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Rivista d'arte Parliamone
La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

LETTERATURA: Due vecchi scarponi raccontano

2 Novembre 2008

di Mario Camaiani

Quando iniziammo a prendere visione del mondo, eravamo ancora nei locali dello stabilimento che ci aveva creati, in mezzo a quella che per noi parve una confusione indescrivibile, ma che invece era frutto dell’intelligenza dell’uomo.
    Poi fummo scrutati da occhi esperti, controllati con macchine complicate, e infine si venne rinchiusi in una bella scatola che a noi sembrò un’abitazione meravigliosa. La nostra nascita era avvenuta sotto una buona stella. Mentre per altri nostri simili c’era una gran cassa con su scritto: “scarti”, dove essi finivano ingloriosamente la loro vita, prima ancora di averla cominciata. Quindi eravamo felici e, assopiti in un dolce letargo, viaggiammo in varie riprese; e finalmente tornammo alla luce.
    Una luce meravigliosa, fatta di neon e di specchi splendenti, insomma eravamo bellamente esposti nella vetrine di un negozio di calzature.
    Lì cominciammo a conoscere il mondo: e non tutte le cose erano belle.
    Per prima cosa uno sciocco gruppetto di scarpe leggere cominciò a farsi beffe di noialtri; ci dicevano che eravamo goffi, sgraziati, e così via; ma trovammo anche dei buoni amici che ci difesero e ci insegnarono a trovare la fiducia in noi stessi, e ad attender con serenità l’inizio della nostra vera vita, quella del lavoro.
    Intanto osservando i clienti che entravano nel negozio avevamo già acquistato una certa conoscenza del genere umano. Conoscevamo a prima vista il cliente modesto, che cercava subito scarpe da poco prezzo, l’eccentrico che sceglieva modelli nuovissimi; il tirchio, che prima dell’acquisto discuteva a lungo per il ribasso del prezzo, e così via. Eravamo molto contenti e poi ci eravamo anche affezionati alla proprietaria del negozio, una brava donna di mezza età che, dopo la morte del marito, aveva dovuto sobbarcarsi il peso dell’andamento dell’attività, dato che i suoi figli erano piccoli.
    Così il tempo passava e molti nostri amici e amiche erano già andati a percorrere le strade del mondo, altri ne erano venuti, e cominciavamo a preoccuparci di non trovare un proprietario. Eppure eravamo in un piccolo centro di provincia, per di più montano, e molti altri scarponi anche giunti dopo di noi erano già partiti: e invece per noi neanche una prova!
    Forse era per quel laccio di cuoio che, cingendoci sul collo ci rendeva un po’ antipatici, chissà; comunque speravamo ancora di non ammuffire miseramente.
    Infatti il gran giorno giunse! Un baldo giovanotto, giunto da un paese di monte, ci acquistò alla prima scelta, senza discutere sul prezzo: un vero gentiluomo anche se con le maniere rozze.
    E, con il cuore che ci batteva forte, lasciammo la cara vetrina e la nostra amata padrona che ci puliva   tutte le mattine: in mezzo alla gioia c’era così anche un po’ di tristezza, ma l’ansia della nuova, affascinante vita che ci attendeva, ci fece diminuire il distacco per le cose passate.
    Il nostro padrone si chiamava Giorgio, e appena giunti a casa fummo trionfalmente mostrati ai familiari e lodati per le qualità che il giovane ci attribuiva. Promettemmo di non deluderlo.
    I   primi tempi venivamo adoperati per andare al mercato e la sera a passeggio; e subito ci affezionammo al nostro padrone.
    Uomo di parola, serio, generoso e giusto: non potevamo essere più fortunati! Un giorno egli intervenne in difesa di un debole che subiva le prepotenze di un cattivo: si era all’osteria e il poveretto le avrebbe prese sonore se il nostro padrone non avesse preso l’energumeno ubriaco gettandolo a rinfrescarsi sotto il rubinetto dell’acqua! Ma non si limitò a questo: gli fece una bella paternale, gli parlò rudemente ma efficacemente di bontà e di civismo e in pochi minuti i due litiganti erano in perfetta pace.
    Altra volta venimmo adoperati per andare alla Santa Messa e a una processione: fu     una giornata indimenticabile. Vedere il nostro Giorgio in meditazione e in preghiera, e successivamente portare la statua della Madonna in processione per le strade del paese, fiero e insieme umile nel professare e nel manifestare la propria fede, ad esempio ed incitamento ad altri suoi coetanei che invece stavano alla larga criticoni e orgogliosi.
    E noi ogni tanto scambiavamo quattro chiacchiere con le scarpe degli amici di Giorgio: eravamo importanti e godevamo di una certa stima.
    In seguito, però ci accorgemmo che vicino a noi c’era   spesso un bel paio di scarpette rosa: portavano una simpatica ragazza, e allora ci strizzammo gli occhi: il nostro padrone si apprestava a prendere moglie!
    La cosa ci piacque, ma altri eventi ci incalzavano: ecco che fummo impiegati anche per lavorare e così aumentò il numero delle ore che stavamo in attività, ai piedi di Giorgio.
    E lì si fece la più grande esperienza della nostra vita: comprendemmo l’importanza e il dovere del lavoro.
    L’uomo, il migliore e più completo di tutti gli esseri viventi, è dotato del bene più prezioso: l’anima. Essa muove le facoltà ad adoperare nel senso buono per l’elevazione spirituale e per il giusto mantenimento materiale. Infatti tutto è creato da Dio, e l’uomo non fa altro che adoperare l’intelligenza che Iddio gli ha dato affinché scoprendo le infinite risorse del Creato, se ne serva e ne tragga beneficio.
    Questo è il senso giusto, naturale, e tutto ciò richiede lavoro. Il lavoro quindi nobilita veramente l’uomo e lo rende più simile al suo Creatore, perché lo fa elevare su tutte le altre creature, portandolo verso l’alto; e il lavoro oltre che strettamente materiale può anche essere intellettivo, quale espressione della forza interiore.
    Poi, osservando la natura, capimmo che anche essa è sempre in continuo lavoro: la vegetazione, l’andamento atmosferico, e tutto il procedere della vita dell’universo.
    Così eravamo felici di partecipare al lavoro del nostro padrone, e quando tornavamo a casa stanchi e polverosi, eravamo fieri e pieni di una grande dignità.
    Il tempo trascorreva sereno e oramai eravamo convinti di giungere senza scosse alla vecchiaia, quando un giorno avvenne un fatto straordinario, decisivo.
    Con Giorgio, la sua fidanzata e Marco, il piccolo fratello di questa, si partì di buon mattino in cerca di funghi.
    Nella prima parte della mattinata tutto andò bene, poi a un certo momento   il bambino che si era attardato, si mise a giocare lungo l’argine di un laghetto e vi cadde dentro.
    La cosa era molto seria e Giorgio, alle grida di aiuto, si lanciò di corsa verso il lago: ma ne era distante parecchie decine di metri.
    Così, sostenendo il nostro proprietario che correva disperatamente, urtammo in scogli aguzzi, ci puntellammo coi tacchi   perché non cadesse e gli permettemmo di superare il lungo tratto ghiaioso senza farlo cadere e senza che si facesse male ai piedi, mentre noi eravamo tutti scorticati. Poi, nella melma della riva, e fino in mezzo al lago, giungemmo appena in tempo per salvare il piccolo Marco.
    Un grande gesto da parte di Giorgio che aveva salvato la vita al futuro cognato rischiando la propria: ma senza il nostro aiuto non avrebbe potuto fare così presto, che un paio di scarpe più raffinate non sarebbe stato all’altezza di così arduo compito; però, a felice missione compiuta, eravamo irrimediabilmente sciupati.
    Ed ora ci troviamo nella soffitta della casa colonica abbandonati e inutilizzati e trascorriamo il tempo conversando con le altre cianfrusaglie dei tempi trascorsi; e, ogni tanto, dal finestrino del solaio, scorgiamo giù nell’aia il nostro Giorgio, sua moglie e Marco, ora giovanottello, i quali ignari dell’importanza che abbiamo avuto nello sventare la tragedia, non ci ricordano più.
    Ma, pensiamo, amare significa donare, e costa sacrificio; e allora ci stringiamo più vicini, felici.


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2 Comments

  1. Pingback by Monaco » Le Havre - Monaco — 2 Novembre 2008 @ 14:53

    […] LETTERATURA: Due vecchi scarponi raccontanodi Mario Camaiani. Quando iniziammo a prendere visione del mondo, eravamo ancora nei locali dello stabilimento che ci aveva creati, in mezzo a quella che per noi parve una confusione indescrivibile, ma che invece era frutto … […]

  2. Commento by Gian Gabriele Benedetti — 2 Novembre 2008 @ 14:58

    La storia dei due scarponi è la storia della vita. Di una vita semplice, ma ricca di generosità, impegno, altruismo, fede nell’uomo e in Dio. È piacevole, commovente ed anche edificante ritrovare questa atmosfera, che rende l’uomo comune, pur modesto, immensamente grande e lo fa vero uomo, uomo che conta soprattutto agli occhi di Dio stesso e di cui vi sarebbe tanto bisogno nel nostro mondo.
    Racconto colorito, familiare, aperto al solco del cuore. Racconto che si fa sapienza (non alta sapienza, ma sapienza dei puri di cuore) e diviene convinzione limpida nello schiudersi al bene. Sapienza e convinzione che non devono essere seppellite (e non lo saranno, finché esisterà una certa umanità) nelle ceneri di un quotidiano, che non di rado ci lascia l’amaro in bocca.
    Esprimo sinceramente tutta la mia soddisfazione per l’ingresso nella presente rubrica dell’amico Mario Camaiani, che so persona squisita e di grande spessore umano e morale. E per di più è un bravo scrittore!
    Gian Gabriele Benedetti

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