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LETTERATURA: I MAESTRI: Basta con le stroncature?

12 Dicembre 2015

di Enrico Falqui
[da “La Fiera Letteraria”, numero 2, giovedì 12 gennaio 1967]

Ci è già capitato di non consentire con altri al rimpianto della « stroncatura » come testimo ­nianza d’impegno e d’intransigenza, come pro ­va di franchezza e di indipendenza, e ci siamo ben guardati dall’auspicarne il ritorno nella pubblici ­stica come segno di una ripresa di passionalità quanto mai opportuna per ravvivare la discussione delle fac ­cende letterarie. (Cfr. Novec. letter., VII, 182-186).

Uguale dissenso dobbiamo perciò manifestare, a distanza di an ­ni, nei confronti della speranza manifestata, pur con la sorriden ­te grinta che gli è naturale, da Alfredo Todisco (Corriere della Sera, 12 novembre 1966) a favo ­re di una energica e sollecita ri ­presa della « stroncatura » come rimedio per ristabilire un po’ di equilibrio, da parte della critica, tra la benevolenza scritta e la malevolenza orale, cui troppo spesso, per opportunismo o per leggerezza, son fatti segno gli scrittori, a riguardo, s’intende, di una stessa loro opera. Se que ­sta è oggi la sorte degli scrittori italiani, in bilico tra l’elogio per scritto e la denigrazione a paro ­le (scripta manent, verba volant) ogni qualvolta tirano fuori un li ­bro nuovo, è sorte ben misere ­vole. Ma non meno per coloro che la subiscono, che per coloro che la infliggono; perché rivela ­trice di un’ingiustizia e di una scostumatezza. Contro le quali, tuttavia, non riteniamo che po ­trebbe riuscire di giovamento il ripristino della « stroncatura » in quanto tale, perché resterebbe sempre da precisare chi dovrebbe meritarla e chi firmarla. Ope ­razione strettamente critica, che una volta prestabilita non ha quasi più bisogno d’essere ese ­guita poiché sia lì mittente sia il destinatario saprebbero già co ­me comportarsi reciprocamente. Segno quindi che il malcostume letterario sarebbe in diminuzio ­ne. Ma, per arrivare a questo ri ­sultato, la migliore strada da seguire sarebbe quella della «stron ­catura »? Esasperare anzi che persuadere? Eccedere anzi che graduare? Demolire anzi che cor ­reggere?

Effetto discutibile

Eppoi la « stroncatura » come tipo di critica ci riporterebbe a un’usanza papiniana di così sgra ­ziata memoria e discutibile effet ­to che l’affidarle una qualunque funzione moralizzatrice sarebbe del tutto contraddittorio. Nella « stroncatura » lo stroncatore si sporge, si spinge più avanti dello stroncato: si mette in mostra, fa il bravone, dà spettacolo, e se ne compiace dichiaratamente. Al critico spetta di comportarsi diversamente, anche quando si tro ­va in obbligo di esercitare tutta la sua severità, e se ne dispia ­ce come di una mancata buona occasione. E domandiamoci an ­che se l’usanza sia caduta in ab ­bandono per rinunzia a far sul serio oppure a dare scandalo: e se dunque ci si debba dolere op ­pure rallegrare della sua spari ­zione. Noi siamo per il parce sepulto: e la conferma d’essere nel giusto ci viene proprio dalla cat ­tiva impressione ricevuta, in questi giorni, dalla inopportuna ristampa e dalla illusoria riabili ­tazione della più famosa tra le stroncature. Che fu quella, astio ­sissima, scritta e stampata da Papini a danno di Emilio Cecchi, nella Voce del 28 febbraio 1915, col titolo: La sor’ Emilia.

A Renato Serra sembrò cosa ammirevole in una lettera del 4 marzo 1915 a Giuseppe De Robertis, allora direttore della Vo ­ce (Epistolario, 546), e questi glie ne diede atto in un paragra ­fo dei Consigli del libraio, intito ­lato Veleno e chiuso con l’assicu ­razione che, « tra dieci anni, pas ­sato il rumore di questa farsa, si rifaranno i conti… » (Voce, 15 aprile 1915). Tra i gruppi lette ­rari più intraprendenti della Ro ­ma e della Firenze letteraria di allora non correvano buoni rap ­porti di vicinato. Al contrario, serpeggiava la polemica. Ma le ragioni dell’ingegno finiscono sempre col farsi valere. De Robertis divenne uno dei più amati sostenitori di Cecchi. E il giudi ­zio di Papini risultò così sbaglia ­to di fronte al progredire e all’affermarsi del lavoro critico e saggistico di Cecchi, che al re ­sponsabile tornò conveniente to ­gliere la « stroncatura » dalla raccolta dove l’aveva ristampa ­ta. Sicché le Stroncature (Libre ­ria della Voce, Firenze, 1916) dopo la terza edizione, non han ­no più recato quel prototipo di critica; né si sono date cura di andarlo a ricercare e riproporre come bell’esempio le pur larghe antologie vociane dello Scalìa e del Ferrata, a cinquant’anni di distanza, in sede ormai storica. « La migliore stroncatura è il si ­lenzio »: commentò Panzini, nel suo Dizionario moderno, in cal ­ce alla spiegazione della parola « stroncatura » nel senso lettera ­rio di scritto critico mordace. E col silenzio fu ripagata quind’innanzi la mancata profezia sul fallimento critico e artistico di Emilio Cecchi; tanto, a smentir ­la e irriderla, parlavano chiaro i fatti. Delle opere di Papini, a parte le innumerevoli ristampe particolari, si sono avute due ri ­stampe generali, coi tipi del Vallecchi e del Mondadori; e in nes ­suna si è più rinvenuta traccia di quella « stroncatura »; se mai, nell’Avvertenza a Scrittori e ar ­tisti (Opere, IV, 11: Mondadori, Milano, 1959), una specie di di ­scolpa e giustificazione, laddove si vuol far presente che, « se è vero che talvolta poté apparire, tanto nella lode che nel biasimo, eccessivo e perfino ingiusto, come, in particolare, in talune celebri « stroncature », è anche vero che altre volte la passione, ostile o amorosa che fosse, gli fece scoprire negli uomini e nelle opere qualità e caratteri che sa ­rebbero rimasti nascosti a critici più distaccati, più obiettivi ». Non fu il caso della « stroncatu ­ra » di Emilio Cecchi. Il proce ­dimento iconoclastico dell’intera serie delle Stroncature risultò « arbitrario », salvo a riconoscer ­gli il merito di aver contribuito a toglier di mezzo il panegirico. « Uno dei primi esempi di quel ­l’impegno totale che noi oggi chiediamo all’esegeta »: sostenne Mario Apollonio. (Papini: Cedam, Padova, 1944). Ma altro fu ed è in vero l’impegno richiesto e conseguito: non come fatto per ­sonale: quando si voglia pren ­derlo a guida.

Un episodio da non ricordare

Al chiasso, dunque, fu con ­trapposto il silenzio; sempre più compatto e impenetrabile via via che, con gli anni, l’esempio an ­dava, con la carica polemica, per ­dendo ogni valore pittoresco e sbiadiva, svaniva, fino a non tro ­vare riscontro che nelle biblio ­grafie. (Cfr. Papini: Politica e ci ­viltà, 12: Mondadori, Milano, 1963; Falqui: Papini e la censu ­ra: Tempo, 29 luglio 1965). Un titolo e nulla più: specialmente per tutti coloro nati e cresciuti sotto altra costellazione. E il si ­lenzio avrebbe continuato a vi ­gere se, nel settembre scorso, in morte di Cecchi, non fosse stato interrotto (Tempo di Milano, 21 settembre 1966) da un richiamo di Giancarlo Vigorelli. Per un buon tratto del necrologio, egli si richiamò a quella « stroncatu ­ra » come ad « una tra le più ba ­lorde » per i motivi che non gli fu difficile illustrare, ricavando ­li dalla biografia e dalla critica. A noi non parve che, in quella triste occasione, fosse necessario, e forse nemmeno opportuno, ri ­cordare e far ricordare un simi ­le episodio delle trascorse crona ­che letterarie, dappoi che gli stessi protagonisti l’avevano tol ­to di mezzo ed avevano prose ­guito ciascuno per la propria strada, come se nulla fosse mai accaduto. Andarselo a ricordare proprio quando sarebbe stato ca ­ritatevole dimenticarselo per sempre, non poteva risultare incitoso, provocante? Ma di lì a poco dovemmo ricrederci e qua ­si giustificare, apprezzare il ri ­chiamo di quella « stroncatura » fatto dal Vigorelli, in considera ­zione dell’apprezzamento rivendicativo che ne venne tentato da Giorgio Savioli in Totalità (25 settembre 1966), « quindicinale libero » di varia polemica diretto da C. L. Occhini, appartenente a famiglia strettamente imparen ­tata con Papini.

L’articolo voleva essere riven ­dicativo della menomata compiutezza della raccolta Scrittori e maestri, dove la « stroncatura » avrebbe dovuto ritrovare la sua giusta collocazione, se non vi si fosse opposto recisamente l’edi ­tore Mondadori, « arrivando, pa ­re, a minacciare la sospensione della stampa delle Opere com ­plete [di Papini] se si fosse in ­sistito per riesumare la stronca ­tura ». E nella menomata com ­piutezza della raccolta si rim ­piangeva la sottrazione di una tesi e di una caratterizzazione critica « tuttora valevole, a tan ­ta distanza di anni e dopo tanti articoli e volumi pubblicati da allora dall’autore dei Pesci ros ­si: questi inclusi ». Ma il rim ­pianto â— come si deduceva dal resto dell’articolo â— era anche dovuto alla considerazione che il rapporto fra i due scrittori non tornò mai a pacificarsi e rasse ­renarsi del tutto. Papini poté fa ­re a meno di occuparsi di Cec ­chi; ma Cecchi, dato il suo me ­stiere di critico letterario, non poté fare altrettanto con Papini, e la produzione di Papini non sempre riscosse la sua lode, de ­rivandone â— da parte del Sa ­violi â— che « quel che Papini gli aveva somministrato in una vol ­ta sola in dose massiccia, e sen ­za mascherature, lui [Cecchi] cercò di restituirgli via via in piccole dosi, senza troppo sco ­prirsi. Ma la differenza era incol ­mabile » e â— ad esaltato parere di Mario Graziano Parri, che nel numero successivo di Totalità (10 ottobre 1966) è intervenuto sullo stesso argomento, a fine

ugualmente rivendicativo â— non fu pareggiata nemmeno con il necrologio, « apparente ­mente obiettivo, ma in realtà sot ­tilmente velenoso », dedicato dal Cecchi al Papini (Corriere della Sera, 10 luglio 1956) « per tenta ­re, come poteva, di rifarsi » del ­l’antica stroncatura.

Papini cattivo profeta

Da ciò â— dato e non concesso che corrisponda al vero e non piuttosto ad una presunzione â— l’opportunità â— malignamente condivisa dal quindicinale â— di riprodurre lunghissimi tratti del ­la Sor’ Emilia (quelli che « pos ­sono esser letti con interesse e curiosità »), salvo a trovarsi infi ­ne nella necessità di dover con ­cludere, dopo tante assurde con ­danne e mancate profezie, che « Papini non è stato buon pro ­feta. Emilio Cecchi ha molto la ­vorato, ed è divenuto uno del maggiori critici italiani » ; do ­mandandosi, non senza incor ­rere nel ridicolo, se a tanto ri ­scatto « non abbia influito anche quella stroncatura ».

Alla stregua dell’opportuni ­tà di simile ristampa, il richia ­mo di Vigorelli si è rivelato tem ­pestivo. Né noi, registrando l’epi ­sodio nei suoi particolari, abbia ­mo voluto consentire allo sterile piacere del pettegolezzo. Ci sono fatti di costume letterario che sa ­rebbe sbagliato non registrare. Nel caso particolare abbiamo in ­teso contribuire alla documenta ­zione di quanto il tipo di criti ­ca che prende nome dalle Stron ­cature â— nonostante ne sia sta ­to riportato qualche campione tra le Pagine scelte di Papini ad uso delle scuole (Mondadori, 1962) â— non risulti propriamen ­te il più adatto per restituire prestigio alla critica letteraria. Chi abbia curiosità per l’aneddo ­tica può mettere a riscontro il diverso spirito e modo con il quale Papini nella Sor’ Emilia (Stroncature, 127-129: Libreria della Voce, Firenze, 1916) e Sof ­fici in Fine di un mondo (Auto- ritratto d’artista italiano nel qua ­dro del suo tempo, IV, 105-115: Vallecchi, Firenze, 1955) raccon ­tarono uno stesso episodio ri ­guardante l’intervento di Cecchi presso Prezzolini acciocché la Vo ­ce non modificasse troppo la pro ­pria natura culturale. (Al ri ­guardo cfr. anche le lettere di Slataper a Soffici del 23 ottobre 1909 [Epistolario, 255-259: Mon ­dadori, 1950] è di Prezzolini a Papini del 24 ottobre 1909 [Papini-Prezzolini: Storia di un’ami ­cizia, I, 244-246: Vallecchi, Firen ­ze, 1966]). Non diremmo che il racconto e il giudizio dello stroncatore siano, nell’intento e nel risultato, più veri e più indipendenti di quelli del memorialista. La differenza è soprattutto di umanità.

 


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Bart