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LETTERATURA: I MAESTRI: Chabod com’era nella vita

10 Dicembre 2016

di Francesco Gabrieli
[dal “Corriere della Sera”, mercoledì 29 luglio 1970]

Un’afosa notte estiva. Il son ­no leggero, già interrotto, sten ­ta a ripréndere, e nel dormive ­glia s’affacciano alla memoria, come a Turgenev errante per la foresta russa, immagini care di vivi e di morti, quasi can ­cellata la linea di separazione; più insistente fra tutte, un’al ­ta figura, un volto scarno e severo, di una severità pronta a sciogliersi in un buon sorri ­so. Mi accorgo guardandolo che pochi giorni fa si son com ­piuti dieci anni dalla sua scom ­parsa, e per me dalla fine di uno degli inconfessati e incor ­risposti amori della mia vita.

Non posso qui ricordare Fe ­derico Chabod, come han fat ­to a suo tempo amici ben più qualificati di me, semplice di ­lettante di storia occidentale (eppure a una sua iniziativa si deve quella raccolta di Sto ­rici arabi delle Crociate che mi ha fatto mettere di sbieco un piede anche in quel campo). Vorrei solo rievocare, per me stesso e per chi potesse associarvisi, alcuni di quei foto ­grammi della memoria, quali mi si son riaffacciati tra il son ­no e la veglia in questa notte d’estate. I libri di Chabod, spe ­cie dopo la sua morte, han var ­cato largamente la cerchia de ­gli specialisti: l’opera è lì, se ­condo alcuni unica sopravvi ­venza dell’uomo. Ma l’uomo vi ­vo, quello che abbiamo ammi ­rato e amato, trascende anche da semplice èìdolon quella pre ­senza immanente nell’ opera, sollecita come persona il no ­stro personale ricordo e rim ­pianto. Ecco dunque lo Cha ­bod, gli Chabod che io rivedo risalendo il corso degli anni.

Sulla fine degli anni Venti, nella redazione della delollisiana Cultura: tra gli amici riu ­niti attorno al maestro c’è un giovane lungo lungo, chiuso in un suo timido riserbo di mon ­tanaro. Apprendiamo che è l’autore del già noto e apprez ­zato saggio sul Principe, in par ­tenza per la Spagna, dove fa ­rà ricerche nel grande archivio di Simancas (ne nacquero in ­fatti i suoi luminosi studi sul ducato di Milano nel Cinque ­cento). Un suo predecessore in quelle ricerche ci aveva da po ­co lasciata la vita, e noi squa ­drammo il successore designa ­to con una certa apprensione… Ma Chabod andò, lavorò e tor ­nò, carico di schede ed appun ­ti; e poco dopo ce lo trovam ­mo a fianco nella redazione della Enciclopedia italiana, che attirava e utilizzava in ogni campo le migliori energie del ­la allora giovane generazione di studiosi.

Giovanni Gentile, dispotico amante paterno, imperava su quelle giovani leve; ma per Chabod, come era fisicamente impossibile parlargli dall’alto in basso, così ci è sempre sem ­brato che lo fosse anche in sen ­so figurato, tanto la sua sta ­tura intellettuale e morale im ­poneva rispetto anche a soli 30 anni. Perciò, forse, non ar ­dimmo mai proferirgli esplici ­tamente e chiedergli amicizia: ma ogni occasione di intratte ­nersi con lui ci confermava quel desiderio e quel piacere. L’Enciclopedia, si sa, al riparo dell’Atto puro, era allora un centro di fronda, e più di una volta le nostre discussioni dal ­la critica del regime tendeva ­no a trapassare a quella del ­l’istituzione che quel regime avallava, contrapponendo l’an ­tifascista Chabod al fedele sud ­dito valdostano dei Savoia. « Forse hai ragione », mormorò egli una volta soprapensiero, a una mia mazziniana diatri ­ba sulla Repubblica come più alto ideale politico non contaminabile da incarnazioni inde ­gne; e di quell’approvazione del mio quasi coetaneo fui fiero come di quella d’un venerato maestro.

Passano gli anni, e ci si ri ­trova alla facoltà di lettere della università romana, dove egli insegnò con quel prestigio e autorità internazionali cui era rapidamente salito. In questi anni di contestazione, mi sono più volte chiesto come se la sarebbe cavata, o piuttosto come se la sarebbero cavata i contestatori con lui. Ma ricor ­do bene una seduta di facoltà di anni lontani, ove egli parlò a lungo, in tema di riforme di ­dattiche e del rapporto coi gio ­vani, con un calore, una lungi ­miranza, una spregiudicatezza di idee, che strappò alla fine di quell’improvvisato discorso l’applauso dei colleghi soggio ­gati e commossi. Di come egli trattasse i suoi studenti, dirò un solo ricordo: una ragazzina di mia conoscenza, che aveva preparato al Record Office di Londra la tesi da lui proposta ­le, sull’Inghilterra e l’Italia ne ­gli anni cruciali del Risorgi ­mento, andò un po’ trepidante a sentirne il giudizio dopo la prima lettura. « Questa tesi è scritta coi piedi », fu la prima accoglienza borbottata dal gi ­gante alla novellina, che si sen ­tì sprofondare; ma poi si ri ­confortò quando il maestro le mostrò di aver apprezzato se non lo stile la sostanza del la ­voro, e quando lo difese, lodò e fece lodare in sede di discus ­sione.

A quel tempo, cioè nell’ulti ­mo decennio della sua vita, Chabod era tornato interamen ­te agli studi, che aveva inter ­rotti per la Resistenza e poi la lotta per salvare all’Italia la sua diletta Val d’Aosta. In una stanzetta d’albergo qui in Ro ­ma, ancor nel corso di quegli anni fortunosi, egli mi raccon ­tò sommariamente le fatiche, le amarezze, i pericoli corsi per serbare alla Patria maggiore la sua piccola patria alpina (com ­preso il grido di una energumena, quando egli dové affron ­tare in Aosta, al rischio della vita, un tumulto di separati ­sti: « Livrez-le à la justice du peuple!… »). De Gasperi riceven ­dolo in quel periodo parlava scherzosamente dell’incontro di due Presidenti, e fuor di scher ­zo non so quale sarebbe stata la sorte della Val d’Aosta, in quegli anni ove l’Italia ex-im ­periale era taillable et corvéable à merci, senza la tenacia, l’abilità, il coraggio di Federi ­co Chabod; il quale, una volta compiuta l’opera conciliatrice dell’autonomia valdostana con l’unità, fu felice di dire addio alla politica, e tornare al suo Carlo V e alla politica estera dell’Italia dopo il ’70, per ricor ­dare appena due dei temi da lui prediletti, oggetto di talu ­ne fra le sue opere maggiori. E gli anni che dovevano essere i suoi ultimi, egli li passò in quei santuario napoletano de ­gli studi storici, accanto al gran Vecchio che lo volle a capo dell’istituto da lui fonda ­to. Discepolo ideale di Croce, Chabod era stato nei suoi gio ­vani anni anche alla scuola berlinese di Friedrich Meinecke, lo storico della ragion di Stato e dell’imperialismo tedesco; e quel grande tedesco ed euro ­peo, lo sentimmo alla sua scom ­parsa degnamente commemo ­rare da lui ai Lincei.

Poi, dall’acme piena e fecon ­da al prematuro tramonto; le ultime immagini che ci restano di lui sono di stanze di clinica, fra timori e speranze inganne ­voli, tra sofferenze fortemente affrontate; fino a quella imma ­gine definitiva, con un malin ­conico sorriso sulle labbra sug ­gellate, accanto alla fida com ­pagna impietrita dal dolore. Luglio ’60, ad appena 60 anni. Cosa avrebbe potuto fare e da ­re in altri due decenni di vita, questo valdostano, italiano ed europeo di schiettissima tem ­pra, che dall’amore delle pa ­trie montagne assurgeva all’i ­deale e al concetto di un’Euro ­pa unita, nella libertà e nella pace, è il mistero di tutto ciò che non è stato. « Il mio sogno è rimasto un sogno », sono sue parole giunte a noi dal suo ul ­timo ricordo. Ma il suo nobile sogno è divenuto il sogno d’al ­tri, forse altrettanto irrealizza ­bile, eppure stimolo, conforto e giustificazione della vita.

 

 


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Bart