LETTERATURA: Erri De Luca: “Il Cielo in una stalla”, Casa editrice Infinito.27 Maggio 2010 di Francesco Improta Il racconto, ambientato nel settembre del 1943, al tempo dell’ar mistizio di Badoglio, ha come protagonisti un gruppo di sbandati che cercano, spogliatisi delle divise militari, di nascondersi per sottrarsi ai rastrellamenti dei tedeschi diventati ormai truppa di oc cupazione. Lasciata Napoli, sottoposta a una gragnuola di bom bardamenti, il gruppo si trasferisce a Sorrento, dove trova rifugio nella stalla di una masseria, il cui tetto pieno di squarci e di fessure lascia intravedere, di notte, il cielo che “si accovaccia fino a terra”. Da qui il titolo del racconto, coniato sulla falsariga della celebre canzone degli anni sessanta Il cielo in una stanza. Le pagine successive raccontano le ore che scorrono lente, tra timori e incertezze; le fughe improvvise nei limoneti circostanti per sottrarsi ai tedeschi che perlustrano la campagna in cerca di animali da requisire; i progetti coltivati in silenzio per il dopo che in guerra non è la pace ma l’interruzione che stordisce; l’arrivo di un sesto fuggiasco, di famiglia ebraica, con il quale lega soltanto il padre di Erri; Napoli che brucia sotto i bombardamenti e le notizie che provengono da Radio Londra sugli alleati ormai vicini all’isola di Capri. Non meraviglia, quindi, che si organizzi una fuga nottetempo in barca verso l’isola di Tiberio, dove i fuggiaschi approdano dopo tre ore scarse di navigazione a remi, tra frasi brevi sussurrate a bassa voce, qualche risata involontaria per la scarsa abilità di alcuni ai remi e una preghiera dell’ebreo. Appena sbar cati abbracci spontanei, grida composte, pacche sulle spalle e… tuffi in acqua. Dice Erri in maniera concisa ed efficace, altamente poetica: “Si erano tolti la guerra di dosso.” Ed è qui che le memorie personali di Erri, o meglio del padre di Erri, si fanno memoria collettiva di un popolo, di un’epoca, dell’uomo nella sua accezione più ampia e comprensiva. La scrittura di Erri è sempre più nitida, luminosa come quelle stelle che sul fronte di guerra in Albania erano “cimici appiccicate al muro, impolverate, stra fottenti. Nelle notti della masseria, invece, se le ritrovava infer miere in camice bianco a vegliare sulla loro corsia di uomini sdraiati ad aspettare”. Altre volte quella stessa scrittura comunica un senso di vertigine come i caratteri di quel libro di preghiere che l’Ebreo apriva al mattino e chiudeva alla sera lasciando che fosse il vento a sfogliarne le pagine, perché ormai lui non sapeva più pregare. Caratteri che “più che nero su bianco erano nero su vuoto”. Grazie Erri. Letto 3123 volte. | ![]() | ||||||||||
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