Due giapponesi in treno

di Nicola Dal Falco
 
In attesa che il discorso riprenda, il viso si ritira immobile in un angolo remoto di campagna. Parlano piano, avvicinando la fronte e il mento, quasi che le frasi dovessero prima toccare e fondere la reciproca ombra
Suono lieve di parole come scartando un cioccolatino.

Ma lui la guarda? No, rispecchia piuttosto ciò che di impercettibile fluttua intorno alle tempie e subito dietro la nuca della moglie.

Forse la scia di un pensiero o l’eco di un’immagine rimasta  impigliata tra i capelli  di un blu indecifrabile.

I dinieghi anche forti e ripetuti non mutano l’espressione, l’ordine generale del viso e la tripla fessura degli occhi e della bocca possono con un movimento impercettibile mostrare dolcezza o rifiuto.

Nel sonno – che lo sorprende proprio in cima agli Appennini – l’uomo assomiglia ad una mela caduta, assopitasi all’ombra del proprio albero.

Allora, anche lei, riunendo tutta se stessa dietro la veste di crespo nero, dove ognuna delle piccole pieghe verticali segna un tremito del colore, un brivido di luce fredda, può piegare il viso come la luna tra due cime.

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