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LETTERATURA: I MAESTRI: Due blocchi?

29 Agosto 2017

di Virgilio Lilli
[dal “Corriere della Sera”, venerdì 1 agosto 1969]

Dal mio osservatorio oriz ­zontale, nel candore delle lenzuola d’un letto di clinica, la schiena premuta contro una piccola piramide di cuscini, ho visto gli uomini che popo ­lano la terra non più divisi in razze (i bianchi, i negri, i gialli eccetera), non più divi ­si in classi (i borghesi, i pro ­letari), non più divisi per gra ­di d’evoluzione (i soprasviluppati, i depressi), non più divisi in regimi politici (i capi ­talisti, i comunisti), né in confessioni religiose (i cri ­stiani, i musulmani, i buddi ­sti e così via). Non più.

All’interno delle mura di un ospedale queste distinzio ­ni scoloriscono, scadono, si dissolvono. Un uomo in posi ­zione supina giorno e notte, al quale regolarmente un in ­fermiere consegna un termo ­metro alle otto del mattino e alle quattro del pomeriggio; un uomo al cui capezzale ogni giorno sostano signori in ca ­mice bianco che gli parlano come dei generali parlerebbe ­ro a un soldato; un uomo che vede suore vicino al suo guan ­ciale come in un sogno un poco blasfemo; nell’odore del disinfettante spalmato sui pa ­vimenti dalle scope delle in ­servienti in cuffia bianca; un uomo trasmigrato di forza dal marciapiede della città o dal ­la cucina della sua casa al corridoio della clinica o della corsia; simili differenziazioni non le capta più.

Alla domanda se esistano i bianchi e i negri ovviamente vi risponderà che sì, esisto ­no. E così vi risponderà per i borghesi e i proletari, così per i democratici e i comunisti. Ma saranno risposte conven ­zionali, memorizzate dal con ­dizionamento che ha subito la sua mente prima di esser ­si messo a giacere su quel let ­to, prima di avere incontrato la realtà. In sostanza la cata ­logazione degli uomini sarà per lui automaticamente mol ­to più semplice e definitiva; due blocchi massicci: il bloc ­co della salute da una parte, il blocco della malattia dal ­l’altra. I sani, gli ammalati.

Per il malato il colore del ­la pelle umana, la plastica de ­gli zigomi, lo spessore delle labbra e simili non sono real ­tà apprezzabili, non costitui ­scono « dati ». I parametri che definiscono un negro del Con ­go e uno svedese, ambedue dotati di piena salute che con ­senta così all’uno come all’al ­tro di camminare, di respira ­re, di mangiare, di fare l’amo ­re e il resto; tali parametri, agli occhi del malato, sono identici.

Allo stesso modo un ope ­raio e un miliardario: se non hanno una febbre inestirpabi ­le, se non sono in attesa del ­la lettiga che li trasporti in sala operatoria, se non devo ­no farsi lavare il sangue dal rene artificiale, se non devono subire una endovenosa al giorno per sopravvivere, se non hanno bisogno di grucce per trascinarsi dal letto al ga ­binetto; un tale operaio e un tale miliardario per un am ­malato serio sono fiori della stessa aiola, granelli della stessa sabbia. Non può esse ­re la ricchezza o la povertà a distinguerli l’uno dall’altro.

Uno scienziato e un analfa ­beta, un cristiano e un mu ­sulmano, un liberale e un maoista, perfino un ladro e un galantuomo, gli uni e gli altri col cuore, il fegato, l’in ­testino, la colonna vertebra ­le, gli occhi eccetera tutti in perfetta regola, non possono essere misurati da un malato se non con un metro terribil ­mente empirico ed elementa ­re. Essi sono al di là d’un so ­lo confine, abitanti d’un uni ­co oltrefrontiera, situati nell’altro emisfero della condi ­zione umana che per essi è la condizione del corpo.

*

Tale è la prima lezione, tri ­ste e allo stesso tempo folgo ­rante della malattia: che è essa a ricondurre il giudizio dell’uomo sul suo simile alle componenti essenziali e radi ­cali; essa a scartare le categorizzazioni convenzionali e conformiste; essa a cancellare senza remissione dati secon ­dari che altrimenti hanno nel ­la società umana valori appa ­rentemente definitivi. Essa, e non la salute. Per un malato niente razza e razzismo, nien ­te ricchezza, niente addirittu ­ra cultura. Si tratta, per chi giace in un letto d’ospedale (mentre giace su quel letto) di non-valori, di proiezioni il ­lusorie dell’acro emisfero. Per un uomo che entra in sala operatoria o che ha i reni in frantumi il mondo è in certo senso assai più sano di quel ­lo d’un uomo pieno di salute. Si potrebbe affermare che una pulizia morale si guadagna più sulla strada della malattia che su quella della salute.

Nel suo involucro sudatic ­cio, accaldato, a volte sangui ­nante, sempre umiliato, assai spesso dolorante, di traspira ­zioni, di febbre, di ferite, di cicatrici fresche, in questo inferno terrestre, il malato raggiunge una sfera di purezza quasi impossibile per l’uomo sano. Per una strada lastricata di elementi tangibili e indi ­scutibili che scartano auto ­maticamente ogni altra qualificazione umana la quale non sia materializzata in muscoli, nervi, vasi sanguigni, tessuti, e istinti-stimoli della specie, Cristo arriva al malato assai più speditamente che all’uo ­mo in salute. Un Cristo sbri ­gativo e soprattutto di imme ­diata lettura, ogni parola un fatto, un Cristo materialista, se è lecita l’espressione, per il quale il corpo è tutto.

Voglio dire che la « purez ­za cristiana » .del malato con ­siste nientedimeno in una san ­tificazione della carne, nel senso di « corpo sano » quale aspirazione ideale della sua avventura esistenziale. Lo schema della creatura umana è per il malato il corpo al di fuori di ogni particolare, pro ­prio il corpo che dà forma al ­la Croce. Tutto ciò che è ol ­tre il congegno del corpo è un additivo, è privilegio di ca ­sta, di razza, di classe; perfi ­no l’anima e lo spirito sono, dentro questa ottica, fenome ­ni classisti, razziali, perfino la storia di cui ogni uomo con ­tiene almeno un paragrafo, perfino la geografia di cui ogni uomo contiene almeno un lineamento.

*

La « fratellanza », nella mente d’un malato, è costitui ­ta da una società nella quale tutti gli intestini digeriscono perfettamente il cibo, non una sola colica; l’« eguaglianza » è fatta di tutte colonne verte ­brali diritte e perfettamente articolate, di fegati che non debordano d’un millimetro, di cuori che non sgarrano una pulsazione. La « giustizia » è l’assenza del chirurgo, per tut ­ti. Dentro questo cristianesi ­mo « tutti » gli occhi vedono, « tutte » le gambe camminano, « tutti » gli orecchi odono, « tutte » le bocche masticano, « tutte » le arterie pulsano con la regolarità di orologi. Non più appetiti di potere, d’onori, di sensi, di prestigio, di sa ­pienza. Nella visione d’ogni malato c’è già un aldilà terre ­no senza un mal di testa e sen ­za una linea di febbre.

Si potrebbe obbiettare che in questi termini il fattore animalità costituisce per il ma ­lato la componente determi ­nante della specie umana e, per riflesso, della destinazio ­ne dell’uomo. In realtà è pre ­cisamente questa presenza prepotente della animalità che riconduce il malato al disin ­teresse integrale dei beni ter ­reni (l’oro, la gloria, la po ­tenza, la vanità, lo stesso eroi ­smo) e che quindi gli assegna una spiritualità i cui limiti so ­no esattamente l’umiltà del ­le aspirazioni (il cuore sano, le gambe che camminano, i polmoni che respirano) e la modestia delle vocazioni. E non a caso gli ammalati so ­gnano (e invocano) Dio mille volte più che i sani. Non a caso negli attimi più roventi della malattia vedono in Cri ­sto un collega, un ammalato, proprio bisognoso di essere deposto e condotto in corsia, in sala operatoria, d’essere trasferito in un mondo di tra ­sfusioni di sangue e di car ­rozzine ortopediche. Un mala ­to che stampa la sua croce sui vetri dell’autoambulanza e sulla cuffia delle infermiere, come un segno di riconosci ­mento d’una comunità: la co ­munità, il blocco, s’era detto, degli ammalati.

*

Due blocchi, appunto. Ma due, visti solo dall’osservato ­rio dell’ospedale, della cor ­sia, del letto con la cartella clinica. Poiché se per gli am ­malati una simile partizione del mondo ha una consistenza imponente e clamorosa, tale da operare una integrale re ­visione nei modi della loro intelligenza e della loro fan ­tasia, fino a condurli alla semplificazione d’un cristia ­nesimo sperimentale, tangibi ­le, filtrato attraverso il cor ­po e non più attraverso la co ­siddetta anima; per i sani es ­sa non sussiste. Non sussiste per la semplice ragione che non gli è percettibile come fe ­nomeno ad essi estraneo, come isola a sé stante.

In verità, mentre per gli ammalati gli « altri » sono i sani come la categoria oppo ­sta alla loro, proprio come la popolazione del continente-salute (che essi bramano di raggiungere a qualsiasi prez ­zo e al più presto, sia pure senza un centesimo in tasca e senza una idea in mente, al pari di emigranti ansiosi so ­lo di abbandonare un conti ­nente depresso per radicarsi in quello sviluppato), per i sa ­ni gli ammalati sono anch’es ­si sani. Sono dei sani caduti malati; per cui agli occhi lo ­ro le sofferenze, le corsìe, le operazioni chirurgiche, le feb ­bri, le disperazioni, le medi ­cazioni giornaliere e così via sono appendici del loro stes ­so mondo, un mondo unico nel quale accade d’ammalarsi, nel quale la malattia è un epi ­sodio, un incidente della vita, tanto vero che il contingente dei malati è alimentato da quei sani che via via si am ­malano.

(C’è dunque anche questo fenomeno amaro nel « bloc ­co » dei malati: di vedere, e di non essere veduti).


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