana, le amiche si scambiano conversazioni che Angela avverte come espresse in una “lingua straniera” e tutto in lei si traduce lentamente nel fascinoso smarrimento del mistero.

Ha qualcosa di molto tenero dentro di sé: sulla marina, “sotto le palme”, un gabbiano come se avesse percepito il suo desiderio, si alza in volo dall’acqua e le si posa sulla mano: è contenta perché quel gabbiano “l’aveva riconosciuta, tra gli esseri vivi, non estranea al mare e al cielo.”

Si delinea una lotta che si annuncia tra una contaminazione che matura necessariamente con il progredire della vita e un’anima ancora avvolta nelle candide fasce della creazione, la quale avverte il pericolo di questo avvicinamento complesso e ineluttabile della vita. Sono i primi segni di una malinconia e di una conversione al dolore con cui ciascuno di noi ha fatto i conti vivendo.

La Liguria è presente con le sue scogliere, con le sue colline di ulivi, con le sue “barche arenate tra i vicoli quando era inverno e fischiava la tramontana” e s’incolla felicemente all’immagine di una ragazza che sta crescendo a contatto con un paesaggio antico e immutato, che accoglie, come ha fatto da sempre, le paure e le ansie e i desideri di un corpo adolescente, che si avvia a raggiungere la sua compiutezza per definirsi ed armonizzarsi infine con esso.

Sarà l’amore con Vladi (Vladimiro), scoppiato all’improvviso, pur avvolto ancora nel candore e nel mistero di una scoperta che abbacina e poi travolge, a segnare il passaggio alla maturità, e quindi alla sofferenza e al dolore, della giovane protagonista.

Quando lo stile, che ha qualche ansa segnata dal tempo, si riprende, è per mostrarci una donna alle prese con la maternità e la ricerca di un isolamento dal mondo impossibile da ottenere: “si aggrappava a quelle immagini lontane, il sole, il mare, i gabbiani intorno a lei e a Vladi, e riusciva qualche volta a riafferrarle, intatte, e senza ombre, ma era difficile”.

La storia sofferta, triste, dolorosa di una crescita che si svolge nel turbinio delle rivolte operaie e studentesche è resa con dovizia di analisi, che rendono – anche se oggi tutto appare datato – il turbamento e soprattutto lo smarrimento di una donna che avrebbe voluto tanto restare attaccata al suo mondo di bambina, e si rende conto troppo presto che lo sviluppo della nostra vita non ci appartiene. Così, essendo la vita “ricca di fantasia, più ricca di lei e di chiunque altro” cerca “dopo mesi di estraniamento” di “filtrare strati che aveva lasciato bui, non esser fuori gioco tra la gente, così come non lo era stata tra gli animali, le onde, i venti, le piante.” È questo il solo modo per rendere accettabile e forte la propria crescita. Aprire gli occhi sulla realtà terrificante e ignobile che ci assale da ogni parte e attrezzarsi a capirla per vincerla. Ciò che non riesce a Vladi. Gli dirà un operaio della sua fabbrica in rivolta, Mario: “Ma cosa credi, che quando cambiano le bandiere gli uomini cambino?”. Dunque la poesia dell’infanzia, quando la si è vissuta con amore, non si perde e in qualche modo resta lì a sorreggerci nello smarrimento e a farci resistere fino a che non si diventa forti di fronte al nuovo che avanza. E forti anche innanzi al proprio uomo che può incespicare: “Forse era questo l’aiuto di cui Vladi aveva bisogno da lei: che fosse forte per tutti e due.” Ma il cammino di Angela non è ancora compiuto, fino a che non acquisirà la coscienza del “non ti penso, sono sola e sto bene.” Perfino la passione, l’amore, il sesso vissuti con un pittore, che sembreranno, ad un certo punto, travolgerla e riportarla fuori da sé (è la parte, a mio avviso, più riuscita del libro), non saranno che una parentesi della sua vita. La sua forza interiore (“crescere senza tradire le proprie radici”), infatti, la spinge verso un egoismo che le renderà impossibile comunicare con gli altri e comprenderli: “sono una ragazza madre […] io so che non mi manca niente, da tanto non mi sono sentita così tranquilla.” Al suo bambino appena nato dirà: “Che mondo opaco, bambino mio, non conoscerlo, resta nel bianco del mio latte, non guardare nient’altro, ti porterò via presto, vedrai volare i gabbiani.”


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Bart