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LETTERATURA: Luca Rachetta: “La guerra degli Scipioni”, L’Autore Libri

26 Luglio 2011

di Lorenzo Spurio

La guerra degli Scipioni di Luca Rachetta
L’Autore Libri, Firenze, 2009

A dispetto del titolo il romanzo breve di Luca Rachetta, professore di scuola secondaria con varie opere alle spalle, non tratta di guerra, né di storia e neppure ha niente a che fare con Scipione l’Africano. Il libro narra invece le vicende dell’inquieto animo di Giovanni Scipioni, professore in una scuola della sua città, riferimento autobiografico del Rachetta. Altro riferimento autobiografico presente in Giovanni Scipioni è il fatto che sia un amante della cultura, viene detto che progetta romanzi e che in gioventù era un «aspirante poeta » (33). C’è una particolare attenzione nel dipingere i vari personaggi che ci vengono presentati non solo nel loro aspetto fisico e come appaiono agli occhi degli altri ma anche negli scandagli della personalità, facendo riferimento alle loro ossessioni, frustrazioni o debolezze.

La scelta di un narratore onnisciente in terza persona, che tutto sa della storia, può apparire inizialmente un po’ fastidioso e rimandarci alla lettura di romanzi ormai antiquati ma grandi classici della letteratura, dove pure il narratore interveniva direttamente per anticipare o informare il lettore di ciò che si apprestava a leggere. Non è un vizio di forma, ma la tecnica che il Rachetta fa sua per questa narrazione suggestiva, che non cade mai nella banalità e che riesce a mantenere alto il coinvolgimento del lettore.

Attraverso il personaggio di Giovanni Scipioni siamo in grado di vedere il mondo della scuola, delle lezioni e dello studio non tanto attraverso gli occhi di un giovane insoddisfatto ma attraverso quelli di un docente capace, stimato, il cui unico difetto, forse, è quello di essere un po’ troppo all’antica. Così, dopo una breve descrizione della sua giornata lavorativa alla scuola, il primo giorno dell’anno scolastico e l’attentissima caratterizzazione dei colleghi (tra cui l’affascinante docente di storia dell’arte e la tremenda direttrice) veniamo catapultati nella sua famiglia: la moglie Elsa e la figlia Beatrice, adolescente che sta crescendo troppo velocemente agli occhi del genitore e che, com’è tipico nella nostra società, è assoggettata dalle “mode†più in voga. C’è una scena curiosa nelle primissime pagine del libro in cui Giovanni si sente attratto da una ragazza appariscente che vede per la strada e poi entrare nel suo stesso condominio e, solo in un secondo momento, si accorge che si tratta di sua figlia. Forse è presente in Giovanni Scipioni un qualche lieve e vago riferimento a un altro Giovanni della letteratura italiana, ossia Giovanni Percolla, protagonista di Don Giovanni in Sicilia di Vitaliano Brancati, autore quest’ultimo che Rachetta ha studiato attentamente e di cui ha pubblicato un’opera di critica letteraria dal titolo Vitaliano Brancati. La realtà svelata (Maremmi Editore, Firenze, 2006). Come nel personaggio di Brancati, Giovanni Scipioni è affascinato dal gentil sesso, pur avendo in questo caso una famiglia e addirittura una figlia ed entrambi i Giovanni non mancano di guardare affascinati ragazze e donne in giro per la città.

Tra gli altri personaggi troviamo i due fratelli di Giovanni, diversissimi tra loro ma, ad ogni modo, ognuno affetto da qualche problema. Antonio è celibe ed è sempre propenso a parlare di politica, della necessità di meritocrazia e dei mali della società contemporanea. L’altro fratello, Paolo, sta invece facendo i conti con un matrimonio che sta finendo perché è diventato semplicemente un insieme di rituali che vengono ripetuti. E’ però a Giovanni che tutti ricorrono per parlare dei loro problemi come se in realtà lui fosse scevro da ogni inquietudine. E così pian piano su di lui si riversano tutte queste preoccupazioni («Ci si erano messe anche quelle due zavorre dei fratelli », 32), che gli altri, nell’intenzione di alleviare, gli hanno esposto e vanno a sommarsi alla pesantezza del suo essere docente. Non è però un romanzo di adulti carichi di problemi ma una narrazione che potremmo definire “generazionale†o, per utilizzare un linguaggio più accademico, di formazione in quanto sono descritti sia fisicamente che psicologicamente gli studenti, in maniera particolare alcuni ragazzi un po’ ambigui nel contesto scolastico: il secchione sempre ansioso e il taciturno pensieroso.

L’insofferenza di Antonio nei confronti di alcuni colleghi non così ligi al loro lavoro come lui lo porta a barricarsi direttamente nella stanza del primo cittadino, dove cerca di far valere le sue ragioni basate su idee nevrotiche ma la sua azione finisce per ridicolizzarlo e, ormai bollato da tutti come pericoloso e pazzo, si congeda dal suo lavoro. Non soddisfatto della sua condizione e ormai chiaramente fuori di senno, tenta di mettersi in contatto con altre sfere del potere pubblico avanzando sempre le stesse pretese: scrive una lettera al presidente della Repubblica e incontra un vescovo. Entrambe le situazioni non sortiscono nessun effetto e, anzi, l’incontro con il vescovo si configura come un grottesco siparietto e noi, in qualità di lettori, ci rendiamo conto, mai come in precedenza, che Antonio ha ormai superato il limite della ragione ed è pericoloso per la società. Per suo fratello Giovanni non è che un ulteriore fardello e preoccupazione di cui occuparsi.

Si fa viva nel corso del romanzo la convinzione che ogni personaggio sbagli, o perlomeno confonda, il vero destinatario delle sue inquietudini: il nevrotico Antonio più che appellarsi al sindaco, al presidente della repubblica o al vescovo avrebbe, forse, bisogno di un consulto psicanalitico o addirittura psichiatrico; Paolo riversa la sua titubanza e sofferenza circa la decisione o meno di lasciare sua moglie sul fratello Giovanni piuttosto che confrontarsi direttamente con la moglie e anche Giovanni, appesantito dall’eccessivo rigorismo della scuola e intimorito dall’austera figura della direttrice finisce per non avere mai la parola sulle sue inquietudini. Rachetta ci fornisce un attentissimo e vivido spaccato tutto contemporaneo di una famiglia che apparentemente sembrerebbe fuori dagli schemi ma che, a una rilettura più attenta, si configura invece come una realistico labirinto di sofferenze, pensieri, inquietudini e comportamenti maniacali. Molti sono i personaggi-tipo che tratteggia con particolare cura: il professore sposato, forse un po’ snobbato e che deve fare i conti con la figlia adolescente con la quale spesso è in disaccordo («Doveva accettare i cambiamenti della figlia, della società, dei costumi. Erano finiti i tempi del Dolce Stil Novo. Restava solo di farsene una ragion », 58), l’uomo ossessionato dalle sue convinzioni che agli occhi di tutti si configura come pazzo, l’uomo un tempo innamorato e ora vacillante nei suoi sentimenti, indifeso e tra i personaggi femminili quello che meglio è tratteggiato è sicuramente Beatrice, la figlia trasgressiva secondo il bigottismo paterno mentre Elsa e Eleonora sono personaggi un po’ sfocati.

Un curiosissimo intrico di pensieri che va di pari passo a una certa passività dei personaggi che fa quasi pensare ai famosi indifferenti dell’omonimo romanzo di Moravia ma che mettono in luce le problematiche e le inquietudini tutte contemporanee dell’uomo nel dover vivere la vita di tutti i giorni.


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