LETTERATURA: ARTE: I MAESTRI: Le porte del Duomo di Orvieto contestate13 Giugno 2012 dibattito tra Leonardo Sciascia e Cesare Brandi In relazione al contestato tema delle porte di Orvieto Leonardo Sciascia ci man da la seguente testimonian za che siamo lieti di pub blicare insieme con la re plica e precisazione di Ce sare Brandi. Non voglio entrare, come si suol dire, nel « merito » della polemica divampata sulle porte del duomo di Orvieto. Non vo glio e non posso: ché gli « ad detti ai lavori » facilmente mi terremoterebbero addosso strom bi architravi e cuspidi, e le stesse porte di Emilio Greco finirebbero con lo schiacciarmi. Questo timore, naturalmente, non mi impedisce di avere un’opinione: ed è che le porte di Greco sono belle e che non sfigureranno nella facciata né la sfigureranno (ma potrei an che ricredermi, una volta che andrò a vederle: e questa li bertà di confermare la mia opinione o di mutarla in defi nitiva la debbo al ministro della Pubblica Istruzione). La mia opinione non varrà quanto quella di un critico d’arte; ma anche i critici d’arte dovrebbero riconoscere che, per quanto dotte qualificate e qua lificanti, anche le loro sono opinioni: soggette cioè a mu tare, sia rispetto ai casi parti colari per cui sono state for mulate, sia nei principi cui si informano; o a essere mutate rovesciate respinte nel più lun go corso del tempo, delle ge nerazioni. Se così non fosse, se nel campo della letteratura e dell’arte, degli stili, delle per sonalità, non ci fossero eclissi e riscoperte, il nostro mondo sarebbe ben monotono, consi derando che alle riscoperte e alle eclissi corrispondono mo vimenti della società e del co stume a volte profondi più spesso superficiali e volgari, ma comunque vivi. Sulle porte del duomo di Or vieto è dunque in corso uno scontro di opinioni « qualifica te ». Ma chi « qualificato » non è, e segue da lontano lo scon tro, si pone una domanda abba stanza ovvia, abbastanza legit tima: perché ora e per Orvieto e non ieri per Siena, Roma, Mi lano, Palermo? Non c’è, sotto lo scontro delle opinioni irridu cibili, il giuoco tutto italiano del « caso per caso », del « caso particolare », delle « eccezioni » che salvano sempre la regola nel senso che permettono di rispolverarla nel caso non vo gliamo consentire ad una « ec cezione » ancora? Questa la domanda, questo il dubbio. E c’è di che. Cesare Brandi sa quale ammirazione ho per la sua opera e quale rispetto per le sue opinioni. E a lui che tanto a lungo è stato a Palermo, e con tanta acuta vigilanza sulle testimonianze d’arte e di storia che nella città sopravvivono, vorrei do mandare se la battaglia contro le porte di nuova fattura nelle chiese gotiche non valesse la pena di combatterla nel 1961, quando appunto nella facciata principale della cattedrale di Palermo furono apposte quelle porte bronzee (opera non ri cordo di quale scultore) in cui si vede la storia sacra mimata nel gusto del Crazy horse. Per quanto negativo sia il suo giu dizio sulle porte di Orvieto, Brandi non può non ricono scere che ben altra dignità hanno le porte di Greco rispet to a quelle della cattedrale di Palermo. E dunque: perché al lora il silenzio e oggi l’avverso clamore? O la cattedrale di Palermo si può anche buttare in pasto ai cani, e soltanto quella di Orvieto merita furor di difesa? Per il mio gusto (e senza ombra, è il caso di dire, di campanilismo) la cattedrale di Palermo, e specialmente nella facciata che ha avuto le nuove porte, è più bella di quella di Orvieto; in quella di Orvieto ci trovo come un di più, mi si permetta l’irriverenza, di pa sticceria. E’ un’impressione sog gettiva, e la do senz’altro per sbagliata. Ma penso non sia del tutto soggettiva l’opinione che la cattedrale di Palermo andava difesa come oggi quella di Orvieto. Tra l’altro, una battaglia fatta allora, vinta o persa che fosse stata, oggi co stituirebbe un precedente im portante, per coloro che avver sano le porte di Greco. Dov’era, allora, la commis sione ministeriale? Chi c’era? Chi occupava la cattedra di storia dell’arte nell’università di Palermo? Queste cose il pubblico ha il diritto di saper le. E ha diritto di saperle anche per l’analogo caso del duomo di Siena. Non possia mo scordarci di un passato cosi prossimo e di responsabi lità cosi precise. Se una que stione di principio si deve fare, bisogna chiedersi se coloro che oggi portano avanti quello del non inserimento di elementi moderni nell’antico si trovino su posizioni di assoluta coe renza o se non hanno, in altri momenti, tollerato se non addi rittura avallato infrazioni di pari o peggiore gravità. E una domanda simile si sarà posta il ministro della Pubblica Istruzione: il quale â— e non voglio sapere, per dirla con Ca tullo, se sia bianco o nero â— aveva il diritto di decidere come ha deciso (e questa informa zione il pubblico non l’ha chia ramente avuta, nella polemica che ne è seguita); e se, da uomo politico qual è, si è reso alle ragioni dei più, non gli sono mancate, per decidere, ra gioni che attingono al costume, oltre che all’opinione di « ad detti » ai lavori radicalmente favorevoli, e nel principio e nel caso particolare, alle porte di Greco nel duomo di Orvieto. Leonardo Sciascia Due punti Dispiace che l’amico Sciascia nel suo intervento a favore delle porte di Greco si sia tagliato le gambe da sé. Asse rire infatti che la facciata del duomo di Orvieto è un’opera di pasticceria e che le porte di Greco sono belle è esprimere due giudizi di cui il primo inva lida l’altro e viceversa. Ma Sciascia, che è un onest’uomo oltre a consumato scrittore, dice anche che le porte non le ha viste in opera, e che nella facciata potrebbero star male, pronto a ricredersi allora ma anche a ringraziare Misasi che, facendole apporre, dà modo di sincerarsene. Che sarebbe come chi, morso da una vipera, rin graziasse morendola Provvi denza perché così non c’era dubbio che si trattasse di una vipera e non di una biscia. In secondo luogo mi dispiace che il suo intervento sia ante riore al mio articolo « Ianua coeli » in cui, su questo gior nale, spiegavo le ragioni, non certo opportunistiche, per le quali non si può fare di ogni erba un fascio, e il caso di Orvieto non è identico a quello di Milano o di San Pietro. Non ripeterò i miei argomenti, ma preciserò, su richiesta specifica di Sciascia, che quando si vol lero fare le porte del duomo di Siena, prima di accettare di far parte della commissione giudicatrice dei bozzetti, pub blicai un articolo sul settima nale Cronache, in cui chiara mente esprimevo il mio asso luto dissenso: e se allora en trai in commissione, fu a ra gion veduta, per boicottare dall’interno un’ iniziativa locale, promossa al solito senza auto rizzazione ministeriale, dai mi lioni onnipotenti di una Banca, esattamente come ad Orvieto. La commissione dette parere negativo per l’esecuzione a tutti i bozzetti, stabilendo solo a maggioranza una graduatoria di menzioni onorevoli: e fu l’Arcivescovo a passar sopra, come ho spiegato, al verdetto, coadiuvato da mons. Fallani. In quanto a me, sappia l’amico Sciascia che ci presi l’itterizia: e tutti, all’istituto del Restau ro, mi ricordano giallo come un canarino. Dunque non mi si può accusare d’indifferenza o di faziosità. In quanto a Pa lermo, anche qui spiace sentire il raffronto improponibile fra la facciata di Orvieto e quella quasi invisibile di Palermo, ol tre a ciò mediocre e aduggiata da un campanile dal corona mento gotico del tutto fasullo. Ma la porta è orribile, non c’è dubbio, anche se non si trova a contatto di altre sculture, ed eccelse, come invece accade a Orvieto. Ed io seppi della porta solo quando sgradevol mente la vidi in opera, non prima, ché certo il Cardinale Ruffìni non era uomo da sot toporsi a pareri o censure, né i Soprintendenti di allora era no da tanto. Non credo perciò che la que stione sia mai stata sottoposta al Consiglio Superiore, né certo lo fu quando io ne facevo par te. Altrimenti non avrei man cato di alzare la voce, sia pure inutilmente come a varie ripre se per Cefalà Diana e tante altre sicule battaglie perdute, perché il fatto di essere dive nuto frattanto professore al- l’Università di Palermo non mi aveva reso, in loco, né più autorevole né più ascoltato di quanto non lo fossi come com ponente del Consiglio Superio re. Il quale non ha diritto di iniziativa, ed è solo chiamato ad esprimere su determinate questioni un parere, che, nel caso di Orvieto, per ben tre volte fu negativo, ed il mini stro Gui lo aveva accettato disponendo in conformità. Cesare Brandi Letto 5508 volte. Nessun commentoNo comments yet. 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