LETTERATURA: I MAESTRI: Curiosità stendhaliane1 Novembre 2018 di Leonardo Sciascia Nel catalogo di una li breria antiquaria milanese trovo: « (Stendhal) Mérimée, P. – H.B. par Un des Quarante. Avec un frontespice stupéfiant dessiné et gravé par S. P. Q. R. (Félicien Rops), Eleutheropolis, l’an MDCCCLXIV (Bruxelles, 1864) ». Telefono alla libreria: il libro c’è ancora (per la di stanza, quasi mai arrivo ad avere, dalle librerie antiqua rie del nord, i libri che mi interessano); me lo spediran no subito. So che contiene ricordi e aneddoti stendhaliani che Mérimée aveva pub blicato nel 1850 in un opu scolo tirato a venticinque esemplari, anonimo e senza data, che poi l’autore stesso aveva fatto in modo che non circolasse, poiché lo Stendhal miscredente e cinico che ne veniva fuori non piaceva agli amici dello scrittore scompar so; né, ancora oggi, piace agli stendhalisti â— « une sorte d’offrande empoisonnée á ce lui qu’elle prétend honorer », dice il Del Litto. E conosco, per una riproduzione che si trova nell’Album Stendhal di Gallimard, il frontespizio « stupefacente » che Félicien Rops incise per la ristampa, limitata e quasi clandestina, che quattordici anni dopo si fece a Bruxelles dell’opuscolo. O meglio: credevo di conoscerlo; ché quando ho tra le mani il libretto, scopro che il frontespizio è ben più « stu pefacente » di come appare nell’Album di Gallimard. Nell’Album, pagina 315, la ripro duzione è stata evidentemente censurata. E’ rimasta la testa di cervo dalle robuste corna (che, a guardar bene, sono anche altre cose), sono rima ste le iniziali H B elegante mente caudate: ma la scena davvero stupefacente cui le iniziali e la testa del cervo sovrastano, la scena che dà al cervo espressione di stupo re, è scomparsa. La scena è, nella versione che poteva darne Félicien Rops (e chi ha visto la bella mostra di cose di Rops, che si è tenuta lo scorso anno a Milano, intende), quella che segnò la rottura dell’annosa e, nonostante tutto meraviglio sa, relazione tra Stendhal e Angela Pietragrua, « Madame Grua », dice Merimée: la qua le, eccezione alla fama di fe deltà delle italiane, indegna mente tradiva Henry Beyle (che assumerà due anni dopo il pseudonimo del « signor de Stendhal, ufficiale di cavalle ria », pubblicando il libro Rome, Naples et Florence en 1817). Questa donna, dice ancora Mérimée, pur avendo come marito il più compia cente degli uomini, lo aveva dipinto come un mostro di gelosia: e Beyle se ne era convinto al punto da accet tare di andarsene a Torino, poiché la sua presenza a Milano risultava pericolosa per lei. Ma fosse il dubbio, fosse il desiderio, fece una furtiva puntata a Milano. Forse per sapere come fossero andate le cose presso i Pietragrua du rante la sua assenza, prese contatto con la cameriera di Angela. Questa, memore del la generosità di Beyle, e a scarico di coscienza, gli rive lava che la sua signora lo ingannava, che « avait autant d’amants différents ». Poiché Beyle non voleva credere, glie ne offrì la prova: « lo fece nascondere in un camerino da dove, mettendo l’occhio al buco della serratura, egli vide, a tre piedi da lui, la più mo struosa e convincente prova ». E così, cinquant’anni dopo, mettendo l’occhio all’altro bu co della serratura che gli of friva Mérimée, Félicien Rops vide, come in uno spaccato scenografico, Beyle con l’oc chio alla serratura e Angela col suo ignoto partner in quella che i verbali dei sottuf ficiali di polizia chiamano flagranza di reato. In effetti, era stato Sten dhal stesso a invitare Rops a questo giuoco alquanto gros solano: « Beyle mi disse – scriveva Mérimée â— che la singolarità della cosa e il ri dicolo della situazione gli die dero un’improvvisa e folle allegria e che a stento, per non allarmare i colpevoli, riu scì a trattenersi dallo scop piare a ridere ». Rops non aveva ragione di trattenersi: ed esplode in una risata che è il caso di chiamare grassa. Né era uomo da far caso alla notazione che viene subito do po: « Soltanto dopo qualche tempo egli sentì la propria infelicità ». Anzi, una simile notazione poteva, per Rops, aggiungere comico al comico: un cornuto che riflette e sof fre era allora tanto più comico di un cornuto che ci ride sopra. Ci voleva ancora un buon secolo, e uno scrittore come Pirandello, perché le loiche malinconie e pene del « cornuto consapevole » fossero comprese e accettate. Per Rops, avulsa dal contesto stes so in cui Mérimée la registrava, oltre che dal contesto di quel che Stendhal era stato, di quel che erano i suoi libri, restava la ridevole disavven tura: non priva di eccitante ambiguità per il disavventura to Beyle, francamente eccitante per lui, Rops, che ap punto in questo senso la si glava raffigurando, in un an golo della scena, un cagnoli no in atteggiamento inequivo cabile. Una storia di corna. Un cornuto. Ancora un pre testo per un divertimento, co me si direbbe oggi, « porno ». Ma il fatto è che quando Rops disegnava quella scenet ta comica e oscena, con Sten dhal dentro come personag gio comico, l’autore della Cer tosa di Parma era effettualmente considerato un perso naggio pieno di comiche con traddizioni e mistificazioni, ostentatamente cinico ma in sostanza patetico se non ad dirittura pietoso. Qualche con tributo alla circolazione di una siffatta immagine di Sten dhal, era appunto venuto dall’H.B. di Mérimée; ma ci do vevano anche essere, nei sa lotti parigini, molte persone che lo ricordavano e che, nel momento in cui una nuova generazione stava per risco prirne le opere, con deliberata acredine si davano a ridicoliz zare l’uomo e lo scrittore. Un siciliano approdato a Parigi subito dopo l’Unità, alacre frequentatore di quei salotti, amico â— giovanissimo e tra gli ultimi, se non l’ulti mo â— della vecchia George Sand, dava agli italiani un breve e vivace ragguaglio su Stendhal in cui sono eviden temente condensati i giudizi e i ricordi che correvano negli ambienti letterari francesi. Il ragguaglio, poi pubblicato nel volume Macchiette parigine, si apriva con ritratto di Sten dhal, rapido e preciso. « Una bella signora di Milano » scriveva Emanuele Navarro della Miraglia â— « lo chiama va, scherzando: il cinese. Di fatti, egli arieggiava, in qual che modo, quei mandarini panciuti e buffi che si fanno vento e fumano su’ mobili di lacca. Gli mancava la coda ma però aveva, in ricambio un falso ciuffo e portava l’unghie lunghissime, per attirar l’attenzione della gente sulla sua mano piccola e bianca. Era pingue, rubicondo, apoplettico, di statura mediocre. Le gambe corte e un po’ storte, sostenevano male il busto troppo rotondo e il ventre che strapiombava molto. Il capo era piantato solidamente sul collo tozzo. Gli occhi, due oc chietti vivaci e penetranti, si perdevano fra le ondulazioni carnose della faccia larga, a cui le labbra sottili e contratte davano un non so che di sar donico. Egli aveva, insomma, la fisionomia bizzarra del suo ingegno serio e comico ad un tempo… ». E Navarro passa, sempre in punta di penna, alla biogra fia, al carattere, al comporta mento, alle opere. Ogni tan to, suo malgrado, c’è qualche lampo di simpatia e affiora il giudizio esatto e penetrante: « Egli ha scritto molte pagine in cui non si sa se debba più ammirarsi la profondità, la semplicità o la finezza »; nel la Certosa di Parma « il dram ma, nel totale, è condotto con abilità immensa; la luce col pisce, a grandi sprazzi, il qua dro; i personaggi, disegnati appena fisicamente, sono di pinti benissimo per via della azione e del dialogo; la corte di un tiranno in sedicesimo sfila viva e vera… »; « Preten deva di agire secondo i det tami della ragione, ma fu pe rennemente dominato dalla fantasia e fece ogni cosa per entusiasmo ». E si sente che questi giudizi sono veramen te suoi, del giovane scrittore siciliano che veniva dall’av ventura garibaldina; non del suo tempo, non dei salotti che frequentava, dei letterati che conosceva. In società, in quella socie tà che per un giovane, appe na arrivato dalla remota Sam buca Zabut in provincia di Girgenti, doveva apparire cir confusa di un luminoso e inal terabile prestigio, si ricordava uno Stendhal personaggio buf fo, si dava per declinante la fortuna dei suoi libri, si pro fetizzava che tra non molto soltanto gli archeologi della letteratura li avrebbero cerca ti. Navarro non poteva fare a meno di adeguarsi a quel giudizio corrente; ma d’altra par te non riusciva a non appas sionarsi a quei libri, a quello scrittore, a quell’uomo su cui non stavano per cadere le te nebre dell’oblio, bensì stava per sorgere un culto. (Sciascia scriverà: “Postilla su Stendhal e Navarro”, che trovasi in “La corda pazza” – Scrittori e cose della Sicilia”, Adelphi, 1991, che ha qualche variante) Letto 817 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||