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LETTERATURA: CINEMA: Il viaggio nel cinema e a cinema

6 Giugno 2008

di Francesco Improta

Viaggiare, innanzi tutto, non significa spostarsi da un luogo all’altro, lo spostarsi, spesso, è solo un pretesto, il vero scopo del viaggio è il viaggio stesso; allora il viaggio diventa una dimensione esistenziale, uno stile di vita. Si pensi a coloro che vivono on the road, che non hanno una fissa dimora, pur non essendo nomadi. In maggioranza artisti, contestatori, ribelli, anticonformisti, transfughi dalla propria classe sociale e proiettati verso una dimensione di vita forse più libera e gratificante certamente meno asfittica e convenzionale; si pensi al movimento Beatnick, ai figli dei fiori, ai clochard sempre più numerosi, nel mondo reale e nella letteratura, non a caso un clochard è il protagonista dell’ultimo struggente romanzo “Il sole dei morenti” di Jean Claude Izzo, morto il 26 gennaio del 2000, quando aveva superato da poco la cinquantina ed era nel pieno della sua maturità artistica ed umana. Anche il cinema, soprattutto quello americano, favorito anche dalla vastità e dalla varietà dei suoi paesaggi, ha dato molto spazio a questi personaggi a tal punto che negli anni sessanta è nato un nuovo genere cinematografico: il Road-Movie, di cui “Easy Rider” può essere considerato senz’altro il capostipite. A tal proposito va osservato che tutta la cultura americana è contrassegnata dal tema del viaggio che, agli occhi dell’americano, rappresenta il tramite necessario per conseguire la piena realizzazione delle proprie capacità e la completa autonomia individuale che sono alla base della giovane nazione americana. Il cinema ameri ­cano per eccellenza, il western, non è altro che la rievocazione mitica di una migrazione collettiva ed il viaggio è lo strumento attraverso il quale si compie tale epopea. Anche nel gangster-movie si nota il tema del viaggio ma qui assume i connotati di fuga impossibile, di sogno negato. Negli anni sessanta, come abbiamo già anticipato, nasce il Road-movie, un nuovo genere cinematografico in cui la strada diventa il luogo geometrico delle esperienze e delle tensioni che caratterizzano il viaggio. Protagonisti di questi film sono, nella stragrande maggioranza dei casi, giovani idealisti che hanno nel cuore l’America dei pionieri e che si contrappongono all’altra America, quella che si è integrata e non viaggia più. Film a basso costo, con un montaggio nervoso hanno riscosso e riscuotono ancora suc ­cesso grazie alla capacità d’identificazione e all’uso di una colonna sonora di brani Rock e Pop. Sullo sfondo paesaggi caldi, vaste praterie, e da quando l’Hobo, cantato da Guitry e portato da Aldrich sullo schermo in “L’imperatore del Nord“, ha cominciato ad usare l’automobile e più spesso la moto ­cicletta, motel, snack-bar e lunghi, interminabili viadotti.
Non è necessario, comunque, spostarsi fisicamente per viag ­giare basta assecondare le galoppate della fantasia sentimentale o della propria immaginazione; la mente consente fughe, evasioni e spostamenti più veloci e significativi, si pensi a Proust, che ha scritto il suo capolavoro rinchiuso in un appartamento di Boulevard Hausmann, le cui pareti erano foderate di sughero per proteggerlo dai rumori esterni o ad Emily Dickinson che ha trascorso quasi tutta la giovinezza, segregata per sua stessa volontà nella propria stanza, e non ci dimentichiamo di Emilio Salgari, fantasioso narratore di avventure esotiche che non si è quasi mai allontanato dalla sua città e dalle osterie che frequentava assiduamente. Del resto anche anticamente vi erano pellegrini che trovavano un senso nell’errare ed esistevano anacoreti che vivevano forme di viaggi totalmente interiori. Perché si viaggia? Le motivazioni sono molteplici e diverse: per evadere da una realtà angusta ed asfittica, per trovare nuove coordinate spazio-temporali, per perdersi, allora il viaggio viene portato alle estreme conse ­guenze, come nel caso artificiale del trip che diviene viaggio in un’altra dimensione, o per ritrovarsi, si pensi ai religiosi pellegrinaggi nei luoghi dell’infanzia, alle scaturigini prime del proprio essere, o più semplicemente, come diceva Pavese, per tornare, per riassaporare il piacere di ritrovare persone e cose care. Non basta, si viaggia per mettersi alla prova, per saggiare le proprie capacità, per esorcizzare le paure, le fobie, le ossessioni che ci portiamo dentro o più semplicemente per conoscere, per sperimentare alla maniera dell’Ulisse dantesco, “per seguire vertude e canoscenza“; il viaggiatore è pur sempre, colui che vuole conoscere gli altri, se stesso, la realtà circostante ed una prerogativa esclusiva del viaggio è appunto osservare, il viaggio rappresenta, dunque, il tempo consacrato all’osservazione. Tutta la letteratura è costituita da racconti di viaggio, perché non si viaggia solo attraverso lo spazio, ma anche e soprattutto attraverso il tempo, ricordare tutte le opere in cui si parla di viaggi sarebbe uno sterile e forse impossibile esercizio di memoria e, inoltre, non so fino a che punto possa servire. Quel che mi preme rilevare è che tutta la vita dell’uomo è un viaggio, essa è paragonabile ad una serie ininterrotta di tappe, d’incontri, insieme con altri compagni, siano essi occasionali o privilegiati interlocutori. Nel passato, però, l’uomo si è spinto sempre verso l’ignoto con il proprio corpo, mentre nella nostra era si stanno aprendo possibilità e forme molto diverse. Oggi ci dobbiamo confrontare con una nuova dimensione del viaggio perché lo si delega a strumenti in cui probabilmente viene a mancare l’esperienza e si rientra (come già nell’infanzia) in una dimensione protetta, con la sola differenza che ad offrirci riparo non è più la madre genitrice, ma la madre “Tecné“. Questa è una delle ragioni di un certo disagio culturale dell’uomo moderno. Nella nostra epoca ten ­diamo a vivere solo di riflesso ciò che ci ha sempre guidato, il mito, perché non ci riconosciamo più come eroi; mi riferisco al cinema e, in forme ancora più esasperate, alla televisione e ad Internet.
Il cinema è un viaggio straordinario che si ripete ogni volta e che il cinefilo accanito organizza con cura meticolosa fin dal mattino, quando sfoglia con impazienza il giornale, per fissare la sua attenzione sulla rubrica degli spettacoli e per scegliere appunto la meta del suo viaggio. Successivamente va alla ricerca di eventuali compagni di avventura, selezionandoli con un’attenzione maniacale per evitare spiacevoli sorprese, per non trovarsi accanto ad uno spettatore distratto ed insensibile alle sollecitazioni emotive ed intellettuali di quell’esperienza che è ogni volta unica ed irripetibile. Poi, quando si entra nella sala cinematografica e si sceglie la posizione più idonea alle proprie esigenze, si ha l’impressione di essere su una rampa di lancio e, quando la sala piomba nel buio, il fascio di luce che fuoriesce dal proiettore ci catapulta sullo schermo dove ognuno di noi si sente al centro dell’azione rappresentata, perché il cinema, molto più di qualsiasi altra forma di espressione, consente un processo d’immedesimazione. Non è un caso che quando la vicenda si conclude e sullo schermo scorrono i titoli di coda si rimane spaesati, disorientati, meglio ancora sospesi nell’aria, quasi in apnea, e per qualche secondo si conserva quella strana sensazione di assenza di gravità che conferma l’impressione di aver compiuto un viaggio nello spazio e nel tempo. Sembriamo incapaci quasi di toccare terra e questa sensazione di turbamento permane anche all’uscita dal cinema, quando tutto ciò che ci circonda sembra ondeggiare paurosamente.

 

 


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1 commento

  1. Pingback by Fontan Blog » LETTERATURA: CINEMA: Il viaggio nel cinema ea cinema - Il blog degli studenti. — 7 Giugno 2008 @ 05:31

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A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart