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La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

LETTERATURA: Annick Emdin: “Lividi” – Edizioni Anordest

16 Agosto 2013

di Francesco Improta

Nella periferia sordida e desolata di una New York puttanesca, fumosa e annoiata si svolge questa storia di profondo degrado e al contempo di inef ­fabile tenerezza.

        Charlie, appena diciassettenne, si vende per pochi dollari, per procu ­rarsi la droga e per sopravvivere in un mondo vuoto e ostile, fatto di prevaricazioni e di sopraffazioni. Alle spalle ha un’infanzia terribile: non ha mai conosciuto suo padre e la madre, tossicodipendente, non lo ha mai saputo proteggere dal suo nuovo compagno, uno spacciatore violento e manesco. Le uniche gioie di quegli anni tristi e dolorosi sono Vicky, la sorellina, più giovane di due anni, che la madre ha avuto dallo spacciatore, e a cui Charlie è profondamente legato, e Phemie, più grande di lui, ma non meno infelice, in quanto vittima dello zio con cui abita, che è un disgustoso pedofilo. Charlie, per amore di Phemie, lo uccide dandogli fuoco; viene pertanto rinchiuso, essendo ancora un bambino, in una casa di cura, più prigione che ospedale, che lascerà in lui segni indelebili. Dopo due anni di detenzione e di maltrattamenti, recupera la libertà e comincia a prostituirsi. Conosce allora Maurice, un uomo colto che parla correntemente diverse lingue e ha letto molti libri e che nei rapporti intimi con Charlie esercita violenza verbale e fisica, forse nel tentativo di esorcizzare un passato altrettanto tragico, da lui vissuto nella sua terra d’origine, la Croazia, al tempo della guerra serbo-bosniaca. La storia tra Maurice e Charlie, come tutte le storie erotiche, attraversa periodi di crisi o di stanca e in un momento particolarmente difficile Charlie chiede rifugio a Phemie, l’amica d’infanzia, che nel frattempo aveva cercato di mettere ordine nella propria vita entrando in polizia. Dopo una notte di effusioni, più consolatorie che passionali, Phemi rimane incinta…

Per rispetto nei confronti dell’autrice e soprattutto per non privare i lettori del piacere della lettura non procederò oltre nel raccontare la trama, mi sembra, però, doveroso aggiungere che numerosi, e sempre più intricati e sconvolgenti, saranno gli sviluppi della vicenda e che verso la fine essa assumerà addirittura sfumature noir.

Il titolo, particolarmente efficace, allude ai segni non solo fisici che un passato torbido e drammatico ha lasciato sul corpo e nell’animo dei protagonisti, condizionandone presente e futuro, mettendoli l’uno accanto all’altro e anche l’uno contro l’altro, in una città non meno livida e violenta che finisce coll’escludere i più deboli o col farli precipitare in un abisso senza fine. È una storia di prostituzione giovanile, vissuta sul versante del sesso estremo, ma è anche e soprattutto una delicatissima storia d’amore. Sembra quasi che Charlie passi volontariamente attraverso tutte le tappe del degrado e dell’abiezione umana per conservare puro e incontaminato il suo amore nei confronti delle persone a lui più care e di cui non potrebbe fare a meno, a dispetto delle umiliazioni e delle ferite subite e che continua a subire: Phemie, Vicky e Maurice.

L’attività di bibliotecario di quest’ultimo consente all’autrice legittime, preziose e funzionali incursioni nel mondo della filosofia (Feuerbach e Solov’ev) e della letteratura, da quella più alta (Dostoevskij, Saffo, Catullo e Silvia Plath) a quella più popolare (Fabrizio De Andrè e i Pink Floyd); non manca neppure un riferimento esplicito a Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes, allorché si accenna alla complicità dei rivali in amore. Ed è proprio questa dimestichezza di Maurice con la letteratura che gli consente di affermare una delle verità fondamentali del romanzo:

“… quando hai letto tanti libri, è come se ormai non potessi più stupirti. Non ascolti più la storia che ti raccontano. Finisci per guardare solo come sono messe le parole, pensando che non è più possibile scrivere qualcosa che non sia già stato scritto, e leggere qualcosa che tu non abbia già letto.â€

E subito dopo, spostando il discorso dalla letteratura alla vita:

“Capisci, ti alzi e ogni giorno è uguale al precedente, in realtà. Non c’è niente da vedere, nessun cambiamento. Solo le sfumature.†E forse neanche quelle.

Non meraviglia, quindi, per dirla con Freud, una certa coazione a ripetere azioni penose, sgradevoli o nocive a proprio danno, da parte dei per ­sonaggi. Tutto si presenta in maniera uguale e ripetitiva; manca, quindi, un futuro, una qualsiasi prospettiva di cambiamento. Non è un caso che Phemie, nella discarica vicino alle rispettive abitazioni, dopo aver ac ­costato timidamente le proprie labbra a quelle di Charlie, in un bacio, impacciato e inconsapevole, data la tenera età (rispettivamente 13 e 11 anni), dica testualmente:

“Perché siamo nati, Charlie? Per morire? Perché siamo nati se poi fa così male Charlie me lo sai dire?â€

C’è in queste parole struggenti il presagio di una vita di lividi, di am ­maccature, di ferite che graffiano l’animo e non guariscono, anche se determinano una certa assuefazione al dolore.

Romanzo duro, trasgressivo, segnato da forti contrapposizioni: candore-sporcizia; rabbia-dolcezza; innocenza-perversione; violenza-tenerezza; vita-morte, e su tutto questo una scrittura moderna, originale, inaspettata, data la giovane età dell’autrice, poco più che ventenne. Una scrittura decisamente cinematografica in cui la mimesi prevale sulla diegesi con ­segnandoci dei dialoghi concisi, icastici, violenti come delle sassate. Anche il tempo della storia non è lineare, presente e passato si rincorrono continuamente e talvolta ci si potrebbe anche confondere se al passato, o meglio alle frequenti analessi, la Emdin non avesse riservato il corsivo.

Alla fine di queste mie considerazioni vorrei citare poche righe, a mio avviso, particolarmente significative della figura retorica dominante, l’ossimoro, in cui Charlie, dopo un ricovero in ospedale, ritorna con Vicky nel quartiere dove era cresciuto:

“Aveva un groppo alla gola, una strana sensazione di nausea. Da quei dintorni deserti e squallidi riaffioravano stralci di ricordi, la decadenza della sua infanzia appariva essa stessa come una bambina, col viso sporco e le vesti stracciate, correva, gli ammiccava, giocava a campana da sola, tra le siringhe.â€


Letto 8247 volte.


3 Comments

  1. Commento by Annick — 17 Agosto 2013 @ 03:29

    Sono l’autrice del romanzo e vorrei ringraziarla di cuore per le sue parole. La sua è una recensione bellissima e appassionata e leggerla mi ha dato una grande gioia. Grazie davvero.
    Annick
     

  2. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 17 Agosto 2013 @ 18:07

    Passo il suo commento all’autore della recensione. Complimenti.

  3. Pingback by Hanno scritto su di me/ Someone wrote about me | annickemdin — 15 Settembre 2013 @ 10:05

    […] Francesco Improta: https://www.bartolomeodimonaco.it/letteratura-annick-emdin-lividi-edizioni-anordest/   […]

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A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart