LETTERATURA: I MAESTRI: Due blocchi?29 Agosto 2017 di Virgilio Lilli Dal mio osservatorio oriz zontale, nel candore delle lenzuola d’un letto di clinica, la schiena premuta contro una piccola piramide di cuscini, ho visto gli uomini che popo lano la terra non più divisi in razze (i bianchi, i negri, i gialli eccetera), non più divi si in classi (i borghesi, i pro letari), non più divisi per gra di d’evoluzione (i soprasviluppati, i depressi), non più divisi in regimi politici (i capi talisti, i comunisti), né in confessioni religiose (i cri stiani, i musulmani, i buddi sti e così via). Non più. All’interno delle mura di un ospedale queste distinzio ni scoloriscono, scadono, si dissolvono. Un uomo in posi zione supina giorno e notte, al quale regolarmente un in fermiere consegna un termo metro alle otto del mattino e alle quattro del pomeriggio; un uomo al cui capezzale ogni giorno sostano signori in ca mice bianco che gli parlano come dei generali parlerebbe ro a un soldato; un uomo che vede suore vicino al suo guan ciale come in un sogno un poco blasfemo; nell’odore del disinfettante spalmato sui pa vimenti dalle scope delle in servienti in cuffia bianca; un uomo trasmigrato di forza dal marciapiede della città o dal la cucina della sua casa al corridoio della clinica o della corsia; simili differenziazioni non le capta più. Alla domanda se esistano i bianchi e i negri ovviamente vi risponderà che sì, esisto no. E così vi risponderà per i borghesi e i proletari, così per i democratici e i comunisti. Ma saranno risposte conven zionali, memorizzate dal con dizionamento che ha subito la sua mente prima di esser si messo a giacere su quel let to, prima di avere incontrato la realtà. In sostanza la cata logazione degli uomini sarà per lui automaticamente mol to più semplice e definitiva; due blocchi massicci: il bloc co della salute da una parte, il blocco della malattia dal l’altra. I sani, gli ammalati. Per il malato il colore del la pelle umana, la plastica de gli zigomi, lo spessore delle labbra e simili non sono real tà apprezzabili, non costitui scono « dati ». I parametri che definiscono un negro del Con go e uno svedese, ambedue dotati di piena salute che con senta così all’uno come all’al tro di camminare, di respira re, di mangiare, di fare l’amo re e il resto; tali parametri, agli occhi del malato, sono identici. Allo stesso modo un ope raio e un miliardario: se non hanno una febbre inestirpabi le, se non sono in attesa del la lettiga che li trasporti in sala operatoria, se non devo no farsi lavare il sangue dal rene artificiale, se non devono subire una endovenosa al giorno per sopravvivere, se non hanno bisogno di grucce per trascinarsi dal letto al ga binetto; un tale operaio e un tale miliardario per un am malato serio sono fiori della stessa aiola, granelli della stessa sabbia. Non può esse re la ricchezza o la povertà a distinguerli l’uno dall’altro. Uno scienziato e un analfa beta, un cristiano e un mu sulmano, un liberale e un maoista, perfino un ladro e un galantuomo, gli uni e gli altri col cuore, il fegato, l’in testino, la colonna vertebra le, gli occhi eccetera tutti in perfetta regola, non possono essere misurati da un malato se non con un metro terribil mente empirico ed elementa re. Essi sono al di là d’un so lo confine, abitanti d’un uni co oltrefrontiera, situati nell’altro emisfero della condi zione umana che per essi è la condizione del corpo. * Tale è la prima lezione, tri ste e allo stesso tempo folgo rante della malattia: che è essa a ricondurre il giudizio dell’uomo sul suo simile alle componenti essenziali e radi cali; essa a scartare le categorizzazioni convenzionali e conformiste; essa a cancellare senza remissione dati secon dari che altrimenti hanno nel la società umana valori appa rentemente definitivi. Essa, e non la salute. Per un malato niente razza e razzismo, nien te ricchezza, niente addirittu ra cultura. Si tratta, per chi giace in un letto d’ospedale (mentre giace su quel letto) di non-valori, di proiezioni il lusorie dell’acro emisfero. Per un uomo che entra in sala operatoria o che ha i reni in frantumi il mondo è in certo senso assai più sano di quel lo d’un uomo pieno di salute. Si potrebbe affermare che una pulizia morale si guadagna più sulla strada della malattia che su quella della salute. Nel suo involucro sudatic cio, accaldato, a volte sangui nante, sempre umiliato, assai spesso dolorante, di traspira zioni, di febbre, di ferite, di cicatrici fresche, in questo inferno terrestre, il malato raggiunge una sfera di purezza quasi impossibile per l’uomo sano. Per una strada lastricata di elementi tangibili e indi scutibili che scartano auto maticamente ogni altra qualificazione umana la quale non sia materializzata in muscoli, nervi, vasi sanguigni, tessuti, e istinti-stimoli della specie, Cristo arriva al malato assai più speditamente che all’uo mo in salute. Un Cristo sbri gativo e soprattutto di imme diata lettura, ogni parola un fatto, un Cristo materialista, se è lecita l’espressione, per il quale il corpo è tutto. Voglio dire che la « purez za cristiana » .del malato con siste nientedimeno in una san tificazione della carne, nel senso di « corpo sano » quale aspirazione ideale della sua avventura esistenziale. Lo schema della creatura umana è per il malato il corpo al di fuori di ogni particolare, pro prio il corpo che dà forma al la Croce. Tutto ciò che è ol tre il congegno del corpo è un additivo, è privilegio di ca sta, di razza, di classe; perfi no l’anima e lo spirito sono, dentro questa ottica, fenome ni classisti, razziali, perfino la storia di cui ogni uomo con tiene almeno un paragrafo, perfino la geografia di cui ogni uomo contiene almeno un lineamento. * La « fratellanza », nella mente d’un malato, è costitui ta da una società nella quale tutti gli intestini digeriscono perfettamente il cibo, non una sola colica; l’« eguaglianza » è fatta di tutte colonne verte brali diritte e perfettamente articolate, di fegati che non debordano d’un millimetro, di cuori che non sgarrano una pulsazione. La « giustizia » è l’assenza del chirurgo, per tut ti. Dentro questo cristianesi mo « tutti » gli occhi vedono, « tutte » le gambe camminano, « tutti » gli orecchi odono, « tutte » le bocche masticano, « tutte » le arterie pulsano con la regolarità di orologi. Non più appetiti di potere, d’onori, di sensi, di prestigio, di sa pienza. Nella visione d’ogni malato c’è già un aldilà terre no senza un mal di testa e sen za una linea di febbre. Si potrebbe obbiettare che in questi termini il fattore animalità costituisce per il ma lato la componente determi nante della specie umana e, per riflesso, della destinazio ne dell’uomo. In realtà è pre cisamente questa presenza prepotente della animalità che riconduce il malato al disin teresse integrale dei beni ter reni (l’oro, la gloria, la po tenza, la vanità, lo stesso eroi smo) e che quindi gli assegna una spiritualità i cui limiti so no esattamente l’umiltà del le aspirazioni (il cuore sano, le gambe che camminano, i polmoni che respirano) e la modestia delle vocazioni. E non a caso gli ammalati so gnano (e invocano) Dio mille volte più che i sani. Non a caso negli attimi più roventi della malattia vedono in Cri sto un collega, un ammalato, proprio bisognoso di essere deposto e condotto in corsia, in sala operatoria, d’essere trasferito in un mondo di tra sfusioni di sangue e di car rozzine ortopediche. Un mala to che stampa la sua croce sui vetri dell’autoambulanza e sulla cuffia delle infermiere, come un segno di riconosci mento d’una comunità: la co munità, il blocco, s’era detto, degli ammalati. * Due blocchi, appunto. Ma due, visti solo dall’osservato rio dell’ospedale, della cor sia, del letto con la cartella clinica. Poiché se per gli am malati una simile partizione del mondo ha una consistenza imponente e clamorosa, tale da operare una integrale re visione nei modi della loro intelligenza e della loro fan tasia, fino a condurli alla semplificazione d’un cristia nesimo sperimentale, tangibi le, filtrato attraverso il cor po e non più attraverso la co siddetta anima; per i sani es sa non sussiste. Non sussiste per la semplice ragione che non gli è percettibile come fe nomeno ad essi estraneo, come isola a sé stante. In verità, mentre per gli ammalati gli « altri » sono i sani come la categoria oppo sta alla loro, proprio come la popolazione del continente-salute (che essi bramano di raggiungere a qualsiasi prez zo e al più presto, sia pure senza un centesimo in tasca e senza una idea in mente, al pari di emigranti ansiosi so lo di abbandonare un conti nente depresso per radicarsi in quello sviluppato), per i sa ni gli ammalati sono anch’es si sani. Sono dei sani caduti malati; per cui agli occhi lo ro le sofferenze, le corsìe, le operazioni chirurgiche, le feb bri, le disperazioni, le medi cazioni giornaliere e così via sono appendici del loro stes so mondo, un mondo unico nel quale accade d’ammalarsi, nel quale la malattia è un epi sodio, un incidente della vita, tanto vero che il contingente dei malati è alimentato da quei sani che via via si am malano. (C’è dunque anche questo fenomeno amaro nel « bloc co » dei malati: di vedere, e di non essere veduti). Letto 1004 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||