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LETTERATURA: I MAESTRI: Compagnone contro Pinocchio

10 Ottobre 2012

di Lorenzo Sbragi
[da “La Fiera Letteraria”, numero 51, giovedì 29 dicembre 1966]

Il processo a Pinocchio, dopo gli attacchi di Carmelo Be ­ne, registra ora quelli an ­che più circostanziati di Luigi Compagnone, che in un suo Commento alla vita di Pinocchio (Marotta Editore, Napoli 19G6, L. 1200) ne critica a fondo lo schema ideologico andando assai oltre il rifiuto, del resto sconta ­to, dell’epilogo conformista. Il suo libro, composto a quanto pa ­re tra l’aprile e il maggio del ’64, conserva la struttura tumul ­tuosa e insieme l’unità d’ispira ­zione di un’opera scritta di getto, configurandosi in una serie di provocazioni spesso arditissime che mutuano semmai organicità letteraria dal testo collodiano, se ­guito punto per punto in una lettura attenta e risentita che oscilla tra accettazione e ripulsa. Ma non in termini di critica let ­teraria. Compagnone non aspira a definire l’opera del Collodi nel ­la sua compiutezza, si limita a commentare la vita, cioè la strut ­tura storica di Pinocchio, inda ­gandone le componenti più re ­mote. Il burattino cessa di esse ­re un personaggio letterario e il libro non importa più come ope ­ra d’arte, trasformandosi in una sorta di prodotto etnico-popolare che affonda le proprie radici nel folklore (Pinocchio è una ma ­schera e fraternizza con i burat ­tini di Mangiafuoco) o nella ma ­gìa (Pinocchio si trasforma in asino rinnovando antiche meta ­morfosi). Le varie circostan ­ze della vita del burattino diven ­tane/ in questo senso profezie o allegorie del nostro tempo e il compito di Compagnone consiste nell’effettuarne l’esegesi.

Italia miracolata

Contemporaneamente Compa ­gnone procede alla verifica dei vari momenti della propria esperienza culturale â— cristianesimo, marxismo, psicoanalisi, o più in particolare Rabelais, Sade, Mel ­ville, Kafka â— ed è come se il mondo, la grande storia, i fanta ­smi della poesia universale, strin ­gessero d’assedio Pinocchio, rive ­landone la dimensione borghese toscana (di una toscanità nega ­tiva che significa torpore e per ­benismo, neghittosità e buonsen ­so) e con Pinocchio assedias ­sero un’Italietta patriarcale, sod ­disfatta della propria « decen ­te povertà », tutelata nel suo son ­no tranquillo dal passo doppio dei carabinieri, prefigurazione di un’altra Italia moralmente ana ­loga anche se economicamente più espansa, « miracolata ». Il li ­bro, in questo senso, è una auto- biografia culturale e di questa’ angolazione « privata » occorre tener conto, non per togliere og ­gettività e concretezza all’esege ­si di Compagnone, ma per ac ­coglierne e giustificarne gli esiti spesso paradossali o puramente intuitivi: ma proprio per questo autentici, di un’autenticità molto vicina a quella della poesia.

La metamorfosi di Pinocchio in ragazzino perbene (che non ha come scopo precipuo l’evoca ­zione nostalgica della fine dell’in ­fanzia) sottintende la liceità del ­la stessa fase burattinesca, l’età delle birichinate, l’età dei vari Giamburrasca… Birichino e biri ­chinata sono vocaboli che affio ­rano da un contesto sociale con ­servatore, borghese in senso ot ­tocentesco, e definiscono, più che un’autentica sfrenatezza gio ­vanile, l’ipocrita bonarietà dei tu ­tori dell’ordine nei confronti di certi sfoghi naturali, che vanno in genere a detrimento degli stra ­ti sociali inferiori e sembrano rappresentare, per i figli di papà, una sorta di vaccinazione preven ­tiva contro eventuali futuri im ­pulsi rivoluzionari. La birichina ­ta è un ennesimo e interessato omaggio a madre natura (suona falso il riferimento al Figliuol Prodigo, ben altrimenti polemico nei confronti del « perbenismo » farisaico), e sarebbe più giusto spiegarla in termini di conniven ­za paternalistica anche se, nel caso di Pinocchio, il burattino è un figlio del popolo, se non dell’Arte, e le sue fughe verso la li ­bertà rappresentano un supremo tentativo di conservare la pro ­pria natura « vegetale », lignea, vale a dire la propria innocenza.

L’esegesi di Luigi Compagno ­ne ha dunque finalità assai com ­plesse, ma ci sembra preminen ­te, in ogni caso, il costante rife ­rimento alla civiltà del benesse ­re che per la prima volta inci ­de vistosamente sul costume e sulla morale degli italiani, diven ­tati altrettanti ragazzini perbe ­ne grazie a una metamorfosi che spegne l’irrazionale vitalità del popolo fatto massa, annulla gli impulsi individuali e l’amore del rischio, trasforma il gioco da at ­tività fantastica in lavoro quoti ­diano e monotono. Si parla ora ­mai dell’homo ludens, che inve ­ce di lavorare preme pulsanti, cioè gioca, ma in realtà ha per ­duto la possibilità di inventare la propria avventura. Il turismo di massa, lo sport, la televisione, assorbono gli utenti, diventano regole insopprimibili, distruggo ­no, anziché tonificarla, la perso ­nalità. Compagnone denuncia in Pinocchio il profeta dei mali che affliggono il nostro tempo e fa coincidere il miracolo economico con la metamorfosi del buratti ­no in ragazzo perbene. Sicché anche il suo commento alla « fi ­ne dell’infanzia » (condotto, si ba ­di, sulla falsariga di Montale) non perde il proprio mordente ideologico.

Accade oggi al libro del Collo ­di quello che accadde al Cuore di De Amicis tra le due guerre, e si ripete puntualmente da una generazione all’altra il processo di revisione nei confronti di una metodologia pedagogica rifiutata proprio da chi ne fece diretta esperienza e ne è rimasto indub ­biamente condizionato. Il fasci ­smo, sulla scia del Carducci, con ­dannò « Edmondo dei languori », il cui lagrimoso capolavoro fu giudicato non idoneo alle gene ­razioni « littorie ». La civiltà di massa, sulla scia di Marx e di Freud, scorge oggi in Pinocchio una sinistra profezia dei propri mali e lo condanna in nome di istanze revisionistiche magari | contraddittorie, ma accomunate nella fase tattica dell’antipaternalismo, o lotta col padre. Sem ­bra piuttosto remota l’elegante e toscaneggiante prosa di Pietro Pancrazi, né basta sullo sfondo verde di Collodi il discusso mo ­numento di Emilio Greco a pro ­teggere il mito del burattino. Il monumento costituisce semmai una prova a carico e come tutti i monumenti testimonia l’acqui ­sizione da parte dei pubblici po ­teri di un nuovo totem, magari più estroso e meno retorico de ­gli altri, ma non meno negativo e pericoloso. « Pinocchio fu in origine un pezzo di legno », scri ­ve Luigi Compagnone. * Uno co ­me lui non poteva che nascere dal legno. Il rame, poniamo, o il ferro o il bronzo non avrebbero potuto generarlo ». E invece quella del bronzo è stata la sua ultima metamorfosi.

« Colazioni di lavoro »

Le pagine del libro collodiano più fertili di spunti polemici so ­no quelle in cui la fantasia del narratore, magari corroborata dalla tradizione magico-folkloristica, esprime ipotesi prolunga- bili nel tempo. Per esempio, la scorpacciata del Gatto e della Vol ­pe all’Osteria del Gambero Ros ­so anticipa le « colazioni di lavo ­ro » e anche le volgari ripienez ­ze dei ferragosti italiani; l’albe ­ro carico di zecchini, sognato da Pinocchio, prelude ai gettoni d’oro dei concorsi pubblicitari o televisivi; l’uovo trovato nella spazzatura, che lascia Pinocchio a bocca aperta a causa del pul ­cino che ne esce e vola per la fi ­nestra, è un tipico esempio di tecnica pubblicitaria, un’offerta che presenta l’oggetto e lo fa scomparire; il caminetto e la pen ­tola dipinta sono un anticipo di pop art, in quanto rappresentano oggetti avulsi dal loro contesto utilitaristico, irrelati e misteriosi…

Il metodo esegetico del Com ­pagnone è in genere quello psi ­coanalitico e bisogna riconosce ­re che certe interpretazioni risul ­tano assai suggestive e persua ­sive. Per esempio, Pinocchio che fuoriesce dal Pesce-sepolcro te ­nendo il padre sulle spalle, ri ­conducendo alla vita il proprio renitente capostipite, ci appare davvero un portatore di lumi, e non avremmo neppure noi diffi ­coltà a interrompere qui le av ­venture del burattino, soppri ­mente l’ultimo e tanto discusso capitolo. Sarebbe bello identifi ­care nella fuoriuscita di Pinoc ­chio dalla bocca del Pescecane un nuovo « passaggio d’Enea », l’eroe che reca sulle spalle il pro ­prio passato (Anchise) e dovreb ­be avere il futuro per mano (Ascanio). Senonché qui Pinoc ­chio ha per mano solo la pro ­pria infanzia, deperibilissima, in procinto d’essere uccisa da una metamorfosi gradevole e confor ­mista. Molto convincente, anche se ardita, l’interpretazione in chiave freudiana del rapporto Pi- nocchio-Fatina.La Bambinadai capelli turchini è indubbiamen ­te il personaggio più ironizzato da Compagnone, lei, le sue se ­duzioni zuccherose, il suo epilo ­go « ospedaliero »…

Compagnone è scrittore forte ­mente condizionato da una cul ­tura razionalistica che stimola in lui nostalgie volterriane, sopras ­salti polemici capaci di colorar ­si delle tinte acutissime del sa ­crilegio. C’è indubbiamente nel suo neo-illuminismo una compo ­nente sadiana che agisce in dire ­zione sociale pubblica. E infatti egli rifiuta l’intimismo, alla psi ­coanalisi non chiede il recupero del tempo perduto ma ricostru ­zioni, su vasta scala, interessan ­ti la sociologia e la storia. Rive ­la una notevolissima tensione in ­tellettuale, sottopone il testo col ­lodiano a uno sforzo incredibile, come se inventasse una logica sui generis, costretta, per così di ­re, ad essere logica. Eppure, al ­la fine, avvertiamo il profondo significato di questa tensione, di questo sforzo logico: la verità è molto al di là delle apparenze, i detriti da rimuovere sono anco ­ra infiniti, ci vuole coraggio, spregiudicatezza, i paradossi ‘ so ­no tali solo agli occhi di chi an ­cora persiste nell’attaccamento al luogo comune.


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Bart