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LETTERATURA: I MAESTRI: Balzac: Con Dio o con Satana

10 Luglio 2012

di Arrigo Benedetti
[dal “Corriere della Sera”, sabato 7 giugno 1969]

Il Balzac di Ernst R. Curtius, l’alsaziano che do ­po avere optato per la cul ­tura tedesca, ebbe a dedi ­carsi soprattutto alle lette ­rature romanze, aiuta ge ­nerazioni di lettori italiani il cui palato risente fin troppo di Flaubert a inten ­dere nella sua intierezza un romanziere disconosciu ­to, finché visse, dai fran ­cesi, e che semmai in pa ­tria e fuori fu prediletto dai poeti: da Victor Hu ­go, a Browning, a Hofmannsthal. (Balzac di Ernst R. Curtius, ed. Il Saggiatore, pp.351, L.2500, acura di Vincenzo Loriga).

Eppure anche Balzac co ­me Flaubert sostituì l’arte â— quella consistente nello scrivere romanzi â— alla vi ­ta, senza tuttavia nascon ­dersi in una villa sulle rive
della Senna e senza esaspe ­rare se stesso fino alla fol ­lia. Egli resta il provinciale di Tours diventato parigino. Alterna la solitudine fra ­tesca, necessaria al lavoro letterario, alla mondanità. Come poi Baudelaire, apprezza la modernità, che egli definisce contempora ­neità. Non meno di Sten ­dhal è immerso nel suo tempo, anzi se n’esalta in ­genuamente. La costruzione del porto di Cherbourg gli fa dire che al confronto le piramidi egiziane e le ar ­chitetture romane non sono un gran che. « Il nostro se ­colo è immenso » scrive a Ewelina Hanska, la sua con ­tessa polacca, che in segui ­to sposò. E il secolo per lui coincide conla Francia e conla Parigi, di cui preten ­de d’essere l’arbiter elegantiarum. E’ un avvenirista tentato di guardare indie ­tro, attratto dalle solide tradizioni. La sua non è una letteratura storiografica, co ­me si dice oggi; anzi, la sto ­ria è per lui un seguito di arcane espiazioni. Maria Antonietta espia le colpe del padre Francesco di Lo ­rena che aveva favorito la spartizione della Polonia.

Il passato, semmai, gli of ­fre elementi per la sua po ­lemica controla Franciadell’89. Da giovane si di ­chiarò per il trono e l’al ­tare, senza essere un ultra, giacché il dispotismo lo in ­dignava. Precisava però che occorre tenere a bada i po ­veri, dando modo, natural ­mente, alle intelligenze su ­periori d’aprirsi una stra ­da. Non andava più in là per stabilire come ciò avreb ­be potuto prodursi. Anzi, aggiungeva: occorre tenerli a bada per la tranquillità delle classi agiate. Nietzsche scrisse: « Balzac… profon ­do disprezzo per le masse ». E Taine, a cui si deve la consacrazione postuma del grande scrittore: «La sua politica fu un romanzo ». Una specie di de Gaulle insomma che al posto della grandeur metteva il fluido dell’energia nazionale.

L’energia di cui consta l’universo è la chiave del suo pensiero. San Luigi, Luigi XI, Richelieu, Napo ­leone rappresentano una stessa idea umana, incar ­nano le energie messe a di ­sposizione dalle circostanze. Danno al misterioso fluido concretezza col loro genio.

Paganini, ascoltato nel ’31, non l’impressiona per l’abi ­lità dei polpastrelli ma per il mistero ch’era in lui. L’e ­nergia suscita desideri che diventano passioni, però, ri ­petendo Diderot, Balzac di ­sprezza quelle meschine. Il desiderio si sublima nell’a ­more. Nonostante i robusti appetiti, vagheggia la don ­na angelicata, quasi stilno ­vistica, in cui si mescolano inoltre idee platoniche rina ­scimentali, fino a lasciare affiorare il mito della supe ­riorità dell’androgino.

Scambia Cagliostro per un filosofo. In certi mo ­menti, leggendo il saggio di Curtius, si è tentati d’escla ­mare: « Che genio, però che confusione! ». Come succe ­de, se non si sta attenti, con certi russi. Dostoievskj soprattutto che, non a ca ­so, ebbe a dichiararsi balzacchiano. Si sente a tu per tu con Dio e con Sa ­tana. Il fatto che nel ’30 siano simultaneamente mo ­ribondi il Papa e Goethe lo commuove. Vorrebbe conci ­liare una religione istituzionalizzata come quella di Roma con una religione universale e perenne. Il cat ­tolicesimo è per lui una forma contingente d’una re ­ligiosità eterna. Come esi ­ste una sola sostanza, non può darsi che una sola re ­ligione. Si richiama a Svedenborg, e poi, risalendo nel tempo, ai templari al ­l’alchimia al sincretismo mistico.

« Passo sovente ore di ma ­linconica gioia, di riso e di meditazione, immaginando ­mi Gesù Cristo che incon ­tra Giulio II e Leone X » scrive in un diario. Non è d’accordo con Pascal che aveva scritto come «senza Cristo il non mondo non esisterebbe ». Ed evoca la felicità delle Americhe pre ­colombiane, la grandezza non europea della civiltà cinese. Insiste su un punto: tutto il male dei tempi moderni (dei quali d’altra par ­te è consentaneo) viene dal ­la Riforma: di lì l’illumi ­nismo, la rivoluzione, l’uguaglianza e il codice na ­poleonico.

Lo si sospetterebbe mitomane della filosofia e come un precursore non scientifi ­co dell’attuale sociologia. Invece, dentro la sua testa, tutto â— politica, cultura, perfino la superstizione â— viene frantumato, diventa elemento di fantasia. Giu ­dica più reale Eugénie Grandet dei personaggi in carne e ossa che occupano la scena politica e sociale francese. In partenza, guar ­da al grande secolo: Mo ­lière l’affascina come inven ­tore di persone ch’egli sente vive, e del massimo com ­mediografo riprende i tito ­li: L’école des ménages è ispirata a L’école des femmes e a L’école des maris.

La scuola romantica l’in ­fastidisce, i drammi di ta ­le tendenza sono per lui «ci ­brei di cattivi versi ». Stima Hugo, ne sente la paren ­tela (anche Balzac, come poi Proust, appartiene alla linea robusta che va da Ra ­belais, appunto a Hugo) ma critica l’Ernani. Appena let ­to Le rouge et le noir scri ­ve a Ewelina Hanska ch’è un capolavoro e che avreb ­be potuto scriverlo Machia ­velli, dov’è, nonostante il suo cattolicesimo non esen ­te da sfumature medievali, un richiamo all’esplosione d’energia, avutasi in Italia fra il quindicesimo e il se ­dicesimo secolo. Invece la Chartreuse lo lascia per ­plesso; vi sente un’opera destinata alle élites, qua ­si presentisce l’esclusivismo dei futuri soci del sodalizio stendhaliano.

Balzac ebbe verso il ro ­manzo le perplessità che, nel secolo XVII, Molière aveva nutrito per la com ­media, intestardendosi, pri ­ma d’inventare Tartufo e Arpagone, a imbastire noio ­se tragedie. Pregiudizi mon ­dani compressero il suo spi ­rito narrativo. Tentò il tea ­tro, un fallimento; la sto ­ria, senza avere un serio pensiero storiografico. Te ­meva che il romanzo fosse un genere deteriore, seb ­bene in francese fossero già state scritte le storie di Gargantua e di Pantagruel, della Princesse de Clèves, di Manon.

Il successo dì Walter Scott e il fatto che ne leg ­gesse i romanzi con ab ­bandono liberò la sua fan ­tasia, che, certo, per stra ­ripare avrebbe colto altre occasioni anche senza Ivanoe. Allora tutto â— società e principi â— si scompone, le invettive contro gli im ­mortali principi perdono l’acredine, le teorie sull’e ­nergia unica sono quasi di ­menticate e il romanziere, sui frantumi d’una vastissi ­ma eterogenea realtà uma ­na e culturalistica assorbi ­ta, comincia a costruire la sua commedia.


Letto 2022 volte.


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Bart