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LEGGENDE: Le camelie di Sant’Andrea e Pieve di Compito

8 Ottobre 2019

di Bartolomeo Di Monaco

La camelia è una pianta orgogliosa. Quando arriva il tempo che il suo fiore deve morire, non lascia che perda i petali a poco a poco, ma fa cadere a terra il fiore intero: lo fa morire senza la tortura di una spoliazione malinconica e desolata.

La pianta ha origini orientali. Si parla soprattutto del Giappone. Da lì giunse in Italia nel XVIII secolo ed ebbe una rapida diffusione. Si può dire che oggi non vi sia giardino che si rispetti che non abbia almeno una pianta di camelia. Non raggiunge grandi altezze, non vuole essere troppo esposta al sole e produce fiori soprattutto di color rosa, rosso, bianco (anche con macchioline rosa). A ciascuno di questi colori è legato un significato: il fiore rosa simboleggia il desiderio di avere la persona a cui la si dona più vicina, quello rosso simboleggia l’amore e la speranza, quello bianco esprime stima, ammirazione, gratitudine.

A Lucca ha trovato il suo ambiente naturale nel Compitese, un territorio di campagna vicino alla città, e specialmente nei paesi di Sant’Andrea e Pieve di Compito, che insieme costituiscono il Borgo delle Camelie, dove ogni primavera si tiene una grande mostra di questa pianta, che vede ogni anno una partecipazione sempre più numerosa di visitatori provenienti da ogni parte d’Italia. Il Borgo è antico e affascinante, dominato da una torre dotata, sulla sommità, di un cestello di ferro battuto, da cui, nei secoli passati, pendevano le teste dei condannati a morte. Fatta costruire da Castruccio Castracani, serviva anche da torre di avvistamento, da cui partivano i segnali di allarme in direzione di Lucca.

Il territorio ha belle ville e tutte sono ingentilite da antiche camelie lucchesi, pregiatissime e ricercate.

Ci si domanda perché questo territorio ne sia così ricco. Le camelie che nascono qui non temono paragoni e possederne una è un segno di privilegio.

Una leggenda racconta che alla fine del XVIII secolo, quando ancora prevaleva la società contadina e la vita, sebbene più aspra, aveva ritmi più lenti e accettabili, nel Borgo tutti ci si conosceva e si era pronti, quando qualcuno ne aveva bisogno, specialmente nei lavori dei campi, a darsi una mano. Se una famiglia aveva in casa un malato, la si aiutava nell’assistenza e si mandava qualcuno ad collaborare nei campi o ad accudire le bestie nella stalla. Erano soprattutto mucche destinate a fare il latte, o al macello, o a trainare l’aratro. E non mancavano maiali e galline. Se nella città la vita era più sofisticata, il contado aveva il vantaggio di disporre di cibo in abbondanza e di non soffrire mai la fame. Se un’annata per qualche famiglia era andata male, le altre si facevano in quattro per non farle mancare il necessario.

Fu all’interno di questa atmosfera di solidarietà disinteressata e spontanea che una bella ragazza promessa sposa si recò al mattino presto presso una famiglia vicina offrendosi di aiutare il marito nella seminagione. La donna, che aveva due bambini a letto per una malattia da cui faticavano a guarire, la ringraziò e la giovane prese la bisaccia dei semi e se la mise a tracolla. Il marito cavò la mucca dalla stalla e le attaccò dietro l’aratro; poi si avviarono verso il campo che era confinante con la casa, a pochi passi, dunque.

Cominciò il lavoro e la ragazza estraeva manciate di semi dalla bisaccia spargendoli nell’aria fino a che cadevano con precisione nel solco. La maggiore fatica toccava, ovviamente, all’uomo che incitava la mucca a trainare l’aratro, la quale ogni tanto s’impuntava e non voleva andare avanti. Proprio quella mattina aveva i suoi capricci e pareva più una mula che una vacca. Il contadino aveva pazienza, la conosceva bene e già nel passato si era trovato in quella scomoda situazione. Aveva la frusta con sé e l’adoperò. Non una ma più volte, ogni momento che si fermava e non voleva proseguire. Tutto sembrava comunque filare senza particolari novità. Prima o dopo il lavoro sarebbe stato finito. Invece quella volta ci fu la sorpresa, e una sorpresa spiacevole. Ad una nuova frustata che la colpì su di un fianco, la mucca girò la testa verso il padrone e fece un muggito spaventoso; il padrone non si diede per vinto e scoccò un’altra frustata, e questa volta, invece del muggito, la mucca dette uno strattone all’aratro e si mise a correre infuriata, trascinandoselo dietro. Successe così che l’aratro, sballottato di qua e di là, andò a colpire la ragazza che a quella vista si era fermata piena di paura. Sembrava presagisse la disgrazia. E infatti fu un momento; l’aratro, sollevato a mezz’aria, la colpì al ventre facendola cadere e gridare. Presto sgorgò un grosso fiotto di sangue. Il contadino, subito avvicinatosi, si rese conto della gravità della ferita e si mise a chiedere aiuto. Accorsero i vicini, soprattutto le donne e una di queste corse subito in paese a cercare il dottore, le altre con pezzuole tentarono di fermare il sangue. Giunse anche il fidanzato della ragazza, pure lui occupato nei campi e subito avvertito, come erano stati avvertiti gli altri uomini. Si chinò e la strinse tra le braccia incurante del sangue che gli macchiava le mani e il viso. Piangeva e pregava, temendo che il suo grande amore lo abbandonasse per sempre. Arrivò tutto affannato il medico con la sua carrozzella e la sua borsetta con bende, strumenti e medicinali. Si piegò sulla ragazza e cominciò a medicare. Lo squarcio era ampio e il sangue colava ancora abbondantemente. Il ragazzo gli teneva il fiato addosso: “Me la salvi, dottore. Me la salvi, o la mia vita sarà finita”.

Devoto, continuò a pregare. Poi la ragazza fu trasportata in casa e messa sul letto. Le fasciature erano intrise di sangue. Il dottore disse che aveva una fibra forte e c’era da nutrire qualche speranza. Si udivano per la stanza i lamenti dell’infelice, e straziavano il cuore. Intorno al capezzale stavano alcune donne e i genitori, nonché il fidanzato che teneva la sua mano in quella della promessa sposa.

Trascorsero alcuni giorni in cui essa restò sospesa tra la vita e la morte. Finché si cominciarono a notare cenni di miglioramento. Scomparve la febbre e la ferita mostrò i primi segni di guarigione.

Si tirò un sospiro di sollievo. Tutto il borgo fu avvolto da un’atmosfera di attesa e di speranza. In chiesa, nel corso della Santa Messa, si recitò una preghiera per lei.

Dopo qualche altro giorno, il medico disse finalmente che ormai non c’era più pericolo e la ragazza sarebbe guarita. Era ormai una certezza. Il Borgo, giunta la sera, festeggiò. Tutti si trovarono riuniti nella piazza e, insieme con le preghiere, si levarono musiche e canti. L’oste offrì del vino e fu apparecchiata una grande tavola, e sopra fu impiantata una grossa botte piena del vino migliore. Qualcuno eccedette e si ubriacò, ma furono in pochi. Andarono a dormire tardi e nessuno faticò a prendere sonno, sia gli uomini che le donne.

Fu al mattino successivo che si scoprì il miracolo. Andando nel campo, il contadino a cui era scappata di mano la mucca, scorse, proprio nel punto in cui ancora si vedeva la macchia di sangue, un piccolo alberello che prima non c’era. Indovinate un po’? Era una camelia e aveva già il suo fiore: era di color rosso, simbolo di amore e di speranza.

Si dice che fu questo miracolo a rendere quel territorio così adatto alla coltivazione della camelia, ed è proprio per questo speciale dono che lì vi nascono le più belle al mondo.


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Bart